Di tutta quella gente che mi guarda non conosco neanche il nome. E loro il mio, non conosco neanche la voce. E loro la mia. Ma di alcuni di loro intuisco i pensieri. E loro i miei.
Capita così, in un giorno qualunque, uno di quelli in cui non hai un progetto preciso, nessun programma da seguire, uno di quei giorni “sciolti”. Ecco in un giorno così, capita che per un motivo che stenti a capire, esci di casa, prendi una di quelle vie che vanno verso il centro, che poi non si sa mai verso il centro di che cosa. Forse della città, forse del cielo. Forse semplicemente, il centro di un altro sogno da buttare. Cammini sicuro, come se stessi seguendo un teorema indiscutibile, sicuro, che ad ogni passo potrebbe accadere un miracolo inaspettato. Cammini e da lontano mi vedi. Come un’isola in mare aperto, come un piccolissimo particolare che fa attrito con il resto del quadro, un aquilone in assenza di vento. Un improbabile carillon sopra un tavolo da biliardo. O più semplicemente, un pianista fuori posto.
E allora rimani un po’ interdetto, quasi infastidito, perché non capita tutti giorni di trovare sul cammino un uomo ed il suo pianoforte. Non capita tutti i giorni, lo capisco, di trovare sul cammino due amanti scandalosi, perduti in un amplesso di musica e sospiri. L’unione di due mondi, di due amori inopportuni, fatti di mani che scivolano inquiete. Perché non vorrei mai smettere di farci l’amore con la mia indecente sinfonia..
Le mie dita di neve sul suo ventre più chiaro, i sospiri bagnati sulle labbra più nere. I suoi seni di mare, la mia pelle sudata, la mia mano più audace in carezze di seta. Le mie gambe nervose, la sua schiena più nuda, la mia voce in un soffio, il suo accordo che vibra. I miei sguardi più larghi, i suoi suoni più opachi, le sue corde impazzite, le mie spalle più chiuse. Le mie cosce serrate, la sua voce più acuta, le sue note più gonfie di un vento in salita. I miei piedi puntati, i suoi accordi più rauchi, potrei perfino morire sopra i suoi fianchi indifesi. Arrivare alla fine con la voglia incontrollabile di perdersi di nuovo.
Guardo quelle persone e non faccio mai domande, per non avere mai risposte. Il mio sogno indiscreto è quello di indovinare la loro vita, di vederli passare e costruire il loro mondo inventando improbabili accordi, fra scale di blues e arpeggi più lineari. Non voglio risposte, assolutamente, perché le risposte mi chiudono lo sguardo, perché quando qualcuno ti racconta la propria matassa di pensieri non puoi far altro che starlo ad ascoltare, senza poter modificare il suo flusso di parole. E’ come una condanna, conoscere la vita delle persone, molto meglio immaginarsela e suonarla al pianoforte, molto meglio raccontarla mettendo una pausa sul pentagramma, magari vicino ad un Si bemolle, che il Si bemolle fa sempre un certo effetto. Potresti costruirci esistenze eccezionali intorno ad un Si bemolle. Questo faccio, quando mi siedo in una piazza, con il vestito scuro ed il cilindro sulla testa, faccio esattamente questo. Costruisco esistenze eccezionali, fra una pausa e un Si bemolle.
Un giorno decisi di scendere da un palco, così, di botto, come fanno le porte che sbattono all’improvviso, quasi come non ci fosse una ragione. Come fanno quelli che dicono “non ci avrete mai”, quasi che non avessero altro da dire. Presi il pianoforte e lo trascinai giù per strada, senza dare spiegazioni, così, di botto.
E così adesso passo le giornate fra i loggiati dei palazzi antichi, o a graffiare con note gli angoli delle piazze, immerso in un viavai di visi e di persone affaccendate che mi passano vicino, mi sfiorano con lo sguardo, alcuni di loro si fermano un istante, altri un giorno intero. Ma tutti, ogni viso, ogni sguardo, ogni sorriso, tutti, non possono evitare di sentire almeno una nota volare dispettosa.
E allora tu, tu che mi guardi stupita, in questo giorno che neanche sembrava dovesse arrivare, tu che ascolti anche solo una nota uscita dalle mie dita di grandine e velluto, tu che hai rallentato il passo anche solo per un istante impercettibile, tu, neanche lo sai, ma per un secondo, sei stata seduta qui, accanto a me.
Io sono solo un ladro di dettagli, a tutte quelle persone che mi attraversano come fossi un temporale, rubo qualcosa, loro neanche se ne accorgono. Sul momento non ci fanno caso, magari però, quando arrivano a casa si passano una mano sul viso e si rendono conto di avere uno sguardo in meno. Altri svuotano le tasche dei loro paltò e hanno perso tre o quattro sospiri. Altri ancora si tolgono il maglione e hanno come l’impressione di aver perduto una carezza di profumo. Mi sembra quasi di vederli, quelli a cui ho rubato un dettaglio. Rimangono interdetti, come quando aspetti per un tempo troppo lungo lo scatto della lancetta dei secondi, come quando indossi una giacca che non metti da mesi e trovi una moneta nel taschino. Non te l’aspetti, cerchi di capire e alla fine, per un motivo sconosciuto, ti metti a pensare. E sorridi. Mi sembra di vederli, quelli a cui ho rubato un dettaglio. Assolutamente immobili, aspettando che la lancetta dei secondi compia lo scatto successivo.
Questa è la mia refurtiva, sono un mascalzone a piede libero. E’ impressionante il numero di dettagli che puoi rubare alle persone, ne ho la casa piena, che se mi metto a pensarci ai dettagli che ho rubato, ci vado fuori di testa. La procedura è molto semplice, sempre la stessa: nascondo un po’ del vostro mondo dentro la mia mente, lo faccio passare per il cuore, attraversa l’avambraccio e poi giù, fino alle dita. Ve lo restituisco sotto forma di musica, ma non tutto, un pezzetto del vostro mondo me lo tengo per sempre con me. Se mi metto a pensarci ci vado fuori di testa.
Perciò eccomi qua, adesso lo sapete, se volete indietro un pezzetto dei vostri dettagli, uscite di casa, in uno dei vostri giorni “sciolti”, prendete una via, una di quelle che vanno verso il centro e venite ad ascoltare. Anche se non mi trovate, voi state ad ascoltare.
Imploro il vostro perdono, in fin dei conti sono solo un ladro di dettagli, un matto ai bordi di una piazza che costruisce esistenze fra una pausa e un Si bemolle. In fin dei conti sono solo un pianista fuori posto. Io, in fin dei conti, sono solo.
“Il pianoforte reclama l’abbandono: esso non vuole essere suonato, ma è lui che vuole suonare tramite il pianista. L’esecutore abbandonato al suo strumento diviene egli stesso strumento, in un gesto impersonale e per questo totale, e la Musica, misteriosamente, inizierà a sgorgare, fresca e leggera”. (Giovanni Allevi, La musica in testa).
Continuo a portare in giro la musica per le strade di questo mondo pazzo. (Mad World – Gary Jules)
Questo racconto è dedicato a Paolo Zanarella, è lui il “Pianista fuori posto”. Se vi capita di incontrarlo in una piazza qualunque, di un giorno qualunque, rallentate il passo e fatevi un regalo. Ascoltateli, lui e il suo pianoforte. E rubate loro una nota.