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Il posto vuoto

Creato il 15 aprile 2013 da Pinomario


“Ci sono tempi nei quali pensare che esista qualcos’altro o che la realtà possa anche essere diversa da quella che al momento ci si offre come unica può essere il solo conforto possibile” (W. Schmid).
Quello che stiamo vivendo adesso è proprio uno di quei momenti? Certo, oggi un qualche bisogno di conforto sembra evidente, per molte ragioni. Ma, forse, avremmo bisogno di introdurre quella modalità di pensiero in ogni fase della nostra vita. E non pretendere di occupare tutte le caselle, in ogni possibile rappresentazione del mondo e della realtà.
Allenarsi a lasciare, invece, sempre, un “posto vuoto”, una porta aperta, si potrebbe dire, senza la quale siamo destinati a sentirci “incartati”, in forme di esistenza che non appaiono sempre splendide! In effetti, se fossimo capaci di andare oltre l’apparenza, l’ovvio e lo scontato, forse riusciremmo già a “sentire”, o a pensare almeno, che esiste qualcos’altro, al di là di ciò che riusciamo, in certi momenti, a vedere o ad immaginare.
E lasciamo perdere quei presunti “soloni” - dell’informazione, della cultura, della politica, ecc. - che “pontificano”, con la pretesa di rappresentare lo stato delle cose e i destini delle comunità, e ripropongono testardamente le loro elucubrazioni, noncuranti del fatto che la storia le smentisca continuamente. Sarebbe un bell’esercizio di ecologia della mente, non perdere di vista che tutte le analisi e le conoscenze, proposte come rigorose e oggettive, sono solo interpretazioni e non descrizioni della complessa realtà. Si può sempre pensare che esista qualcos’altro, appunto!
Ci sono più cose in cielo e in terra di quante i nostri modelli concettuali, costruiti dall’uomo sulla base del già sperimentato e del già dato, riescano a rendere visibili. Quante dimensioni dell’esistere, quante connessioni possibili rimangono nell’ombra e nell’impensato! C’è sempre qualcosa d’altro che la nostra conoscenza, anche quella più “scientifica” o consolidata, lascia fuori. Spesso per la pigra abitudine a voler far “quadrare” i fatti negli schemi di racconti già sentiti.
C’è sempre qualcos’altro in una relazione, per esempio, o nella vicenda di un amore, che può permettere di pensare e narrare diversamente esperienze e storie. E non è raro che qualcosa di inaspettato, talora, appaia e cambi la vita.
C’è sempre qualcos’altro, oltre le asserite evidenze, forzatamente univoche, anche nella convivenza sociale o nelle dinamiche politiche, che può rendere possibile immaginare e inventare un cammino comune verso un’altra polis.
C’è sempre qualcos’altro anche negli orizzonti di futuro, su cui siamo fissati e che continuiamo a proiettare come vecchi film, nei quali non riusciamo a cogliere quei dettagli, che spesso irrompono, inattesi, a cambiare la scena.
C’è sempre qualcos’altro anche nel nostro sé interiore, o nelle dimensioni molteplici della nostra anima, - i cui confini, diceva il filosofo, non si possono mai raggiungere completamente. Anche il racconto di una vita a brandelli lascia sempre fuori qualcos’altro, che un nuovo e diverso modo di raccontare potrebbe far emergere e rendere fecondo.
È noto che i bambini chiedono che venga loro narrata, anche decine di volte, la stessa storia, e sembra che lo facciano solo per il piacere della narrazione e dell’ascolto. Ma forse non è proprio così. Infatti, ricordo che, bambino di 5 o 6 anni, anche a me piaceva sentirmi ri-narrare vecchie storie già sentite e conosciute. Ma rammento anche, molto bene, che, ogni volta, speravo o attendevo che, durante il racconto, apparissero fatti nuovi, oppure eventi inaspettati, che portassero, magari, a un’altra conclusione!
Solo ingenuità infantile o piuttosto quel necessario impulso vitale, umano, ma più forte e impellente nei bambini, a non considerare nessuna conoscenza – nessuna ricostruzione - come esaustiva, e a tentare di sfuggire dalla rete di modelli standardizzati, che presumono, inutilmente, di imprigionare la realtà, la quale rimane sempre più ampia della conoscenza che se ne può avere?


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