E’ già tempo di un nuovo venerdì del libro di Homemademamma. La ‘povna, in questa settimana, ha letto un po’ di questo e un po’ di quello, fermando il contatore dei libri di gennaio su un onesto sei (ma si poteva fare meglio) e mettendo in saccoccia qualche scoperta interessante, qualche intrattenimento onesto (soprattutto giallistico) e una decisa delusione. Per il loro circolo di consigli di lettura, sceglie allora di affidarsi di nuovo alla diletta Astoria.
Con Il prato di camomilla Mary Welsey pubblica nel 1984 – e in maniera quasi anacronistica – un libro singolare. Ambientato nella Gran Bretagna della seconda guerra mondiale, è un romanzo corale dopo il suo tempo, scritto in uno stile che rimanda a quello di tanti romanzi cosiddetti ‘leggeri’ anni Trenta (in particolare, vengono in mente Michael Arlen o Charles Morgan – ma anche in qualche modo il Christopher Morley di Tuono a sinistra). In più, ovviamente, c’è tutta una consapevolezza storiografica che consente di trattare con distaccato anticonformismo gli avvenimenti bellici, vero e proprio cardine della rappresentazione di un’idea di patriottismo britannico che arriva fino a ora. La trama coinvolge le vicende dei cinque nipoti di una coppia di zii che vive in una casa di campagna in Cornovaglia (da cui: il prato di camomilla): Polly, Calypso, Walter, Oliver e Sophy. Per tutti i cugini – così come per tutti i loro amici che hanno fino a quel momento condiviso una quieta giovinezza idillica in quell’angolo di mondo – la vita è destinata a cambiare in modo forte – un cambiamento che coinvolge anche, come un tornado irresistibile, la vecchia generazione. Attraverso una focalizzazione multipla (con almeno cinque paralleli e principali punti di vista, più alcuni secondari) e un costante flashback (e qui forse fa capolino Ritorno a Brideshead) che arriva al passato dal presente (unico, labilissimo legame, a fare i conti degli anni, con il periodo attuale di redazione del testo), la narrazione si concentra sugli eventi del cosiddetto fronte interno (quei civili che furono il vero altro fronte dei combattimenti), descrivendo la guerra – con l’inevitabile sovvertimento di valori, priorità, regole, come un periodo di paradossale divertimento, sperimentazione dei propri limiti, liberazione. Mentre gli uomini della generazione giovane (e anche il ricco e anziano marito di Calypso) sono in guerra, coloro che restano a casa (le tre cugine, Calypso la bella, Polly dall’anticonvenzionale buon senso, la ancora giovanissima Sophy; così come la generazione dei ‘vecchi’: gli zii Richard e Helena, una coppia di profughi ebrei tedeschi, Max e Monika, cui i due inglesi hanno dato assistenza e protezione) aguzzano l’ingegno per vivere ‘bene’ nonostante le restrizioni e dimenticare le disgrazie (Monika), ottengono una relativa fama coi concerti (Max), intrecciano relazioni adulterine e impreviste (ancora Max e Helena), scoprono di essere relativamente utili (Richard, grazie a Monika), lavorano per l’Intelligence (Polly), si divertono e flirtano incessantemente con giovani in licenza mentre imperversano i bombardamenti (Calypso, soprattutto): in una parola, scoprono nella imprevedibilità di una sempre precaria esistenza la forza per dare voce ai propri desideri.
La scena finale – quella ambientata nel presente – prevede una reunion di tutti i personaggi superstiti: sono passati quarant’anni e si stanno recando a un funerale (di Max). L’ultimo incontro avviene così nella vecchia casa del prato di camomilla, durante un ricevimento funebre in cui tutti sembrano oramai invecchiati come maschere (e qui fa capolino, con consapevolezza, la celebre scena del Tempo ritrovato proustiano). Ma, quando il lettore sembra oramai rassegnato al cinismo del tempo che passa, il romanzo lo sorprende per l’ultima volta. E la narrazione si chiude con una nuova, timida, promessa di futuro per due dei personaggi. E con una massima pericolosa che sembra prendere in considerazione, fare propria, e poi smentire ironicamente tutta la teoria di Peter Brooks e del suo desiderio di trama. “Sta’ attento a quel che desideri” – dice infatti la (non più troppo) giovane Sophy mentre si avvia verso il sogno di una vita di realizzazione romanzesca (un futuro con il cugino Oliver) – “perché sicuramente si avvera”.
ps. La ‘povna approfitta del venerdì letterario anche per aggiungere una postilla a una recensione precedente. Alternate history, alternate ending: da qualche giorno ha fatto capolino sul suo sito ufficiale, una nuova versione del finale di 22/11/’63, che King – dimostrando una volta di più genialità, ironia, e sapiente uso del mezzo tecnologico – ha deciso di regalare ai suoi lettori. La ‘povna ne approfitta per riportare il link a questa succosa chicca (che dimostra – con la ripresa della citazione iniziale, sulle cicatrici del vaiolo che, in presenza dell’amore, “sono graziose come fossette” – una chiara consapevolezza della Esther Summerson di Bleak House).