Ma credo, o voglio credere, che la Setta dei Poeti Assassina non sia una congrega particolarmente numerosa, a meno di includere appunto anche i casi limite: i suicidi, gli esclusi e i deportati.
Forse i despoti pensano che gli uomini della parola vadano soffocati letterariamente e mentalmente, mentre si deve uccidere chi si ribella fisciamente o un avversario politico. Non a caso ben trentasette dei primi cinquanta imperatori romani sono morti di morte non naturale...
Forse questo indica in realtà una paura più profonda del potere della parola e della poesia, che di un avversario manifesto (o a vità più breve).
Qui si nasconde tuttavia un paradosso che i tiranni e macellai non hanno considerato, e che gioca a loro sfavore: molti degli uccisi, proprio in quanto uccisi, sopravvivono nel ricordo ferito, nella loro arte....
(da Bjorn Larsson, I poeti morti non scrivono gialli, Iperborea)