Magazine Media e Comunicazione
1. Sono di rientro dalla UFBA, la Universidade Federal de Bahia, dove ho appena incontrato docenti e studenti del Dipartimento di Educazione e dove il mio amico Nelson Pretto, uno dei leader della pedagogia brasiliana, mi ha intervistato per la web TV del suo gruppo di ricerca. Nelson ha frugato tra le pieghe della mia formazione e ha scoperto cose - nel Web - che forse neppure io ricordavo. Nell'intervista ritorno così alla mia scuola elementare, alle lezioni del maestro Giberti, cineamatore, all'educazione all'immagine durante la scuola media, alle cineletture "somministrate" da Gigino Di Libero. No, non potevo fare altro che occuparmi di comunicazione educativa: certi incontri ti segnano, ti orientano, decidono molto di quello che sarai "da grande". E Nelson, che si era preparato a puntino per l'intervista, ha avuto la capacità di riaccompagnarmi attraverso quei ricordi. Gli sono grato, come quando qualcuno scopre per te qualcosa che pensavi di aver perso chissà dove.
2. La mattina era trascorsa tra il Pelourinho e il Mercado Modèlo. Chiunque sia stato a Bahia ha di certo preso l'ascensore che dal porto sale alla città vecchia. Poi, uscito sulla Piazza della Prefettura, ha preso a sinistra Rua da Misericordia incominciando a perdersi tra gli intonaci colorati delle case açoriane. Si arriva voltando a destra al Terreiro de Jesus: di lì o si scende verso la casa museo di Jorge Amado, sulla piazza del pelourinho, e si arriva a Santa Barbara, o si prende a destra e si arriva alla meravigliosa Chiesa di San Francesco. Ci muoviamo sospesi tra l'ansia che ci hanno trasmesso con racconti di assalti e furti e il fascino del luogo. Il cielo è di un azzurro intensissimo, tagliato da pennellate di nuvole bianchissime. Man mano ci si addentra nella città vecchia, la tensione perde quota e la bellezza meravigliosa del luogo prende il sopravvento. Sembra di vedere Vadinho, il primo marito di Dona Flor, correre su e giù dalle ruas. Dalla finestra della casa museo il busto di Jorge Amado ti sorride.
3. Santa Barbara è la chiesa degli schiavi. Al tempo della dominazione portoghese questa era una delle poche chiese della città che potesse essere frequentata dalla popolazione nera. E ancora oggi mantiene questo privilegio, curata da una confraternita in cui possono entrare solo persone di colore. Tutti i martedì pomeriggio, alle 18.30, la messa è celebrata con i tamburi e i canti della cultura africana. Cattolicesimo e Candomblé confinano, uno si inserisce nell'altro. Gli orishà, le divinità della religione animista che gli schiavi portarono con sé dall'Africa, venivano nascosti dentro le statue dei santi per non incorrere nelle punizioni dei portoghesi: ancora oggi ogni santo ha il proprio corrispondente in un orishà. Dentro la Chiesa un membro della confraternita ci spiega tutto l'orgoglio delle sue radici africane e ci mostra il cimitero degli schiavi dietro la chiesa. Oltre il muro una favela incombe. In questa città incredibile tutto si mischia, si contamina, diventa qualcos'altro a ogni angolo di strada.
4. Davanti a Santa Barbara incontriamo Ivan Carlos. E' un ambulante "autorizzato". Ci regala una manciata di fettucce di Nossa Senhora de Bonfim: legarsele al polso serve a ottenere l'intercessione dei santi, di tutti i santi cui la Bahia di Salvador è intitolata. La simpatia, la gentilezza, la dignità di Ivan Carlos ci conquista. Gli compro una collana fatta di sementi. Lui le vende: le fanno i meninos de rua che un'associazione riesce a tenere lontani dalla strada e dalla colla da sniffare proprio grazie a questo lavoro. Lo ascolto incantato raccontare i personaggi di Jorge Amado: ti sembra di veder materializzarsi da un momento all'altro Gabriela, Dona Flor o Teresa Batista. Ci spiega che quello che ha imparato glielo hanno insegnato all'Università: la Prefettura ha organizzato un corso per gli ambulanti; storia locale, comunicazione, marketing. Ivan Carlos ci dice orgoglioso che lui certo deve vendere, ma che si sente un portavoce della città. Mi regala una corona del rosario. Alla madonna del rosario riconosce la sua devozione tutta la comunità nera. Ivan Carlos mi garantisce di averla benedetta lui: "Colòca no carro! Fique con Deus!". Ficar in portoghese vuole dire tante cose, principalmente "stare". Ecco: credo che augurare a qualcuno di rimanere con Dio sia uno dei più bei saluti che si possano immaginare. "Fique com Deus vocé também, Ivan Carlos!". "Sempre!". Allontanandomi mi dico che questo è il Brasile. Sono commosso e l'ansia sottile della salita ha lasciato ormai il posto a un benessere pacificato. Prendiamo un coco verde all'angolo di una strada. La donna che ce lo vende aspetta a chiederci i soldi: vuole sapere se è abbastanza freddo. Povertà e gentilezza.
5. San Francesco è una delle chiese più belle di tutto il Brasile. Trionfo del Barocco portoghese, il suo interno intagliato nel legno è coperto da 900 chili di oro. Il chiostro contiene la più grande e incredibile collezione di azulejos di tutto il Brasile. Pensi che questa era la Chiesa dei Francescani, pensi cosa c'entri la povertà del Santo di Assisi con questo sfarzo incredibile. Pensi ancora che questa chiesa meravigliosa fu di fatto edificata con le donazioni "pro remedio animae" di tanti signorotti che si erano arricchiti con il commercio degli schiavi. Ma oggi, per una strana eterogenesi dei fini, la chiesa è lì a raccontare la storia del Pelourinho. Nera la nostra guida, nero l'ambulante che vende corone del rosario all'uscita, neri gli operai che stanno lavorando al restauro della chiesa, neri i commessi all'entrata e all'uscita. E' come se la città si fosse riappropriata della chiesa. E l'anima di questa città, non c'è dubbio, è africana.
6. Scendiamo verso il Mercado. Entriamo e vinciamo la tentazione di perderci tra i banchi degli artigiani che espongono le loro merci. Si sale al secondo piano. "Maria & Sao Pedro" ci aspetta. Sediamo in veranda. Una Brahma ghiacciata ci aiuta ad avere ragione del caldo. Ordiniamo vatapà, feijao fradinho, carne sol. Tutto è servito con abbondante farofa, anche di zafferano. Davanti a noi la Bahia, i colori della primavera di Salvador, il rumore animato della vita che pulsa. Ficamos com Deus.
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