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Il presidente della Somalia vola in Turchia (articolo completo)

Creato il 07 gennaio 2013 da Istanbulavrupa

Il presidente della Somalia vola in Turchia (articolo completo)(visto che il premier Erdoğan ha cominciato il suo tour africano, ho pensato di riprodure integralmente un mio recente articolo su L’indro: il link all’originale però non funziona…)

Il presidente della Somalia, Hassan Sheikh Mohamud, ha scelto la Turchia come meta del suo primo viaggio ufficiale all’estero: dopo esser stato eletto dal Parlamento – a settembre – per guidare il paese che cerca di uscire definitivamente dal caos della guerra civile e dalla miseria. E’ stata una visita di Stato, della massima solennità: e ad Ankara e Istanbul, dal 4 al 7 dicembre, ha incontrato tutte le più alte cariche turche (il presidente Gül, il primo ministro Erdoğan, lo speaker del Parlamento Çiçek), ha reso omaggio al mausoleo di Atatürk, ha incontrato imprenditori, ha firmato una raffica di accordi; lui e la delegazione che lo ha accompagnato: quattro ministri e il capo di stato maggiore delle nuove forze armate.

Si è parlato di stabilizzazione democratica, di ricostruzione economica, di sicurezza: ma l’obiettivo primario di Mohamud, fondatore e leader del Partito per la pace e lo sviluppo, è stato quello di ringraziare la Turchia per il cruciale aiuto fornito nella fase più delicata della transizione. La Somalia è infatti uno dei più grandi successi in politica estera del governo dell’Akp: la componente più nota ed evidente di una più ampia strategia per l’Africa, che ingloba gli “stati meno sviluppati” (definizione tecnica: least developed countries, Ldc) e ha una specifica attenzione per gli stati del Corno d’Africa (Somalia, Etiopia, Eritrea, Gibuti; e senza dimenticare lo Yemen, sulla sponda opposta del golfo di Aden).

Ad agosto dello scorso anno, Erdoğan in persona – accompagnato da alcuni familiari e da una folta delegazione di ministri, giornalisti e uomini d’affari – è andato a Mogadiscio per portare solidarietà e per richiamare l’attenzione e la responsabilità della comunità internazionale su di un paese da 20 anni afflitto da guerra, siccità, carestie, pirati, jihadisti, malnutrizione, isolamento per il disinteresse quasi totale dal resto del mondo; è stato il primo leader internazionale a farlo dopo il collasso istituzionale del 1991: un viaggio di sorrisi e di lacrime, di gioia e di commozione. Ha offerto speranze e prospettive, la Somalia è diventata un test del modello turco di aiuto allo sviluppo: in cui governo, organizzazioni non governative e classe imprenditoriale agiscono all’unisono – non in modo disinteressato, ma per affermare i propri interessi nazionali.

Il governo ha investito capitale politico, ha ospitato una grande conferenza internazionale a Istanbul – nel maggio 2012 – per incoraggiare il processo di transizione e “per far sentire la voce della Somalia” (parole di Erdoğan), ha attivato l’Agenzia per la cooperazione internazionale e lo sviluppo (Tika); le ong hanno raccolto fondi, hanno costruito scuole e ospedali, hanno dato vita a campi di accoglienza attrezzati per i rifugiati; gli imprenditori hanno avviato progetti per il ripristino delle infrastrutture – dalle strade agli aeroporti – e per la ricostruzione del tessuto economico: godendo ovviamente di un trattamento privilegiato da parte delle autorità somale.

In più, sono state offerte 1200 borse di studio per studenti somali nelle scuole superiori e nelle università turche: così da forgiare la futura classe dirigente e imprenditoriale; la metà di queste borse di studio è riservata alla formazione di imam, mentre in Somalia sono state costruite e verranno restaurate moschee: l’appartenenza condivisa al mondo islamico è un’opzione di cui il governo turco non si priva mai. Il totale degli aiuti fin qui forniti – pubblici e privati – si aggira sui 50 milioni di dollari.

Nella conferenza stampa che ha fatto seguito all’incontro con Gül, il presidente Mohamud è stato esplicito e diretto: “il primo ministro e la sua famiglia sono venuti in Somalia quando nessuno si azzardava a metterci piede. Questa sua azione ci ha dato energia, fiducia e speranza; la sua visita ha anche dato un messaggio al resto del mondo.” Gli ha fatto eco il presidente turco: ricordando che il suo paese ha aperto un’ambasciata a Mogadiscio – dove vola la compagnia di bandiera Thy (Turkish Airlines) – e che sta formando le forze armate e di polizia; grazie alla Turchia, che ne è diventata il principale alleato e partner commerciale, “per la Somalia è cominciata una nuova era”: i somali – non solo i politici, ma i cittadini comuni – sembrano apprezzare, tanto che “Erdoğan” viene imposto come nome ai neonati – nome d’ammirato eroe.

L’ambizione è di riprodurre questo modello in altri paesi africani, soprattutto dell’Africa sub-sahariana (e musulmani). L’Africa, del resto, è la cornice di una specifica strategia: che ha come obiettivo di fondo, nelle intenzioni del ministro degli esteri Davutoğlu, la trasformazione della Turchia nel centro geopolitico del continente afro-eurasiatico. Questa strategia è stata inaugurata nel 2005, l’Anno dell’Africa in Turchia: il preludio per il Turkey-African Cooperation Summit del 2008 a Istanbul, istituito con cadenza quinquennale come momento di confronto ai massimi livelli politici sui risultati effettivamente raggiunti.

Soprattutto, la Turchia si è fatta paladina dei cosiddetti “stati meno sviluppati”, per la maggior parte africani: ne ha ospitato nel 2011 la quarta conferenza sotto l’egida delle Nazioni Unite, ha confezionato un pacchetto decennale di aiuti che ammonta a tre miliardi di dollari, vuole diventare il loro portavoce in tutti i consessi internazionali e ha già proposto per il G20 del 2015 – quando sarà presidente di turno – un tavolo congiunto G20-Ldc. Secondo il presidente Gül, si tratta di “una strategia integrata per contribuire alla crescita e allo sviluppo dell’Africa”.

I dati sono eloquenti. L’interscambio si è moltiplicato: ha raggiunto i 17 miliardi di dollari nel 2011 e anche quest’anno ha registrato un sostanziosa crescita; le ambasciate turche nei paesi africani sono passate da 12 a 33, quelle dei paesi africani in Turchia da 14 a 25; la Thy ormai totalizza 36 destinazioni africane; sono stati realizzati centinaia di progetti di assistenza allo sviluppo e campagne di aiuti umanitari, sono state elargite migliaia di borse di studio, sono state effettuate decine di visite presidenziali e ministeriali (di leader turchi in Africa, di leader africani in Turchia). In segno di riconoscenza, la Turchia si aspetta voti per tornare a sedere nel biennio 2015-2016 tra i membri a rotazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

Per il capo della diplomazia di Ankara, “la Turchia e l’Africa condividono una visione e un approccio simili per il futuro. Noi consideriamo l’Unione africana come uno degli attori internazionali principali nel XXI secolo e desideriamo vedere una più forte influenza africana negli affari mondiali.” Insomma, la Turchia punta decisamente sull’Africa: anche perché “ospita sei tra le dieci economie a più alto tasso di crescita e si stima che nei prossimi 40 anni il suo Pil crescerà nel modo più veloce al mondo, grazie alla sua popolazione dinamica e alle sue risorse naturali”. Solidarietà e aiuti: ma anche affari.

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