Il popolo italiano e la guerra dell’Islam

Creato il 23 agosto 2014 da Alessandro Zorco @alessandrozorco

La violenta esecuzione del reporter americano James Foley da parte degli integralisti islamici dell’Isis ha portato alla luce una situazione che gli esperti di politica internazionale conoscono da anni: massacri, decapitazioni, stupri ai danni delle minoranze si verificano purtroppo da tempo. Forse già dal 2011 quando le truppe statunitensi hanno abbandonato quelle terre dopo aver deposto il regime di Saddam Hussein.

Quello che oggi sta succedendo in Iraq e in Siria, con i miliziani del Califfato instaurato da Abu Bakr al-Baghdadi che paiono aver sostituito i terrorosti islamici di Al-Quaeda, evidenzia spietatamente che la velleità degli Stati Uniti di “esportare la democrazia” nei paesi musulmani è stato un clamoroso errore di presunzione.

Alla crisi internazionale in Iraq, che questa volta rischia seriamente di sfociare in una terza guerra mondiale, i paesi occidentali, america in testa, sembrano orientati a rispondere nel solito modo: con la guerra. Nei giorni scorsi il premier italiano Matteo Renzi è volato a Baghdad e ha annunciato l’impegno dell’Europa e dell’Italia a favore delle minoranze attaccate dai miliziani islamici. Come? Spedendo ai guerriglieri curdi qualche tonnellata di armi obsolete ex sovietiche sequestrate nel 94 ai trafficanti finora stipate in un deposito sotterraneo alla Maddalena, in Sardegna.

Ma che cosa ha fatto finora la civilizzata e moderna Europa per tutelarsi dall’avanzata del terribile pericolo islamico? Come percepisce il popolo italiano questi eventi? Ma soprattutto si può ancora parlare di popolo italiano? O di popolo europeo?

L’identità di un popolo

Essere un popolo non vuol dire solo far parte di una nazione o essere nati in un determinato territorio fisico, ma vuol dire aderire a un ideale più alto, a valori che diano un senso di partecipazione e di appartenenza.  Avere radici comuni.

Oggi, tramontate le grandi ideologie del passato, di cui la storia ha smascherato storture e mistificazioni, quali grandi valori uniscono il popolo italiano?

La raccomandazione? La furbizia? Il calcio? Il telefonino? L’iPad? Il selfie di fronte al mare? La foto del proprio gatto?

A dire il vero forse, in passato, qualcosa su cui trovare una unità di vedute c’è stato. Pare che circa duemila anni fa un uomo (lasciamo stare che fosse il Figlio di Dio, anche se personalmente io credo di sì) sia venuto sulla terra e abbia rivoluzionato le regole esistenti parlando di amore, di giustizia, di difesa dei più deboli. Parlando di libertà. Qualcuno dice che lo abbiano ammazzato per questo. Esattamente come adesso i miliziani islamici stanno ammazzando le minoranze che continuano a credere in Lui nelle terre insanguinate dell’Iraq e della Siria.

Da quell’uomo è nato un complesso di tradizioni imperniate sul libero arbitrio, il rispetto della dignità e la giustizia che, volenti o nolenti, nel corso dei secoli hanno influenzato ogni aspetto della nostra vita occidentale: la politica, la società, la cultura, l’arte.

Tutti, persino le organizzazioni degli atei e degli agnostici, riconoscono l’esistenza di quelle radici comuni.

Eppure stiamo tentando in tutti i modi di sradicarle.
Nel dibattito sulla Costituzione dell’Europa, entità politico-economica che davvero potrebbe incidere positivamente nella vita dei cittadini se oggi non fosse ridotta ad un plutocratico organismo che mangia soldi e libertà, le radici cristiane sono state eliminate come delle erbacce.

Certo, in questi secoli la Chiesa ha fatto degli errori, a volte gravissimi. Umanamente imperdonabili. Ma oggi il mondo occidentale sembra voler buttare via tutto: il Bambino e l’acqua sporca.

Eppure la storia non si cancella così. Non basta sbattezzarsi e avere un certificato per liberarsi della tradizione millenaria che, volente o nolente, ognuno di noi si porta dentro.

Anche l’Europa delle lobby e dei grandi poteri si sta sbattezzando, rinnegando le sue umili e forti radici cristiane. E così sta facendo l’Italia, così anche la Sardegna che però (quante contraddizioni nei nostri comportamenti!) – applicando anche in questi giorni il principio cristiano dell’accoglienza dello straniero (vedi il post sugli immigrati ospitati a Sadali) – continua giustamente ad aprire le porte ad altri esseri umani in difficoltà, appartenenti a civiltà e religioni diverse.
Aprire le porte per conoscere e valorizzare l’immenso tesoro delle civiltà diverse dalla nostra è una cosa sacrosanta, ma è molto discutibile se questo significa rinnegare le proprie radici, dunque se stessi.

Un padre che vuole tutelare la sua famiglia, se pure apre le porte della propria casa agli ospiti, non si lascia certo derubare delle cose più preziose.

Invece noi, dopo aver ospitato gli immigrati islamici applicando i principi di carità cristiana e offrendo loro la possibilità di costruirsi un futuro nel nostro Paese, in nome di una finta libertà ed emancipazione, abbiamo tolto i crocefissi (simbolo della nostra radice cristiana) dai luoghi pubblici per non “offenderli”. Salvo poi emarginarli coi fatti.

Abbiamo dato loro la possibilità di costruire i propri edifici di culto perché, secondo la nostra cultura (quella che però stiamo rinnegando), ognuno ha il diritto di professare la sua religione o di non professarne alcuna (libertà che purtroppo gli islamici non riconoscono ai cristiani nelle loro terre).

Intanto la popolazione autoctona invecchia e muore, mentre cresce il numero delle famiglie di immigrati di cultura islamica.

Una società libera e multietnica è una cosa molto bella e affascinante, ma c’è un prezzo da pagare. E probabilmente è anche molto caro. Attualmente la popolazione italiana non ha una identità condivisa perchè quella che aveva la sta rinnegando a favore dell’altrui identità, a favore di un concetto di rispetto forse deviato.

Venti di guerra

Oggi da Oriente spirano feroci venti di guerra. Nei giorni scorsi il Papa ha parlato chiaramente di Terza Guerra mondiale.

I miliziani dell’Isis, mossi da un fanatismo religioso e ideologico, sgozzano, stuprano e decapitano le minoranze in Iraq, proponendoci scenari terribili. Ovviamente sappiamo bene che esiste una forma di islamismo molto più moderato e rispettoso, ma in ogni caso le leggi coraniche non sono un grande esempio di libertà religiosa. Soprattutto verso i cristiani.

Ecco perchè le parole profetiche di una giornalista atea come Oriana Fallaci (questo è il suo ultimo articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 15 settembre 2006) non andrebbero prese sottogamba: quel che sta succedendo in Iraq dimostra che esiste un pericolo islamico per tutto l’occidente “civilizzato”.

E in un’eventuale e apocalittica offensiva globale islamica i nostri ospiti, che nel frattempo saranno diventati ancora più numerosi, saranno riconoscenti per l’ospitalità ricevuta oppure tireranno fuori anche loro scimitarre e coltellacci?

A quel punto, sapremo difendere senza paura ciò che resta della nostra identità o ancora una volta rinnegheremo le nostre radici cristiane? Siamo veramente disposti a rinunciare con tanta leggerezza alla nostra storia e alle libertà che abbiamo conquistato con tante sofferenze? Grazie ai tanti martiri? Le nostre donne sono disposte a indossare senza fiatare chador e burka pur di vantarsi con orgoglio di non essere condizionate dai valori del Cristianesimo professati dalla terribile Chiesa cattolica?
Io spero di no. Ma il problema è che senza un ideale comune e un senso di appartenenza profonda non esiste un popolo: esiste solo della gente, facile da manipolare e altrettanto facile da dominare.


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