Quando guardo gli scatti di Hengki Koentjoro, fotografo indonesiano, mi vengono sempre in mente alcune inquadrature del Cielo sopra Berlino, quelle in cui gli angeli Damiel e Cassiel osservano dall’alto dei palazzi e dei monumenti della città tedesca lo scorrere dei pensieri, delle speranze e delle preoccupazioni degli esseri umani.
Certo, forse un paragone tra Henri Alekan, direttore della fotografia del film di Wenders, e il padre di questi piccoli capolavori fotografici è un po’ azzardato: avverto però le stesse sensazioni di solitudine e di eterno, di ciclico e di quel vuoto riempito solo dalla confusionaria presenza di un’esistenza precaria, destinata alla fine. La vita, considerata nella sua durata infinitesimale, è messa in relazione dimensionale e prospettica con tutto ciò che è chiamato Natura, Universo, Energia, Dio, in uno sguardo non privo di malinconie dal retrogusto metafisico.
Nelle opere di Koentjoro, tutte rigorosamente in bianco e nero, i soggetti sono permeati e avvolti dall’impalpabile e imperscrutabile eternità della natura, come nei paesaggi sconfinati, morbidi ma quasi misteriosi, in cui linee rette e curve di percorsi e orizzonti vanno ben oltre dove l’occhio riesce a spingersi, sovrastando e integrando la presenza umana, piccolissimo punto caduco;
oppure nei ritratti di maschere e volti dipinti dove la ciclicità della menzogna umana prende forma, rivelando quel piccolo attimo di realtà e verità che emerge da un’espressione triste o vaga.
tutte le immagini sono © – Copyright di Hengki Koentjoro
Fonte: http://www.koentjoro.com/