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Il passato può essere cambiato o è radicalmente immodificabile?
Creato il 06 febbraio 2015 da DariosumerScrive S. Tommaso d'Aquino nella Summa Theologiae (parte I, quest. XXV, Della divina potenza art.. 4):
"Dopo di aver considerata la scienza la volontà di Dio, e ciò che ad esse si riferisce, rimane che si consideri la divina potenza.
Ed intorno a questo si richiedono sei cose:
1. Se sia potenza in Dio.
2. Se la potenza di lui sia infinita.
3. Se egli sia onnipotente.
4. Se possa fare in modo che le cose accadute non siano state.
5. Se possa fare anche ciò che non fa, oppure tralasciare ciò che egli compie.
6. Se possa fare migliori quelle cose che fa.
Articolo IV. Se Dio possa fare in modo che le cose accadute non siano state.
Nei confronti della quarta domanda così si procede:
1. Sembra che Iddio possa fare sì che le cose accadute non siano state. Infatti ciò che è impossibile per sé è più impossibile di ciò che è tale per mero accidente. Ma Dio può fare ciò che è impossibile per sé, come far vedere un cieco, risuscitare un morto. Dunque molto più facilmente può fare ciò che è impossibile per accidente. Ma che le cose passate non siano state è cosa impossibile solo per accidente. Difatti è meramente accidentale (dipende dal mero fatto che Socrate corse) l'impossibilità di far sì che Socrate non abbia corso. Dunque Iddio può far sì che le cose accadute non siano state.
2. Inoltre, tutto ciò che Iddio ha potuto fare nel passato lo può ancor oggi, non essendo soggetta la sua potenza a diminuzione. Ora Iddio poteva fare, prima che Socrate corresse, che egli non corresse. Dunque, anche dopo che corse, Iddio può far sì che egli non abbia corso.
3. Inoltre, la carità è una virtù maggiore della verginità. Ma Iddio può riparare alla carità smarrita, dunque anche alla purezza perduta. Perciò può fare in modo che colei che fu contaminata non lo sia stata.
Tuttavia si oppone ciò che Girolamo dice: "Sebbene Iddio possa tutto, non può fare di una corrotta un'incorrotta". Dunque per la stessa ragione non può far sì che qualunque altra cosa passata sia come non avvenuta.
Si risponde alla domanda osservando che, siccome sopra fu asserito, sotto l'onnipotenza divina non cade alcuna cosa che implichi contraddizione. Ma che le cose passate non siano avvenute ciò implica una contraddizione. Imperocché come implica contraddizione il dire che Socrate siede e non siede, così implica contraddizione il dire che abbia seduto e non abbia seduto. Il dire infatti che egli abbia seduto è dire che ciò è stato, il dire che non ha seduto è dire che ciò non è stato. Quindi che le cose passate non siano accadute non soggiace alla divina potenza. E questo è ciò che afferma Agostino, nel trattato contro Fausto: "Chiunque dice 'Se Dio è onnipotente faccia sì che quelle cose che furono fatte non siano state fatte', non si accorge che viene a dire così: 'Se Dio è onnipotente faccia sì che quelle cose le quali sono vere, perciò stesso che sono vere siano false'". E il Filosofo dice, nel sesto libro dell'Etica: "Di questo solo è privato Dio, di fare ingenerate le cose che furono fatte".
Alla prima obiezione si deve rispondere dicendo che: Si concede che sia impossibile per mero accidente che le cose avvenute siano come non avvenute, solo se si considera la natura particolare del fatto accaduto, cioè la corsa di Socrate; invece se si considera il passato nella sua qualità e natura di passato, che esso non sia avvenuto è impossibile non soltanto di per sé ma in modo assoluto, implicando ciò una contraddizione. In tal modo ciò è più impossibile che far risorgere un morto, cosa che non implica contraddizione, cosa che può dirsi impossibile soltanto nei confronti e riguardi di una determinata potenza, cioè della potenza naturale. Imperocché tali cose impossibili sottostanno alla divina potenza.
Alla seconda obiezione si deve rispondere dicendo che: Così come Dio, per quanto si riferisce alla perfezione della divina potenza, può fare tutto ma alcune cose non soggiacciono alla potenza di lui perché mancano della natura e qualità di cose possibili; così, per quanto si riferisce alla immutabilità della divina potenza, Iddio può fare oggi tutto ciò che poté fare nel passato; tuttavia alcune cose ebbero un tempo natura di cose possibili perché erano ancora a farsi, le quali ora mancano di tale natura perché sono nello stato di cose compiute. E così dicesi che Dio non le può fare, perché non possono più in alcun modo essere fatte.
Alla terza obiezione si deve rispondere dicendo che: Dio può togliere da una donna corrotta ogni corruzione della mente e del corpo; tuttavia non può fare sì che essa non sia stata in un determinato momento corrotta. Ugualmente non può togliere da un peccatore il fatto che egli abbia un giorno peccato, che egli abbia un giorno perduta la carità."
Così commentano questo testo, da loro appositamente tradotto, Angelo Gianni, Mario Balestreri e Angelo Pasquali nella loro "Antologia della letteratura italiana" (2):
"La domanda che abbiamo prescelto tra le tremila della "Summa theologiae" si riferisce ad un aspetto dell'onnipotenza divina. Può Iddio far sì che le cose passate non siano avvenute? Parrebbe di sì, se Iddio è onnipotente, cioè capace di operare ogni cosa. Tuttavia ciò appare impossibile all'argomentare del filosofo, senza che per questo debba essere in qualche modo diminuita o infirmata l'onnipotenza divina. Iddio non può fare che il passato non sia avvenuto perché ciò importerebbe una contraddizione: far sì che un uomo (il quale di fatto corse) non abbia corso è come far sì che una cosa sia stata e non sia stata nello stesso tempo. Iddio può fare tutto ciò che cade sotto l'orbita del possibile, tutto ciò che soggiace alla possibilità d'esser possibile: non ciò che di per se stesso appare contraddittorio ed assurdo."
Una leggenda tenace e pervicace vorrebbe che il Medio Evo sia stato un periodo di fideismo oscurantista; al contrario, riteniamo che poche epoche della storia occidentale siano state caratterizzate da una esigenza di razionalismo così esasperato.
Il brano citato di S. Tommaso ne è un buon esempio.
Dio può cambiare le cose passate, può fare in modo che non siano state?
Dopo lungo e scrupoloso esame, il "doctor angelicus" conclude che no, Dio non può fare questo, perché Egli, certo, può fare tutto (essendo onnipotente), ma non può far nulla che implichi contraddizione logica.
A noi sembra che un tal modo di ragionare pecchi gravemente per eccesso di fiducia nella "nostra" ragione, arbitrariamente innalzata al rango di pietra del paragone dell'esattezza e della possibilità di qualunque ragionamento o di qualunque evento.
Non della ragione in quanto tale, si badi: della ragione così come noi, umanamente, l'abbiamo definita, separandola dalle altre forme di conoscenza, sia inferiori ad esso (il senso e l'immaginazione), sia superiori (l'intelligenza spirituale, la contemplazione equanime e non duale).
L'errore del ragionamento di Tommaso, a nostro avviso, è il seguente: quello di attribuire alla mente divina la "necessità" di servirsi esattamente delle stesse categorie della mente umana.
Le menti umane sono immerse nel flusso temporale: per esse vi sono un passato, un presente e un futuro.
Ora, stando all'interno del flusso temporale non si dà, evidentemente, la possibilità di modificare o cancellare le azioni passate, perché un'azione presente della volontà non può manifestarsi "all'indietro nel tempo".
Su questo non v'è alcun dubbio.
Ma chi ci dice che la mente divina debba soggiacere alla stessa impossibilità?
Al contrario, se Dio è il creatore del tempo, va da sé che Egli "sta al di fuori e al di sopra del tempo": per lui non esistono un passato, un presente e un futuro, ma solo un eterno presente.
Ossia, quello che a noi sembra irreversibilmente consegnato al non divenire, il passato, non è affatto concluso e anzi non è nemmeno separabile da ciò che viene dopo (il presente e il futuro); la separazione è opera dei nostri sensi limitati, che ci fa apparire come autonomo e a sé stante quello che, invece, è intimamente collegato e coeso.
Certo, "per noi" le azioni passate sono passate, e nulla e nessuno potrebbe modificarle, oppure far sì che non siano accadute; ma "sono realmente accadute"?
Questo è il punto.
Se la separazione dei tre tempi (passato, presente e futuro) è solo opera di una nostra deformazione percettiva, ciò significa che le cose, in sé stesse, "eternamente sono": cioè, eternamente sono presenti allo sguardo di Dio. Ma al tempo stesso, in quanto legate alla manifestazione sensoriale che ce le fa apparire distinte, laddove sono saldamente unite (e non solo rispetto a se stesse, ma anche rispetto alle altre: sicché si dovrebbe, a rigore, parlare di un'unica, multiforme azione dell'intera realtà fenomenica), esse non "sono" in sé stesse, quanto piuttosto "appaiono". Se appaiono, vuol dire che la loro essenza sta in altro modo; e se è così, allora si può anche ipotizzare che si possano togliere le cose passate come se non fossero mai accadute.
Infatti, non sono accadute, ma sono "sembrate accadere": a noi, piccoli pesci immersi nello stagno della illusoria scansione temporale del prima e del dopo.
Questo, dal punto di vista di Dio. Ma dal punto di vista delle menti umane?
Si può altrettanto decisamente sostenere che le cose accadute possono subire modificato o, addirittura, essere cancellate, come se mai fossero state?
Per rispondere a questa domanda, bisogna sforzarsi di immaginare la realtà in modo olistico e non riduzionistico; bisogna sforzarsi di "vedere" il legame profondo e necessario che lega tutte le cose nello spazio e nel tempo: le passate e le future, le vicine e le lontane, le attuali e le possibili.
Le cose possibili, infatti, esistono; esistono tanto quanto quelle che noi chiamiamo reali, e che dovremmo invece, con maggior precisione, denominare semplicemente attuali.
Un albero può crescere, se non viene tagliato: questa possibilità è anche una realtà, non meno reale del fatto che l'albero, una volta tagliato, non cresce più.
Mano a mano che le cose attuali si verificano, intorno a loro cresce la foresta delle cose possibili che non sono divenute attuali perché una sola possibilità può realizzarsi di volta in volta; è come se, intorno alla rosa che abbiamo piantato, un immenso giardino si espandesse, formato da tutti i fiori che avremmo potuto coltivare, ma che fino ad ora non abbiamo coltivato.
Potremmo farlo, però, in qualunque momento: e il ciclamino che "penso" di piantare domani esiste già, ad esempio, nella mia mente, accanto alla rosa che ho piantato ieri; così come esiste, allo stato di ricordo, il tulipano che avevo piantato l'anno scorso, e che ora non c'è più (non è più attuale).
Siamo circondati di presenze: i pensieri, i ricordi, le aspettative "creano" degli oggetti che esistono nella nostra mente e che, una volta da essa creati, "vivono di vita propria e non potranno mai essere aboliti né modificati".
Dove? Nella nostra mente o fuori di essa?
Domanda troppo limitante: sarebbe come tornare alla domanda di S. Tommaso: nel passato o nel presente?
Il confine fra la nostra mente e la realtà esterna non è così netto come vorremmo credere, la distinzione fra soggettivo e oggettivo è, in gran parte, una distinzione illusoria.
Se i nostri pensieri esistessero "solo" nella nostra mente, chi ve li avrebbe messi, e come potrebbero essi tradursi in azione esterna (il fiore piantato nel giardino, o dipinto sulla tela, o cantato in un verso?).
Diciamo allora che le cose pensate esistono in una dimensione intermedia fra la soggettiva e l'oggettiva, l'interna alla mente e l'esterna.
Le "voci" di Giovanna d'Arca erano nella sua mente o fuori di essa?
Le forme-pensiero materializzate dai monaci tibetani sotto forma di "tulpa" sono entità psichiche o materiali?
Non c'è una risposta univoca e rigida a questi interrogativi; la realtà è più sfumata e complessa dei nostri comodi schemi mentali.
Dunque, se le cose che sono e quelle che potrebbero essere (o che avrebbero potuto essere, o che potranno essere) non hanno uno statuto ontologico differente, ma differente è piuttosto la maniera in cui noi le percepiamo all'interno del flusso temporale, dobbiamo logicamente trarne la conseguenza che "per ogni evento esistono innumerevoli manifestazioni", una sola delle quali noi percepiamo come "reale" in quanto attualmente si presenta alla nostra percezione.
Ma anche le altre esistono, in un ambito non manifestato: come sentieri non percorsi ma che avremmo potuto percorrere quando, camminando in un bosco, ci siamo imbattuti in una serie di bivi.
In questa manifestazione spazio-temporale, nella quale siamo immersi, noi abbiamo percorso - ovviamente - un solo sentiero alla volta; ma ciò non significa che gli altri non esistessero prima che noi giungessimo a ciascun bivio, o che non continuino ad esistere dopo che abbiamo fatto la nostra scelta.
Pensare così, significherebbe pensare che il mondo coincide con il nostro ristretto angolo visuale; che l'universo è solo quel pezzettino di muro che possiamo vedere dalla finestrella della mia prigione.
A questo punto dovrebbe essere chiara la conclusione del nostro ragionamento.
La nostra coscienza, qualora fosse in grado di portarsi al di fuori (o al di sopra) della illusione spazio-temporale, potrebbe vedere anche gli altri sentieri, quelli che non abbiamo percorso, ad esempio, nel passato.
Si dice che i mistici, in determinate circostanze, si avvicinino a un tale stato di luminosa consapevolezza: concentrando le loro menti in Dio, essi - con Dio - vedono l'eterno presente delle cose che sono, che furono, che saranno, che avrebbero potuto essere, che potrebbero essere, che potranno essere.
Teoricamente, quindi, si potrebbe immaginare che la coscienza illuminata da una tale visione cosmica, agendo dal di fuori del tempo, rimuova un determinato sentiero del passato e lo sostituisca con un altro possibile, annullando di fatto un evento passato o anche modificandolo a piacere.
Chi è riuscito a spezzare il velo di Maya dello spazio-tempo non subisce più la pesantezza degli eventi temporalmente definiti una volta per tutte; si muove nella leggerezza degli eventi eternamente possibili, eternamente attuali (o non attuali) a seconda della propria volontà.
Non si tratta di mera suggestione psicologica, come un ipnotizzatore che mi convincesse di non aver fatto una certa cosa, mentre in realtà l'ho fatta; né di una cancellazione della memoria, come se mi convincessi di non aver sognato una cosa che, in realtà, ho sognato.
Trasformare o cancellare il passato è cosa possibile - ripetiamo, teoricamente possibile - nel momento in cui si siano superate le strette barriere della limitazione spazio-temporale. Perché se, a quel punto, non esiste che un eterno presente, il presente essendo privo di estensione può essere modificato a volontà, come una lavagna sulla quale si scrive o si cancella liberamente; ma si scrive o si cancella in modo così istantaneo che l'azione precedente non viene solo modificata, ma cancellata, come se non fosse mai esistita.
Ci piace concludere queste brevi riflessioni, che meriterebbero un maggiore approfondimento, riportando dal libro di Silvano Troncarelli "Il fascino della mente" (3):
"Albert Einstein una volta disse che forse sarebbe stato meglio se avesse fatto l'orologiaio. Indubbiamente la scoperta della teoria della relatività lo pose perplesso di fronte al problema del tempo.
"Per chi vive all'interno la fenomenologia ESP, il tempo è avvertito come spazio-tempo, una qualità 'sintetica' le cui dimensioni 'irraggiungibili' sono percepite compresenti nella dimensione unitaria.
Si potrebbe pensare anche ad un tempo 'immobile', ma 'denso di qualità' (Jung), 'un tempo quando non c'era ancora il tempo' come dicono i primitivi australiani (Lévy-Strauss), un tempo prima della creazione, scrive M. Foucault.
Esso pare 'assorbirti' verso la sua 'origine neutra'. Tali sensazioni potrebbero associarsi alla 'condizione primordiale', la quale - scrive M. Eliade - non è storica, non essendo calcolabile cronologicamente. Si tratta invece di una anteriorità mitica del tempo 'originario', di ciò che è accaduto in principio.
Ed è proprio la labilità stessa del tempo che fa allora appello ad un altro tempo: un tempo solido ,unico, un 'tempo contratto', un tempo senza alcuna storia, senza culture, un tempo senza il nostro tempo.
E Servadio osserva, in proposito, che il pensiero greco è stato precorritore. "Noi abbiamo un solo vocabolo per indicare il tempo,; i greci ne avevano due: uno era 'Krònos', ossia il tempo come abitualmente lo osserviamo, il tempo che misuriamo con precisione, il tempo - appunto - dei 'cronometri', l'altro era 'kàiros', che indicava, oltre che ogni misura ,una 'partecipazione' nel tempo, il tempo che sperimentiamo nei momenti magici in cui ci sentiamo rilassati e sospesi ,immersi nella esaltazione della esperienza; il tempo della 'coscienza cosmica', il tempo senza tempo."
Alcuni filosofi-mistici che hanno vissuto questo tempo, ne danno una spiegazione secondo la loro esperienza.
Platone definiva il tempo come "l'immagine mobile dell'eternità" (Timeo, 27 d).
Per Plotino il tempo non esiste fori dell'anima; esso è la vita dell'anima e consiste del movimento per il quale l'anima passa da uno stato ad un altro della sua vita (Enn., III, 7-11).
Per Agostino il tempo ha costituito la riflessione più tormentata della sua ricerca. Egli definisce il tempo come l'estensione dell'anima aperta verso il passato e verso il futuro. "Non ci sono, propriamente parlando, - egli dice - tre tempi, il passato ,il presente e il futuro, ma soltanto tre presenti: il presente del passato, il presente del presente ,il presente del futuro" (Confess., XI, 20, 1).
In termini invece più accessibili, oggi si parla di tempo cronologico e tempo biologico. Il primo è quello misurato dai nostri orologi in riferimento ai moti della terra, del sole, ecc., il secondo è quello che cadenza il sonno, la veglia, la fame, la sete, i cicli, ecc. Si parla anche di tempo reale e di tempo ideale. I primo è quello col quale si fanno i conti colla realtà quotidiana, il secondo invece è quello, ad esempio, di alcune tribù primitive le quali hanno del tempo un'idea più libera e più rispondente alle esigenze della natura in cui sono immersi, sfuggendo ai ritmi inflessibili dell'orologio. Per questi fortunati il tempo rappresenta una qualità dell'essere, un'altra dimensione che possiede i caratteri del sogno e della immaginazione creatrice (Jung)."
Note:
1. Parte I, quest. XXV, "Della divina potenza" art. 4.
2. Firenze, Casa Ed. G. D'Anna,1997, vol. 1, pp. 64-70.
3. Gardolo di Trento, Luigi Reverdito Editore, 1988, pp. 79-81.Articolo scritto da Francesco Lamendola
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