Magazine Cinema
Ci sarebbero tante, tantissime cose da dire su "Il ponte delle spie" di Steven Spielberg e spero di poterlo fare presto. Intanto mi lascio gentilmente cullare dai postumi di una delle visioni più intense, più eleganti, più incondizionatamente umaniste dell'anno. Non avevo alcun dubbio: Steven Spielberg continua a credere nell'uomo, nel singolo in grado di fare la differenza. Tom Hanks è - ancora una volta - il suo James Stewart, il cantore morale di un mondo affondato che può riportare a galla unicamente con la sua fede cieca nei confronti dell'altro. Nell'eleganza formale di ogni piano, nella luce bianca, abbagliante, che supera le cornici dell'immagini e invade sempre il campo, riscopro l'alfabeto sentimentale - e mai sentimentalista - del cinema che più amo. Che è un cinema di sguardi, di grandi imprese, di uomini tutti di un pezzo detentori di un codice etico e di un'umanità a dir poco disarmanti. E la sequenza innevata dello scambio sul ponte è solo uno dei momenti di grandissimo cinema che Spielberg continua a regalarci. Per non parlare di quel finale, di quello sguardo sul mondo e sugli uomini, che traduce in pochi istanti il senso stesso stesso del gesto filmico spielberghiano. Che è un gesto, ancora una volta, carico d'amore.
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