di Francesco Sasso
Le riviste letterarie dovrebbero proporsi come centri di militanza, congiungendo nomi operanti su piani ideologici diversi e capaci quindi di accogliere il nuovo, in cerca delle varie modulazioni artistiche o di un’immagine reale del mondo e dell’uomo. Non sempre è così. D’altronde non è qui il luogo per un’analisi critica delle riviste contemporanee (accademiche o no). E’ d’obbligo però segnalare la nascita di una nuova e interessante rivista: Il piede e l’orma (Pellegrini Editore, n.1, gennaio-giugno 2010) diretta da Alfonso Cardamone.
La rivista esprime nel titolo l’aspirazione ad un utopico mondo in cammino come il piede e l’orma, nati dallo stesso gesto (il cammino, il viaggio), identici eppure contrapposti. Un luogo d’incontro, quindi, e di amalgama di tutte le iniziative e le esperienze nel mondo. Un cammino rapsodico verso la conoscenza della realtà. Scandaglio esplorativo che si estende a vari settori pertinenti alla società (migrazione, guerra, l’islam, colonialismo, esilio, la condizione della donna ieri e oggi). Infatti le sezioni della rivista percorrono un ideale cammino orizzontale nello spazio (Africa, Australia, Balcani, Iran, Italia, Mediterraneo, Palermo, Turchia) e un cammino verticale nelle idee: città, cronotopie, esili, origini, verso Camus.
Nella Presentazione a firma Alfonso Cardatore (direttore) e Walter Pellegrini (editore) leggiamo:
«Contaminazioni mediterranee. Lo sguardo è rivolto verso Sud. Verso le sponde del mediterraneo e ancora più a Sud. Il Mezzogiorno come proiezione all’infinito dello sguardo. Acque e terre dalla notte dei tempi solcate/attraversate secondo flussi di conquiste violente o di attraversamenti nomadi portatori di proliferi contagi. Nell’un caso e nell’altro il piede ha aperto orme, ha generato culture, ha prodotto letteratura, espressioni artistiche persino nel sangue delle lacerazioni più violente» (p.3)
Il volume è formato perlopiù da saggi e da pochissimi testi creativi. L’organizzazione interna dei testi è «intenzionalmente flemmatica, in qualche maniera costruita per autogerminazione» (p.4). E ciò è ottima cosa.
Il volume si apre con il saggio di Ugo Frasca: I 400 scatti. Malaparte in Etiopia in cui si analizza l’opera fotografica di Malaparte. Dal soggiorno in Etiopia, Malaparte non trasse nessun romanzo o reportage, ma molti scatti fotografici.
In L’impero dimenticato di Savero Lutrario, partendo dal film Il leone del deserto del registra siriano Moustapha Akkad, si osserva che «Nessuno è stato mai chiamato a rispondere dei crimini di guerra e contro l’umanità sistematicamente perpetrati dagli italiani nelle colonie» (p.20). Il saggio demolisce il mito degli “italiani brava gente” e evidenzia come «L’Italia non ha fatto i conti con la propria storia» (p.20). Di grande interesse la traduzione del poema Campo di concentramento di Al-agaila del poeta libico e studioso del Corano Rajib Buhwaish Al-Manfi.
Cacciatori di piste di Carlo Scappaticci è un reportage di un’escursione nel deserto algerino, mentre Un altro mondo: l’Australia fiabesca di Murray Bail analizza il romanzo di Bail Eucalyptus (1998) con un accenno a Il barone rampante di Calvino.
Bello ed intenso il breve Un ponte sulla storia di Mario Amato in cui si analizza il romanzo Il ponte sulla Drina di Ivo Andric: «Andric è consapevole che nessuna cultura resta chiusa e immutata nel tempo, ma si forma apprendendo da altre culture e dando ad altri mondi». (p.57)
In Sulle orme di città antiche, Renzo Scasseddu analizza l’origine etimologica di alcune città italiane, mentre Impressioni di viaggio di Andrea Carbonari è un racconto divertente dell’esperienza di un italiano emigrato a Colonia.
Il saggio La letteratura, le ombre, le orme di Marcello Carlino, come si può intuire dal titolo, è un lungo saggio su letteratura-ombre-orme con sconfinamenti nell’arte.
L’atro saggio di grande interesse è Il piede di Robinson e l’orma di Venerdì di Giuseppe Panella. Qui si mette in evidenza come Daniel Defoe è «tra gli autori di opere narrative più immediatamente legati al nuovo corso economico in atto in Inghilterra all’alba della Prima Rivoluzione Industriale». (p.82). Panella analizza il romanzo Robinson Crusoe, evidenziando come il protagonista sia il modello di borghese esemplare: «nasce il mito di Robinson, l’”uomo di natura”, autonomo, indipendente e libero dai legami sociali». L’incontro del protagonista con l’indigeno Venerdì, inoltre, è «l’investitura del piede sul capo, nasce il colonialismo moderno e l’asservimento dei popoli considerati di razza inferiore. Prendendosi cura di Venerdì, salvandogli prima la vita e poi dandogli da mangiare e da vestire, Robinson individua nell’altro da sé qualcosa da sottoporre al proprio dominio e al proprio controllo assoluto» (p.95)
Ne Il postmoderno e l’orma della verità di Michele De Gregorio, come suggerisce il titolo, analizza «Uno dei miti portanti della modernità, fornito di antichissime radici ma crollato nei nostri anni postmoderni, è quello della conoscenza come impressione della realtà oggettiva sulla nostra soggettività, sull’anima come “tabula rasa”, per dirla con Aristotele» (p.101)
Tracce di un esilio, invece, è la testimonianza diretta di Ziad Elayyan, scrittore giordano d’origine palestinese, in Italia dal 1980.
Ottimo e interessante il saggio di Jasmine Barahman (Anzio 1984) dal titolo “S-velare” col fumetto: l’Iran di Marjane Satrapi. La studiosa analizza l’intera opera della fumettista iraniana nata nel 1969, emigrata in Francia e impostasi sulla scena mondiale attraverso l’albo autobiografico a fumetti Persepolis: «Persepolis è il primo esempio di autobiografia grafica persiana: forma ibrida tra autobiografia, romanzo di formazione e critica storico-sociale, il divenire della storia recente dell’Iran e il divenire ragazza Marjane sono inseparabili» (p.115).
Marjane Satrapi racconta dell’impossibilità di molte donne iraniane a adattarsi alle regole imposte dal governo teocratico, e di come si sia formato una «netta divaricazione dei comportamenti delle donne tra ambito pubblico e privato». Le iraniane vivono nella continua sensazione di estraneità, in uno stato di schizofrenia, ma pur sempre lontane dall’immagine della donna iraniana diffusa in Occidente.
Francesco De Napoli in Aspetti abnormi d’incultura volgar-popolare nazional-malcostume, ovvero pubblicità/pattume analizza il ruolo degli intellettuali di fronte alle urgenze del presente con il recupero del pensiero di Gramsci.
Altro saggio notevole è Eìdola e Androktònoi le radici mitologiche della misoginia occidentale di Alfonso Cardamone, il quale, partendo da Esiodo, Omero e dalle tragedie di Euripide, rintraccia le origini della misoginia nella cultura greca.
E ancora: Mamma li turchi! di Antonio Limonciello è un bel reportage sull’arte e la cultura in Turchia. Punto di osservazione è l’Istanbul Bienal XI, sorta di Biennale di Venezia con lo sguardo rivolto verso l’ex impero ottomano e l’ex Unione Sovietica. Aree di intensità islamiche, ma anche aree interessate a repentini mutamenti economici, politici e sociali: «E’ un bel vedere di un popolo giovane, in azione, eccitato per un futuro che vede migliore del presente e passato, un futuro che è là, nell’arte esposta nelle sale della Bienal» (p.168).
E mentre «Venezia raccoglie e rappresenta, Istanbul preferisce dissodare e seminare» (p.172) e si adopera per un accesso libero alla cultura (biglietti a basso costo, spazi d’arte diffusi nella città, ecc). Per concludere, un aspetto rilevante emerge dai dati riportati da Limonciello: Istanbul, paese laico ma anche islamico, potrebbe impartire lezioni di civiltà all’occidente. Per esempio, sul rapporto uomo-donna: 32 artisti uomini, 30 artiste donne. Gli artisti sono per lo più giovani. Basta confrontare questi numeri con quelli della Biennale di Venezia per capire il dislivello fra cultura imbalsamata e cultura viva.
Il volume termina con due saggi dedicati a Camus: Camus e il fato di Igor Cardella e Il malinteso: allestimento teatrale di Amedeo di Sora.
Nel primo numero la rivista imposta alcuni temi destinati ad un rilievo sempre maggiore nel dibattito culturale italiano e nei prossimi numeri di Il piede e l’orma, come, ad esempio, la rivitalizzazione della letteratura italiana nel rapporto diretto con i problemi sociali, la conoscenza delle altre culture, la riscoperta della tradizione e della storia come trampolino verso il futuro, costante invito a porsi nelle tesi degli altri, e ripudio del tentativo di livellare la spiritualità umana a un comune denominatore.
Seguiremo, se ci sarà possibile, l’evoluzione [il viaggio] di Il piede e l’orma, numero dopo numero, connessione dopo connessione tra le cose letterarie e esterne, quelle cose vive e operanti nella società che giungono alla nostra mente da altri versanti non meno importanti ed idonei a trasmetterci sensazioni e idee, poiché siamo abilitati a esistere e coesistere con gli altri, a intersecarci vicendevolmente, talora a fonderci con essi, appunto come il piede e la sua orma nel momento dell’incontro/pressione.
f.s.
[Il piede e l’orma. Contaminazioni meridiane. Cosenza, Pellegrini, Anno I, n.1, gennaio-giugno 2010]
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