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Il pensiero dominante

Da Albertomax @albertomassazza

leopardi 2Dopo i “sedici mesi di notte orribile” del ritorno a Recanati, dalla fine del 1828 alla primavera del 1830, illuminati dalla composizione di alcuni capolavori assoluti (Il sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta, Il passero solitario, Canto notturno di un pastore errante per l’Asia), nell’aprile del 1830 Leopardi si recò a Firenze, dove il Generale Colletta gli aveva assicurato un assegno mensile per un anno, grazie ad una sottoscrizione tra gli estimatori fiorentini del poeta. A Firenze, città in cui aveva già soggiornato antecedentemente al suo ritorno a Recanati, il poeta ebbe due incontri destinati a segnare, in differente maniera, gli ultimi anni della sua breve vita: la giovane nobildonna Fanny Targioni Tozzetti e l’esule napoletano Antonio Ranieri. Furono per Leopardi due esperienze sentimentali del tutto nuove: una violenta e viscerale infatuazione per la nobildonna, probabilmente mai dichiarata, e un’affinità elettiva con Ranieri, tanto stretta da aver dato adito a più di un’interpretazione in chiave omosessuale. Ma, personalmente, non sono affatto interessato ad indagare sulla natura dei rapporti tra i due, per il semplice fatto che conoscerla non cambiarebbe di una virgola ciò che ha scritto Leopardi.

Il Recanatese, appunto, scrisse di queste nuove esperienze, che venivano fatte nel generale clima di rivolgimento dovuto ai moti che portarono alla formazione delle Province Unite Italiane e alla successiva repressione austriaca e conseguente restaurazione dello Stato Pontificio. Rivolgimento a cui Leopardi non dovette essere affatto indifferente, viste le sue frequentazioni dei salotti liberali. Il frutto poetico di questo periodo furono i 5 componimenti appartenenti al cosiddetto “Ciclo di Aspasia”, figura femminile identificata con Fanny. A questo ciclo appartiene uno dei canti più enigmatici del poeta, Il pensiero dominante, scritto con ogni probabilità tra il 1831 e il 1832. In questo corposo componimento di 147 versi sciolti divisi in 14 strofe di varia lunghezza (dai 6 ai 29 versi), con diverse soluzioni di rime e assonanze, il poeta sintetizza i travolgenti fatti del periodo fiorentino, preannunciando gli esiti estremi de La ginestra.

Se, ad una lettura superficiale, il componimento pare come un’ode all’amore come “torre in solitario campo”, unica fonte e ragione di vita in un oceano di noia e vacuità, un esame più meditato non può che fare emergere delle considerazioni che aprono ad un campo interpretativo ben più ampio. In primo luogo, nel canto l’amore aleggia su tutto ma non viene mai nominato; al suo posto, è onnipresente il pensiero, quasi a sottolineare l’impossibiltà di abbandono a un qualsivoglia sentimento che non venga prima filtrato dalla ragione; un pensiero virile, “possente dominator di mia profonda mente”, al cospetto del quale “gli altri pensieri miei tutti si dileguar”. L’infatuazione effimera quanto viscerale per la giovane nobildonna non può bastare a motivare l’urgenza del canto, sempre che non si voglia considerare Leopardi tanto ingenuo da aver riposto tutte le sue speranze negli esiti di un innamoramento che, a quanto pare, non venne neppure dichiarato. Piuttosto, io credo che dietro alla figura retorica di Aspasia-Fanny, incomba prepotente quella di Ranieri, ovvero di un amico che Leopardi sentiva veramente sodale; una fratellanza spirituale che rese meno annichilente la solitudine cosmica, negli ultimi anni di vita del poeta. La “torre in solitario campo” non può che essere l’esule napoletano, senza per questo avallare un’interpretazione che vedrebbe in Aspasia-Fanny un escamotage per nascondere la presunta passione omoerotica del poeta per il suo fraterno amico.

Ma non è tutto. Ne Il pensiero dominante appare una divagazione decisamente insolita per un componimento che dovrebbe cantare la forza dell’amore. Ancor più insolito che Leopardi inserisca questa divagazione proprio al centro del canto, occupando in buona parte una delle strofe più lunghe, la settima:

Sempre i codardi, e l’alme
Ingenerose, abbiette
Ebbi in dispregio. Or punge ogni atto indegno
Subito i sensi miei;
Move l’alma ogni esempio
Dell’umana viltà subito a sdegno.
Di questa età superba,
Che di vote speranze si nutrica,
Vaga di ciance, e di virtù nemica;
Stolta, che l’util chiede,
E inutile la vita
Quindi più sempre divenir non vede;
Maggior mi sento. A scherno
Ho gli umani giudizi; e il vario volgo
A’ bei pensieri infesto,
E degno tuo disprezzator, calpesto.

Siamo lontani anni luce dal Leopardi dei Canti pisano-recanatesi della fine degli anni venti. Il poeta ripiegato passivamente sulla sua sofferenza ha lasciato il posto al ribelle che, nella presa d’atto della propria sconfitta di fronte alla natura, trova la forza per rivendicare fieramente la superiorità della conoscenza e della coscienza sul senso comune e sulla morale precostituita. In questo, Il pensiero dominante apre una nuova prospettiva che troverà il suo più alto compimento nel capolavoro ultimo del Leopardi, La ginestra.

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IL PENSIERO DOMINANTE


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