A volte ci chiediamo chi ce lo fa fare.
A volte desideriamo mollare tutto.
Il più delle volte, andiamo avanti.
Siamo i maledetti della parola scritta.
Che, a pensarci, sarebbe un’ottima sinossi per qualche opera pulp, non trovate?
E, invece, siamo soltanto noi, i fottuti autoprodotti. O autori indipendenti.
Strana settimana, questa, piacevole per alcuni versi, impossibile per altri, sempre impegnato a scrivere e a correggere il lavoro altrui.
Lo cambierei con un altro lavoro?
Probabilmente no, perché la verità è che adoro campare di storiacce (ricordate i Penny Dreadful?). Per ora, più che campare, tiro a campare, una differenza sottile, ma sostanziale.
Eppure si lavora per migliorare. Per vivere.
Ma dicevo della settimana. I giorni passati mi hanno spinto a fare qualche considerazione sulla scrittura/lettura. Considerazioni che, com’è ovvio, ho deciso di infliggervi un po’ a casaccio.
La scrittura.
Secondo me è vittima del romanticismo. Ne parlavo ieri sera con Marco, dopo una birra, una cotoletta alla milanese, e un ottimo sigaro: la colpa è di Stephen King.
Il Re ci ha illuso che, scrivendo storiacce, noi saremmo diventati, un giorno, dopo aver affrontato indicibili stenti nella nostra roulotte, dei miliardari, e che quei sigari ce li saremmo accesi con banconote da cento.
Per un King che ce l’ha fatta, un miliardo di quegli stessi scrittori sono morti di quegli stessi stenti.
Ma, ehi, è il messaggio che conta, per quanto sbagliato. Con la scrittura si diventa ricchi.
E così, orde di scrittori imbrattabit riversano i loro demoni interiori da peperonata serale sulle pagine, incazzandosi come furetti se, magari, il vicino di orticello ha venduto due copie in più dello zero assoluto ottenuto da loro.
Un mondo misero e spaventoso. Perché la maggior parte di questi imbrattabit non ha idea neppure da che parte si comincia, a scrivere un libro. E non l’avrà mai, perché a parte riversare i loro demoni di dubbio gusto, non hanno la minima volontà di imparare alcunché, o di rinunciare alle loro granitiche certezze (“La scrittura non ha regole! È avte!” Se, vabbé.)
Come la penso io? Che è davvero uno dei mestieri più belli del mondo. Ma anche molto faticoso. E l’obiettivo non è diventare ricchi e comprarsi lo stato del Maine, ma vivere dignitosamente, persino bene.
La lettura.Ecco, qui il campo è ambivalente.
Esistono i lettori svegli e attenti, quelli livorosi, e quelli idioti. Spesso c’è anche la quarta categoria, gli idioti livorosi.
È un dato di fatto.
Voi accendete un cero, e sperate che il vostro libro capiti nelle mani dei primi, e mai in quelle degli ultimi.
Ma le cose non vanno sempre per il meglio. This is reality, baby. And reality is a bitch.
Poco male, la qualità del vostro lavoro, in teoria, se c’è, sarà riconosciuta anche al di là di una singola stellina attribuita per gioco o per vendetta.
Se non c’è, la qualità, allora da quella meritata stellina dovete ripartire con dignità e ambizione, e far sì che diventino tre, o magari cinque.
L’autore.
Quasi sempre è considerato una bestia rara. O un atteggione.
La colpa di tale percezione è degli autori idioti (sì, esistono idioti anche tra gli autori), che si atteggiano a tanti piccoli Baudelaire, maladetti e fighissimi.
Naturalmente i lettori scazzano. E hanno ragione.
Però è anche vero che ultimamente l’autore viene considerato peggio del figlio della serva: una specie di schiavo nei campi di cotone delle pagine elettroniche, che deve scrivere, deve svendere i propri lavori, quando non darli via gratis, e deve pure ringraziare perché gli si sta concedendo il beneficio della lettura, ovvero un minimo di considerazione.
Estremismi inutili e dannosi.
L’autore è, di solito, una persona che:
a) conosce il mestiere, o lo sta conoscendo
b) uno che sa scrivere, senza necessità di atteggiarsi a santone
c) a meno che non sia un idiota atteggione
Dai primi due aspetti consegue che
d) il suddetto autore magari ha ampi margini di miglioramento, e quindi in un paese civile ciò andrebbe salvaguardato e valorizzato, e non insultato sui forum perché magari riesce a fare quel poco che voi non riuscirete mai a fare.
Il Romanzo.
E compagnia bella.
Nei giorni scorsi ho assistito a discussioni che voi umani non potreste immaginare, circa il costo degli ebook, il numero delle pagine e al fatto che l’ebook lungo è più bello di quello corto.
Non sto a analizzarle in dettaglio, perché si sono risolte in cose sgradevolissime, ma mi piace pensare che non siamo ancora al punto tale da considerare la scrittura come un atto meccanico, alla portata di tutti, e che va pagato a peso.
Non credo…
Voglio sperare di no.
I temi trattati.
Ecco, una delle belle recensioni che ho ricevuto in questi giorni mi ha fatto riflettere: in essa il lettore si definiva sorpreso positivamente dal fatto che avessi variato tema e atmosfere del mio ultimo racconto, rispetto al solito: scene splatterose, trame lasciate all’intuito, etc…
Sì, sono stato lieto di ciò.
Il fatto che questo mio cambiamento sia stato notato e giudicato positivo mi rende ottimista e particolarmente soddisfatto del mio lavoro. Quindi grazie davvero.
Ma non è nemmeno un cambiamento, in realtà, per riassumere potrei dire che:
a) io non sono ciò che scrivo. Quindi se scelgo certi temi scabrosi non vuol dire che mi piacciano solo quelli.
b) io sono ciò che scrivo. E quindi sono sia i temi scabrosi, che quelli più rarefatti.
In realtà la scelta del tema è personale, e risponde a determinate esigenze. Se scelgo di scrivere parolacce nel testo, è perché magari ritengo che un linguaggio scurrile arrivi al punto meglio di una parabola, e viceversa.
Sì, la realtà è che, pur scrivendo io storiacce, mi vanto di voler comunicare attraverso di esse. Mai nulla è casuale, in quello che scelgo di scrivere.
La scrittura reprised.
Per concludere, l’atmosfera generale che circonda la scrittura è venefica, e i social network a mio avviso peggiorano la situazione, per quanto siano strumenti indispensabili per ognuno di noi autoprodotti.
Personalmente, io ritengo la scrittura in generale in pessimo stato, per colpa di svariati fattori secolari.
E mi meraviglio che nessuno guardi all’epoca che stiamo vivendo al contrario come a un’occasione, piuttosto che a una terra selvaggia in cui persuadere i lettori di essere il genio della penna di turno, o farsi dominare da essi (cose entrambe orribili).
L’occasione è la libertà di cui godiamo. La libertà di scrivere e di essere letti. Tutti quanti noi.
Non esiste concorrenza. È un modo retrogrado e stupido di vedere le cose.
La scrittura è in divenire. Non lo è mai stata così tanto come in questa epoca.
Non sprechiamola.