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Il pregiudizio della stima

Creato il 21 febbraio 2013 da Spaceoddity
Ai cari, carissimi amici che la mia stima per te non verrà pregiudicata da una simile prova, io non so rispondere, se non che, comunque, ho di fronte a me una prova. Squallida, discutibile nel contenuto e nei metodi, ma pur sempre una prova. E che mi si chiede di superarla.
Il pregiudizio della stima
Ammesso - e concesso senza alcuna fatica - che la persona non sta tutta nelle capacità atletiche di districarsi tra un ostacolo e l'altro, si parla di stima, appunto, non di affetto. Conosco troppe persone che mi stimano pregiudizialmente, non avendomi mai visto all'opera nell'ambito del mio lavoro. Rispondere alla loro stima è, alle volte, un carico di peso notevole in più. E al responsabile della mia classe di concorso che mi ha incoraggiato con un sorriso e con parole che... mi si stringe il cuore al pensiero di deluderlo (era mio docente alla SSIS ed è stato presidente in una commissione di maturità di cui facevo parte) vorrei dire che rispondere al suo cospetto di tutta questa sicurezza non è facile. (Tra l'altro, lo ritengo anche troppo corretto e intelligente per farsi fuorviare dal suo pregiudizio positivo nei miei confronti).
In sostanza, alle volte, questa fiducia nelle capacità e nelle abilità di una persona, per quanto frutto di un'onesta valutazione di ciò che è e di come si rapporta con la vita, è un'aspettativa in più da soddisfare proprio mentre si hanno pensieri molto urgenti per la testa.
Per carità, non che si debba partire dimostrando ogni volta il proprio valore da capo, non è questo che intendo, ci mancherebbe altro. Ma un errore commesso in circostanze simili pesa il doppio, si riconfigura un rapporto fatto di crediti non supportati da fatti e così via. Io non voglio crediti di stima, ma essere apprezzato per quello che so e che so fare. E mi aiuterebbe di più sentirmi dire dove sbaglio (come succede nella scuola presso cui ancora per quest'anno lavoro). Non mi piace affannarmi a saturare questi conti aperti di stima, per il semplice fatto che io non voglio che si coprano amicalmente le mie inadempienze o i miei errori, ma che ci si aiuti a essere migliori. È per questo che non incoraggio mai i miei alunni in modo generico: se dico ce la puoi fare è perché - nei limiti dell'errore umano - so con certezza che quel ragazzo ha gli strumenti per farcela. Poi altri possono riuscirci e io li devo sempre aiutare, ma ho il dovere di dir loro cosa manca a ottenere un risultato. E, quale che sia la prova, io credo molto nei risultati.

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