Il posto fisso di Bruno Trentin

Da Brunougolini

Non ha inteso operare una grande scoperta Mario Monti quando ha sostenuto che un’epoca, quella del posto fisso per tutta la vita, è finita. Non solo perché ne sanno qualcosa i tanti giovani assunti per periodi anche brevissimi ma anche gli anziani prepensionati che non riescono a trovare nuove occasioni di lavoro. C’è anche il fatto che quel tema ha tenuto banco su libri, saggi, ricerche. Erano dissertazioni sulla fine del fordismo, contrassegnato proprio dal posto fisso e l’epoca del postfordismo. Con trasformazioni, mutamenti, decentramenti che avrebbero dovuto imporre non la legge della precarietà ma quella dell’aggiornamento professionale permanente. Perché non solo i dentisti o gli idraulici, ma anche i metalmeccanici sono costretti a far fronte a innovazioni continue.
C’è stato un dirigente sindacale, Bruno Trentin, che aveva l’ossessione di questa tematica. Aveva affermato nel corso della sua ‘lectio doctoralis’, nel 2002, all’università Ca Foscari di Venezia:
"Una formazione permanente e una politica di riqualificazione, capace di garantire in luogo del posto fisso, prima di tutto un’occasione di mobilità professionale all’interno dell’impresa e, in ogni caso, una nuova sicurezza che accompagni il lavoratore il quale dopo un’esperienza lavorativa possa affrontare in condizioni migliori, di maggiore forza contrattuale, il mercato del lavoro".
Un ragionamento, un obiettivo che non si può liquidare con una battuta. Così come non si può liquidare il tema della “monotonia” non di questo o quel posto ma di certi tipi di lavoro. Quelli che obbligano ancora oggi molti lavoratori a mansioni ripetitive, monotone, stressanti. Non parliamo solo agli operai della Fiat oggi sottoposto a 18 turni, ma anche agli autisti del trasporto pubblico o ai commessi degli ipermercati. Come quelli che l’estremista Spiegel giorni fa ha chiamato “Schiavi moderni”.
E allora il problema è introdurre nei modi di lavorare elementi di partecipazione attiva, di soddisfazione non solo economica. Oltre che una certa sicurezza, sostenuta dall’aggiornamento continuo, circa i fatto che non ci saranno rotture contrattuali intese come periodi di abbandono del lavoro e quindi di diritti e tutele.
Soprattutto di questo dovrebbe discutere la trattativa sulla Grande riforma del lavoro. Trattativa che non sembra ancora iniziata visto che dopo la promessa di scambi telematici siamo allo scambio di battute. Con il governo che fa penzolare (un giorno si e un giorno no) la spada di Damocle dell’articolo 18. Così come fa penzolare, senza proposte chiare e leggibili, la promessa di dare una risposta almeno “in progress” all’esercito dei precari in attesa.
E comunque è doveroso essere ottimisti. Se il governo è riuscito ad affrontare farmacisti e tassisti, anche prendendo atto delle loro discutibili richieste, è inimmaginabili che ipotizzi invece una rottura con i rappresentanti dell’intero mondo salariato (nonché spesso senza salario e senza diritti).

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