Buongiorno carissimi lettori, vorrei continuare con voi la mia riflessione sull’importanza del pensare e del pensare bene.
Non ritenete anche voi che in un mondo mediatico che pullula di stimoli tra i più inverosimili e tra i più dispersivi, sia utile ogni tanto poter leggere di discorsi forse non proprio spontanei, ma senz’altro vantaggiosi per lo sviluppo della propria capacità di comprensione del reale?
E’ con questo spirito che io mi rivolgo a voi, giovani e meno giovani, uomini e donne che siate, con la serenità e con la curiosità di chi vuole esprimersi per arrivare a fare esprimere, per arrivare a pungolare tasti dolenti e forse un pò troppo indolenziti; così oggi con voi vorrei parlare di quello che potrebbe essere ritenuto come la ricerca del pensiero equilibrato.
Cominciamo allora a definire che cos’è un pensiero equilibrato:
- è un pensiero che considera tutti i possibili punti di osservazione
- è un pensiero che vuole essere subito spendibile nel quotidiano, se pur nella sua gradualità
- è un pensiero che aiuta la realizzazione dell’essere perchè fatto a misura dell’essere stesso
- è un pensiero che non teme il confronto con gli altri pensieri
- è un pensiero che sa mettersi in discussione continuamente
- è un pensiero che contribuisce a costruire altrettante società equilibrate
Si potrebbero elencare altri numerosi punti, ma già questi primi sei permettono di spaziare nella problematica ad essa connessa. Al primo passaggio si è detto che il pensiero che vuole essere positivo considera tutti i diversi punti di osservazione; si sta ovviamente parlando di società democratiche che danno a tutti la possibilità di parola. Senza volere approfondire meglio questo concetto e senza entrare nell’analisi dei sistemi democratici di per sè estremamente complessi, passerei subito al secondo punto. La comprensione del secondo passaggio è di minore immediatezza: cosa significa infatti che un pensiero vuole potere essere subito speso nel quotidiano? Significa che deve essere un pensiero concreto per quanto astratto, radicato per quanto elevato, concretizzabile per quanto ispirato da principi di lungo termine.
Di conseguenza un simile procedere non può che realizzare l’essere che lo persegue, almeno nella teoria; doverosa la distinzione tra teoria e pratica; una volta sul campo l’equilibrio del proprio pensiero (di per sè affatto scontato) si scontra con le mille varianti della contingenza; in genere le mille varianti spesso in balia del caos più totale non permettono il compimento de l pensiero equilibrato; ne conseguirebbe non proprio lo stato di realizzazione dell’essere equilibrato, ma piuttosto uno stato di frustrazione e di possibile scoramento. La sola nota positiva che andrebbe sottolineata è che tra lo scegliere se partecipare al caos o non parteciparvi, è sempre meglio potere dire di non avervi assolutamente partecipato o meglio, di non avervi minimamente contribuito, votandogli contro.
Continuamo sull’onda dei punti indicati in premessa: il pensiero equilibrato non teme il confronto con gli altri pensieri proprio perchè è nella sua essenza la ricerca del confronto. Dal confronto possono nascere le tanto auspicabili possibilità d’intesa che sono la sola garanzia di progresso comune. Attraverso il confronto e la ricerca di accordi si arriva necessariamente a compromessi; i compromessi non sono la panacea di tutti i mali ma sono la condizione umana che permettono la convivenza.
Eccoci al punto centrale tra tutti quelli esposti: il pensiero equilibrato sa mettersi continuamente in discussione, ossia non si spende come concluso e non revisionabile, non si spende come superiore, ma si spende come parziale e fallibile per quanto l’unico auspicabile nell’attimo fuggente. Il pensiero che sa ascoltare, che sa mettersi nell’occhio dell’altro che guarda, non può che essere un pensiero emotivo, fatto anche di sentimento, di passione; è un pensiero creativo, artistico, vivente, vitale, umano, non è un intelligere ingessato, rigido, a senso unico, carico di pregiudizi; il suo intelletto è leggero, mobile, arguto, vigile, non prevedibile, onesto ed umile. La sua onestà ed umiltà gli fanno riconoscere i propri possibili errori, le proprie mancanze detatte dal limite del tempo contingente. L’uso della logica unito al sentimento permette di far precedere al pensiero emotivo intuizioni e immagini flash che potremmo definire vere e proprie folgorazioni della mente, vere e proprie premonizioni del futuro; questo sapere mescolato o comunque non comprovabile sotto un aspetto puramente analitico, non attestabile sotto un livello percettivo perchè accostato a un livello impercettibile, non è una conoscenza disprezzabile e condannabile solo perchè non ci dice nulla di certo; è solo una conoscenza embrionale, interna, potremmo chiamarla la conoscenza del cuore piuttosto che la conoscenza della mente nuda e cruda.
Infine è un pensiero che contribuisce a costruire altrettante società equilibrate, se non proprio equilibrate (difficilissimo trovare realtà comunitarie di largo respiro che possano vantare questo titolo) quantomeno sulla strada verso la ricerca dell’equilibrio, sempre tese a trovare accordi, a trovare intese, a trovare mediazioni che non siano squallide mercificazioni dove la legge del più forte sopravanza sui diritti dei più deboli. E’ la classica goccia nel maremagnum degli oceani che non vuole, non deve e non può abdicare alla sua natura, alla missione, al suo credo, alla sua verità.
Ascoltatori amatissimi, voi cosa ne pensate? Non è forse degno di attenzione questo possibilissimo e per nulla irreale ”pensiero equilibrato”?
Sorge conclusiva di questo discorso la domanda: dove si colloca l’equilibrio in questo pensiero? Non certo all’esterno dell’essere che lo pensa, ma nel suo interno, l’equilibrio è una questione interna che va costruita dentro di sè; non si può certo pretendere di dare equilibrio agli altri se prima detta condizione non è stata raggiunta personalmente, ma è anche indubbio che nel perseguire questa condizione gli altri ci possono aiutare, gli altri ci possono influenzare, anche l’esterno più che mai contribuisce se si vuole inconsapevolmente, ossia non si è soli, non si fa nulla in solitaria, tutto quello che si arriva a comprendere avviene per una questione di passaggi, di trasbordi, di connessioni.
Il pensiero personale diventa debitore verso il proprio prossimo; asserire che i filosofi sono persone solitarie ossia poco comunicative è un’enorme assurdità; per essenza non c’è essere maggiormente comunicativo di un filosofo che sa che nel pensiero pulsa la forza di ogni azione. In quanto all’essere solitari, è una banalità; è chiaro che ogni lavoro richiede il proprio genere di spazio e di contesto, semplicemente c’è chi lavora con martello e scalpello o in una catena di montaggio, e chi lavora con un foglio di carta ed una penna, comunque si sta parlando sempre di lavori che hanno all’interno della società il loro indiscutibile ruolo.
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