Il 13% di omosessuali si è sentito dire "no grazie" a causa della propria identità sessuale, cifra che sale al 45% per le persone trans che neanche si possono permettere il lusso di nascondere se stesse e soprattutto i dati anagrafici. E poi discriminazioni, trattamenti diversi, mobbing. E se ti licenziano l'onere della prova non è in favore del lavoratore ricorrente, "grazie" (si fa per dire) al decreto legislativo 216/2003, Governo Berlusconi II. Se sei precario e non sei così sicuro che il tuo datore di lavoro sia "friendly" ci pensi cento volte prima di fare confidenze alla macchinetta
del caffè per paura che lo venga a sapere e magari per omofobia non ti rinnovi il contratto. La precarietà è il miglior alleato della paura e del ricatto. Questo vuol dire che il tuo collega etero può sfogarsi delle sue beghe sentimentali (come cantava Gianni Bella in "Amico Gay") ma tu non puoi fare lo stesso con lui e dovrai deglutire dentro non solo il caffè. Né ci consola sapere che esistono professioni da riserve indiane dove i gay sono invece ben visti: assistenti di volo, nella moda e nell'estetica. Ma è mai possibile che nel 2011 ci sia ancora qualcuno che pensa che l'orientamento sessuale e l'identità di genere determinino una capacità professionale? Una persona in un lavoro o è capace o non è capace, punto. Mi tocca allora fare la maestrina della banalità dell'ovvio:
1) I pizzaioli gay non usano il phon per tenere la pizza calda né ti fraintendono se ordini un calzone ripieno.
2) Un elettrauto diversamente etero non ti sostituisce le candele con quelle aromatizzate agli agrumi.
3) Un'insegnante lesbica non ti chiederà a memoria i versi di una canzone della Nannini.
4) Una dipendente pubblica trans non userà come timbro sui documenti il suo bacio alrossetto stampato.
Sembra assurdo, ma vi assicuro che certi pregiudizi lo sono ancora di più.
Vladimir Luxuria - Sette (Corriere della Sera), n° 42 del 20 Ottobre 2011