Video e aziende
Grafico tratto dalla ricerca Pixability Top 100 Brands on YouTube 2013
Una ricerca condotta recentemente dalla società americana Pixability ha evidenziato la crescita esponenziale dei video realizzati dalle aziende: solo le 100 marche più importanti del pianeta generano oltre 9.000 video al mese. Uno sforzo di produzione massiccio, del valore di miliardi di dollari che, in otto anni, ha creato 258.000 video distribuiti su 1.378 canali (quasi 14 canali per ogni brand) con 9,5 miliardi di visualizzazioni. Per dare un termine di paragone, gli spettatori italiani che si recano al cinema in un anno sono 91 milioni.
Grafico tratto dalla ricerca Pixability Top 100 Brands on YouTube
Non sorprende quindi che il settore industriale in testa per produzione di contenuti sia proprio quello dei media. Trailer, programmi televisivi, documentari, notizie, concerti e video musicali costituiscono di per sé contenuti pronti per essere distribuiti. Seguono poi la tecnologia (B2B e B2C) e il settore automobilistico. Da qui in poi uno scalino sensibile separa gli altri settori, con un trio composto da Abbigliamento, Largo Consumo e Alimentare. Il volume di contenuti generati può quindi essere dipendente dallo specifico scenario di settore? Il grafico sembrerebbe suggerire di sì: la combinazione della rotazione elevata di prodotti e dell’ampiezza e segmentazione dei target da raggiungere moltiplicano l’utilizzo di video.
Contrariamente a quanto si possa pensare, un video è un investimento a medio e lungo termine. Mentre un aggiornamento su Facebook ha una vita media inferiore a un giorno, un video raccoglie il 40% di visualizzazioni nelle prime tre settimane, spesso spinto proprio dai Social Network e dalle condivisioni, un altro 30% di visualizzazioni viene sviluppato tra 1 e tre mesi ma nei successivi nove mesi un video raccoglie un ulteriore 30% di visualizzazioni. Merito, questo, anche dell’indicizzazione e della crescente integrazione tra Google, YouTube e Google+. Non solo: i video, così come le immagini, sono un potente motore di condivisione e viralizzazione, anche se questo fatto appare molto legato alla notorietà della marca e non solo alla qualità del contenuto. Nella Top 100 delle marche oggetto della ricerca, le prime 25 hanno ottenuto 330 volte più attività su Facebook e 80 volte su Twitter rispetto alle ultime 25.
I video sono realmente efficaci?
Grafico tratto dalla ricerca Pixability Top 100 Brands on YouTube 2013
Non è però tutto oro quello che luccica. La ricerca di Pixability mostra che il 50% dei video caricati da queste aziende ha ricevuto meno di 1.000 visualizzazioni e un ulteriore 30% meno di 10.000. L’80% dei video prodotti ha quindi avuto un impatto minimo sul business, tenendo conto che stiamo parlando di aziende globali. A ben vedere, quindi, andrebbe considerato efficace solo quel 4% di video che è riuscito a superare la soglia delle 100.000 visualizzazioni. Ha senso allora investire in video?
La risposta è positiva per varie ragioni. Innanzitutto, come dicevamo prima, i contenuti video hanno una probabilità superiore di 53 volte di raggiungere la prima pagina dei risultati di Google rispetto ad altri tipi di contenuti (siti aziendali, blog, immagini, ecc.). Inoltre chi è stato esposto a un video di prodotto ha una tendenza a convertire in acquisto superiore dell’85% rispetto a chi non lo ha visto. Infine l’integrazione dei video nei siti aziendali è una buona idea non solo in termini di risultati di ricerca ma anche perché rappresenta il contenuto più richiesto dagli utenti.
Esiste una strategia per i video?
Stabilito che i video rappresentano un valido mezzo di marketing, ma anche che la totemica richiesta dei clienti alle agenzie “Voglio un video virale” resta una mera chimera nel 96% dei casi, cerchiamo ora di capire quali criteri seguire per costruire filmati in grado di supportare in modo efficace la strategia di marketing.
1) La qualità innanzitutto: produrre contenuti ha un costo. Tra il mitizzato costo zero (“il digitale è gratis”) e i 50 milioni investiti da Red Bull nel progetto Stratos ci sono ben più di 50 sfumature di investimento. Non necessariamente in produzioni faraoniche, ma almeno in buone idee creative e in belle storie,
La serie The Fun Theory lanciata da Volkswagen un paio di anni fa si componeva di grandi idee creative, dal costo relativamente modesto di produzione, ma che hanno avuto un impatto enorme in termini di diffusione e, soprattutto, di immagine.
Meno costosa l’idea di Coca Cola che ha capitalizzato sulla notorietà in rete del duo esplosivo che creava coreografie strampalate mixando Coca Cola e Mentos.
2) Differenziare i contenuti per target: dai video consumer a quelli B2B, da quelli informativi agli spot, dalle docufiction ai musical. I principali brand producono contenuti di lunghezza variabile dai 45 secondi ai 15 minuti, pensati per segmentare il target, per diversi momenti di utilizzo e per differenti terminali (PC, tablet, smartphone, smart TV).
Si può andare da BMW che ha creato una vera e propria serie di cortometraggi girati da grandi registi come John Frankenheimer o Ang Lee, aumentando le vendite del 12% nel primo anno di uscita
a Groupon che ha creato un video di presentazione semplice, veloce e totalmente basato sulla grafica
groupon
3) Sviluppare una strategia di distribuzione: creare un canale dedicato YouTube è sicuramente una buona scelta: consente di presentare i propri contenuti in modo aggregato e organico, fornisce la possibilità di rendere evidenti altri contenuti quando un utente entra nel canale, permette una personalizzazione dell’esperienza con la grafica e l’attitudine della marca.
Molte delle aziende principali possiedono più canali (in media 14 l’una) ma spesso alcuni di essi sono abbandonati. Meglio quindi moltiplicare i contenuti per alimentare un flusso costante e regolare di video che moltiplicare i canali. E non dimenticare che ogni video ha bisogno di una specifica strategia di distribuzione e marketing. E’ fondamentale avere presenti gli obiettivi e il target a cui ci si rivolge e costruire una strategia di distribuzione, sempre più spesso multicanale, in funzione di questo.
Per esempio, lo spot The Force di Volkswagen, combinava una grande idea creativa – che ha agevolato la diffusione virale – con una strategia di distribuzione che ha coinvolto Social Media, media tradizionali, PR e Digital PR in uno sforzo coordinato e multicanale. Il risultato? più di 58 milioni di visualizzazioni del solo video ufficiale.
4) Sviluppare una content strategy: la produzione di video deve essere sempre finalizzata al raggiungimento di obiettivi di business: notorietà, rafforzamento dell’immagine del brand, coinvolgimento, ecc. Non solo: la strategia creativa deve rafforzare il posizionamento della marca. In Red Bull ogni video rafforza la promessa di portare ognuno fino al proprio limite.
5) Non sottovalutare la SEO: YouTube, è bene ricordarlo, è il secondo principale motore di ricerca. Inoltre, il fatto che sia controllato da Google integra i contenuti nelle ricerche. Occorre quindi prestare particolare attenzione a indicizzare in modo corretto e completo sia il canale sia i singoli video, sfruttando tutte le possibilità messe a disposizione. Solo in questo modo si potrà riuscire a emergere nei risultati di ricerca.
Il marketing con i video è solo per le grandi aziende?
No. Non è necessario chiamarsi Disney o Ford o Coca Cola per utilizzare i video nella propria strategia di marketing. Occorre invece avere ben presente obiettivi e risorse. Se per una multinazionale 1.000 visualizzazioni non rappresentano nulla, per un’azienda nazionale che opera nel B2B possono essere un successo incredibile.
Il punto di partenza è sempre quello: soddisfare un’esigenza dei propri utenti e capire come raggiungerli o farsi raggiungere attraverso le ricerche. Allora anche un video di istruzioni di montaggio di una fotocopiatrice potrà essere un grande successo.