Venezia è rimasta uguale a se stessa per secoli. Nella missione di preservare la città eterna in tutto il suo splendore, sono stati pochi (e tutti molto discussi) gli interventi per adeguarla al presente. Ad inizio millennio però, l’Amministrazione Comunale volle “regalare” ad abitanti e turisti un nuovo ponte che fosse l’emblema della nostra società contemporanea.
La città era pronta a costruire il quarto ponte sul Canal Grande.
Dopo il Ponte di Rialto, elegante prototipo di una galleria commerciale, il Ponte dell’Accademia con i suoi materiali essenziali (pensato come provvisorio ma mai sostituito dal progetto in pietra), e l’imponente Ponte degli Scalzi costruito tra il 1932 e il 1934 a rimpiazzo di un ponte in ferro di metà ottocento, era giunto il momento di consacrare l’importanza raggiunta negli ultimi decenni dalla zona di Piazzale Roma e della Stazione, nuovo punto nevralgico della città e principale luogo di origine dei flussi che vanno a popolare calli e campi.
Il nuovo ponte doveva rappresentare lo stile della nostra epoca ma allo stesso tempo armonizzarsi con le forme della città eterna: solo immaginarlo era una sfida.L’Architetto Santiago Calatrava vinse il bando disegnando un ponte futuristico, esteticamente impeccabile, peccato che, efficacia, comodità, rispetto degli standard delle infrastrutture urbanistiche (lunghezza dei gradini, rampa riservata ai disabili, sicurezza dei materiali sui quali si cammina…) sembra siano stati totalmente ignorati nella progettazione.
Quello che è successo dopo lo sappiamo: per costruirlo ci vollero sette anni – doveva essere realizzato in 456 giorni e ce ne vollero oltre duemila; doveva costare 6,7 milioni e ne costò invece 11,6; l’ovovia per i disabili, costata due milioni, non funziona.
Ad una pioggia di polemiche, lamentele e denunce al Comune perché sul ponte più di qualcuno ha rischiato di rompersi l’osso del collo, si sono aggiunte inchieste, sentenze e ricorsi infiniti alla Corte dei Conti da parte dell’Amministrazione Comunale nei confronti del progettista, del direttore lavori e dell’Architetto Calatrava. Un’opera quanto mai controversa e discussa.
Non capisco, ma di cosa ci lamentiamo? Il “Ponte della Costituzione” non doveva essere il simbolo della nostra contemporaneità?
Lo spreco di soldi pubblici; Gli errori di tecnici, ingegneri, architetti strapagati che non si prendono la responsabilità delle proprie azioni; Le discutibili decisioni dei politici a prescindere dal colore della bandiera; I processi infiniti che si concludono senza nessun colpevole (tanto alla fine paga sempre il contribuente); La passione per l’estetica a discapito dell’utilità (vedi le file per acquistare l’ultimo modello di smartphone) non sono forse tratti distintivi della nostra società?