Celestini ha scelto di raccogliere e raccontare solamente le storie più verisimili che gli sono state raccontate durante le sue indagini, evitando quelle che sarebbero potute sembrare false: è così riuscito a costruire un film decisamente equilibrato e sensibile, che coinvolge ed emoziona, senza eccessi ideologici. (Nel dibattito, invece, la discussione si allarga: tuttavia, come mi si fa notare, La pars destruens nei confronti dell'istituzione-manicomio, assimilabile ad un lager o carcere e conseguentemente mero strumento repressivo-distruttivo che deve essere abolito senza se e senza ma, difetta però di una pars construens; non condivisibili le opinioni sulla scuola come mezzo di inculcare violentemente l'idea di autorità, ma il discorso sarebbe troppo lungo e 'fuori tema': si dovrebbe riflettere sulla differenza tra educazione e istruzione, ad esempio.)
La narrazione, come afferma Celestini, vuole essere "evocativa" e non passiva: lo spettatore (anche chi conosce già la trama) entra progressivamente nel manicomio insieme a Nicola, quasi senza accorgersene, ma ne subisce gli eventi, specie quelli più drammatici (il termosifone, ad esempio). Tra i momenti migliori ricordo quelli nel supermercato, dove la pazzia di Nicola è opposta a quella indotta dal consumismo sfrenato, e si riflette nella scena della dispensa: l'ordine all'interno del manicomio - sostiene Celestini - è analogo a quello di un supermercato. Ciascuno tragga le proprie conclusioni.
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