Dopo anni di obbedienza una “costola deviata” alza la testa: nasce la Mala del Brenta parallela. Nel 1998, a distanza di tre anni da quando Maniero ha iniziato per la prima volta il programma di protezione (si interromperà nel 1998 per entrare in carcere e ripartirà nel 2002), i cambisti del Casinò di Venezia continuano a versare alla banda la stecca dovuta. Il che significa due cose. Primo che la banda non molla, secondo che la testa è sempre vigile e forte.
Poi, nel 2004, a oltre 140 affiliati alla mala del Brenta vengono contestati trecento capi d’imputazione. L’inchiesta, che si è alimentata grazie alle rivelazioni di Maniero, ha un effetto a cascata. Di fatto il gruppo rimasto in libertà si spacca in due: da un lato alcuni uomini restano fedeli a Maniero; dall’altro si forma una fazione avversaria pronta a tutto per prendere il potere (…).
Nel gennaio del 2006 viene sventato dalla polizia un attentato nei confronti di Faccia d’Angelo, e il 23 febbraio la figlia muore dopo un volo dal quarto piano della mansarda dove vive nel centro di Pescara (…). «Alcuni miei conoscenti – ricorda Di Bella – decidono di andare al funerale nella speranza di incontrare Maniero. E quando tornano si lamentano. Pure con me: “Non c’era nemmeno” mi dicono. Eppure c’era. Solo che nessuno lo riconosce più. Al funerale ci va, con certezza, perché gli uomini della scorta lo accompagnano. E credo che abbia pianto davvero quella figlia che ha finito per pagare le colpe del padre.» E qui veniamo alle colpe. Decenni dopo il primo arresto e due lustri dopo l’inizio del rapporto di collaborazione, Felice Maniero finisce in un’indagine come parte lesa.
Le ipotesi che girano sulla piazza sono almeno due e contrastanti. La prima è che amici di suoi nemici vogliano vendicarsi dell’infamia del collaboratore. «Ma io non ci credo» dice Di Bella. «Mi sento di escludere la cosa.» La seconda è che per affari molto più recenti a qualcuno degli ex amici sia venuta la fregola di soppiantare una volta per tutte il potere degli uomini di Maniero. Chiamiamola pure una costola deviata che dopo anni di obbedienza alza la testa. Una costola identica in tutto e per tutto al resto della mala del Brenta. Un enigma che forse solo Maniero riuscirebbe a districare perché solo lui è in grado di distinguere le differenze, come una mamma con i suoi gemelli.
Nel dicembre 2002, a Ferrara, assaltano in forze un furgone difeso da tre guardie giurate, alle quali giunge in aiuto anche una volante; cinque uomini in tutto, che faticano a salvarsi, con le sole pistole, dalle centinaia di colpi di kalašnikov sparati dai banditi per coprire la fuga. Proprio questo episodio, assieme ad altri precedenti, convince gli investigatori che deve esserci una regia ben precisa e non riconducibile a Faccia d’Angelo. La polizia riesce a riportare ogni pezzo del mosaico al proprio posto e, quando il 19 aprile 2004 la nuova mala tenta un altro assalto, non rimane a guardare. Scattano le manette per 33 presunti autori di otto omicidi, 24 tentati omicidi, 16 assalti a furgoni portavalori e 60 rapine tra banche e uffici postali. L’obiettivo della banda è molto semplice: imporre la propria supremazia nel territorio di Maniero.
L’arsenale dell’organizzazione, che manco a dirlo è gestita da «affiliati alla vecchia banda di Maniero», è il principale obiettivo dei poliziotti, che indagano per tre anni trovandosi alle prese con gente che usa una strategia operativa da veri e propri commando. Il tutto con ruoli ben delineati come per la mala del Brenta: i capi decidono quali reati commettere e scelgono personalmente i nuovi membri. Alcuni personaggi si occupano del supporto logistico (fornendo auto «pulite» e trovando i garage dove nascondere i mezzi) e ad altri è affidato il compito di fare sopralluoghi, controllare gli obiettivi e pedinare le vittime individuate. Senza dimenticare che ai nuovi vertici non sfugge la necessità impellente di eliminare gli ostacoli, che hanno nomi e cognomi precisi: si tratta dei due funzionari di polizia che da tempo stanno loro alle costole e dell’ex capo ora avversario, Felice Maniero. Solo un provvidenziale intervento degli investigatori nel gennaio del 2006 riesce a evitare l’omicidio dei due dirigenti e pure quello di Faccia d’Angelo.
Gianluigi Nuzzi
Claudio Antonelli
Fonte: Il Gazzettino