Una motocicletta di una guardia speciale non in servizio ha sbarrato la via e la vita di un maestro del cinema. Il 24 gennaio (quasi un mese fa), su una strada a Keratsini, periferia ovest del Pireo, Theodoros Angelopoulos ha cessato di esistere. In pieno corso le riprese del suo nuovo film The other sea/L’altro Mare (terza parte della seconda trilogia della storia nata nel 2004 con La sorgente del fiume, proseguita nel 2008 con La polvere del tempo) nel quale si accingeva ad affrontare-interpretare e renderci il suo sguardo sulla crisi economico-sociale che la Grecia sta vivendo. Un occhio, quello del regista greco, la cui perdita appare ancora più nefasta in questo momento storico e temporale: «Il sogno del XX secolo è svanito…» – diceva – «Ci troviamo a vivere un vuoto che le nuove generazioni dovranno riempire di contenuti». Perché lo sguardo che Theo Angelopoulos ha gettato sulla vita attraverso il cinema contiene e ci rende innanzitutto le proprie origini, quelle di una terra, la Grecia, Ελλάδα-Ελλάς, culla della civiltà occidentale, occupata nella Seconda Guerra Mondiale, prostrata dalla guerra civile del 1946-49 e sfiancata dalla cd. dittatura dei colonnelli dal 1967 al 1974. Attraversando la Storia, il Mito, la Tragedia, l’Epica, Angelopoulos viaggia dentro la ‘necessità’, dialettizzando con il presente per mezzo di un costante e disallineato legame col passato, tra dimensione intima ed esterna, moderna e classica, in un flusso che è sogno, mistero, dolore, fascino… La stessa incomprensibilità del nostro esistere. Tutto questo viene reso con una grammatica filmica corrispondente, dominata dal passo del piano sequenza, dalla ‘rivelazione’ dell’inquadratura fissa, dalla destabilizzazione-alienazione del fuori campo. Da un rigore di rappresentazione che è anche ethikos (ἠθικός) – teoria del vivere -, e di conseguenza (nella fruizione filmica a cui siamo chiamati), cooperazione-responsabilità-attenzione richiesta ad uno spettatore in un colloquio visivo sicuramente impegnativo, ma sempre (anche nella ridondanza di eccessivo simbolismo e formalismo in cui a volte Angelopoulos è inciampato) intensa esperienza. La terra che abitano i suoi personaggi è una Grecia ‘interiore’, quella del Nord, tra le montagne, solitaria e impervia, ricca di fascino e marcata dalla storia. La sua carriera si genera nella scia della Nouvelle Vague (nel 1962 arriva a Parigi, studia prima letteratura alla Sorbona e poi cinema all’Institut des hautes études cinématographiques), e in quegli anni ’70 caratterizzati dalla nascita del Nuovo Cinema Tedesco.
Dalla critica cinematografica passa alla regia: il suo percorso, ricco non tanto per quantità di pellicole ma per densità di ciascun film realizzato, può essere scisso nella prima trilogia della storia (I giorni del ’36, 1972; La recita, 1975; I cacciatori, 1977), all’interno della quale O thiasos/La recita (1975) è la prima pellicola che condensa e marca il suo stile: attraverso il racconto delle vicende di un gruppo di attori itineranti impegnati a mettere in scena il dramma erotico “Golfo la pastorella” di Spiridonos Peresiadis, ci aggiriamo nella storia greca tra la seconda guerra mondiale e il primo dopoguerra, con rimandi alla mitologia classica (il mito degli Atridi). L’eredità di Brecht è immanente nel personalissimo silenzio, dentro una musica e un canto che si fanno unica e sola parola, nella radicalità dell’uso del piano sequenza, nella lunghezza (quasi 4 ore), nella qualità visiva, nell’asettico impersonalismo degli attori. Segue la trilogia del viaggio (Viaggio a Citèra, 1984; Il volo, 1986, Paesaggio nella nebbia, 1988). Legata al periodo italiano e alla collaborazione-sodalizio con il poeta-sceneggiatore Tonino Guerra e con Marcello Mastroianni, amico attore al quale era unito da un feeling professionale unico. Mastroianni (insieme a Jeanne Moreau) è anche dentro Il passo sospeso della cicogna (1991), pellicola pregna della malinconia di un secolo morente, un vuoto sociale e politico in cui la caduta del comunismo attende che un nuovo sogno venga in sostegno di un’umanità vagante. Il confine e l’esilio, i due estremi del cammino perenne dell’uomo. Arriva nel 1995 Lo sguardo di Ulisse (1995), dove vengono affrontate le ambiguità e i conflitti dei Balcani con gli occhi di un cineasta greco esiliato negli Stati Uniti, alla ricerca di tre rulli di pellicola girata nel 1905 dai fratelli Manakis, pionieri del cinema balcanico… Il ritorno si fa percorso della memoria e scoperta di una realtà divenuta irriconoscibile: emblema (anche visivo), la statua di Lenin sezionata e trasportata nel Danubio su una chiatta.
Seconda trilogia della storia (dall’entrata ad Odessa dell’Armata Rossa nel 1921 alla fine della Seconda Guerra Mondiale) composta da La sorgente del fiume, 2004; La polvere del tempo, 2008; E dall’incompiuto L’altro mare. Cominciano a manifestarsi nella sua poetica i segni di una implosione stilistico-formale, che ne La sorgente del fiume si risolve nel troppo concentrare e sovrapporre: avvenimenti storici, la tragedia classica greca (I sette contro Tebe), citazioni di specifici avvenimenti politici greci (ignorati dagli spettatori ‘apolidi’ e perciò incompresi, destabilizzanti, narrativamente). Il mélo che Angelopoulos imbastisce dentro l’epopea del popolo greco fra il 1917 e il 1947 si salva per l’originalità della vicenda e la superba ‘capacità paesaggistica’ di cui il suo occhio è dotato. Il resto, è confusione… Ancor più confuso, La polvere del tempo (2008), dove il cineasta greco pare voler confezionare una pellicola-archetipo, summa della propria poetica visiva e contenutistica. È tutto sfilacciato: appare di nuovo un regista (interpretato da Willem Dafoe), e il film che sta cercando di mettere in piedi altro non è che la trasposizione della vita di sua madre e dell’amore di due uomini nei suoi confronti. Dentro, la Storia, che abbraccia le vicende che hanno marcato la seconda metà del Ventesimo secolo: attraverso salti temporali e spaziali che si mescolano alla contemporaneità del regista nel difficile rapporto con sua moglie e nella complicata gestione di un dolore ‘sconosciuto’ da cui è affetta la figlia adolescente. Non bastano Michel Piccoli e Bruno Ganz ad allontanare l’alone di ripetitività e di dispersione che aleggia dentro la visione.
Eppure, sopra tutto, sopra il peso degli anni, di un occhio ‘stanco’, in cerca della nuova strada da percorrere, sentiremo una lacerante mancanza: di un altro pezzo di sguardo che si avvicinava alla macchina da presa con solennità, rigore e alta consapevolezza del compito che lo attendeva, quando si apprestava a concepire e realizzare un film. Oggi è quasi impossibile usare il termine maestro, legarlo a nuove generazioni.. forse scomparirà per sempre…
Maria Cera
Theodoros Angelopoulos – FILMOGRAFIA
Trasmissione (Ekpombi) (cortometraggio) – 1968
Ricostruzione di un delitto (Anaparastasi) - 1970
I giorni del ’36 (Meres tu ’36) - 1972
La recita (O thiasos) - 1975
I cacciatori (Oi kynigoi) - 1977
Alessandro il Grande (Megalexandros) - 1980
Viaggio a Citera (Taxidi sta Kithhira) - 1984
Il volo (O melissokomos) - 1986
Paesaggio nella nebbia (Topio stin omichli) - 1988
Il passo sospeso della cicogna (To meteoro vima tou pelargou) – 1991
Lo sguardo di Ulisse (To vlemma tou Odyssea) - 1995
L’eternità e un giorno (Mia eoniotita kai mia mera) - 1998
La sorgente del fiume (To livadi pou dakryzei) - 2004
Chacun son cinéma Episodio Trois minutes (2007)
La polvere del tempo (2009)
LETTURE su Theodoros Angelopoulos:
Theo Angelopoulos a cura di Giacomo Martini e Tiberio Pedrini, 2000. Edizioni I Quaderni del Battello Ebbro.