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Il presidente, i partiti e l’euro

Creato il 15 aprile 2013 da Albertocapece

quirinale (1)

Da dieci giorni infuria dappertutto il toto presidente che si svolge nella stessa atmosfera e con i medesimi metodi di sempre, anche se balza agli occhi che l’oggi non è più il sempre della Repubblica. L’inquilino del Quirinale è ormai il cardine essenziale di un assetto politico giunto al capolinea per cui la scelta è tra un garante dello statu quo ante, un napolitano due, fosse pure incarnato in una napolitana, in grado di essere una putrella per sostenere ancora la trave marcia, oppure un garante della democrazia che porti al Colle qualche nome nuovo come Rodotà, Caselli o Strada per cominciare la ricostruzione della Repubblica.

A nessuno sfugge che il nome del presidente determinerà anche la qualità, il senso, l’orientamento del prossimo governo e tuttavia se la scelta fosse determinata solo da linee interne, ci sarebbero pochi dubbi sulla rosa di nomi tra cui andare a pescare evitando le mummie e i maggiordomi berlusconiani . Il problema è che il prossimo inquilino del Quirinale, oltre che ovviamente  il sistema politico, sarà investito in pieno dalla dissoluzione dell’area euro e forse anche della stessa Unione, se la deflagrazione della moneta unica avverrà in un contesto non concordato e non controllato. La questione non è più se questo avverrà, ma quando e come avverrà: è sempre più evidente che i Paesi della periferia, Francia compresa, sono penalizzati da una moneta forte che nemmeno possono gestire e continuando su questa strada non hanno che il disastro di fronte a loro. D’altronde i Paesi forti, in pratica la Germania e i suoi satelliti, non hanno alcuna intenzione di mettere i debiti in comune, attraverso una revisione di Maastricht o strumenti come gli euro bonds  perché questo metterebbe in discussione tutto il modello export costruito dall’unificazione fino ad oggi e basato sulla minima inflazione possibile.

Dunque o gli uni o gli altri finiranno per uscire, probabilmente in tempi più rapidi del previsto. E’ noto che in Germania cresce sempre di più la volontà di tornare a una moneta propria, piuttosto che essere salassata. Proprio ieri si è ufficialmente presentato il partito anti euro, i sondaggi dicono che almeno il 25% della popolazione è favorevole all’uscita, mentre non passa giorno che i giornali tedeschi non ospitino autorevoli interventi in questo senso o reprimende nei confronti di tutte quelle operazioni della Bce volte a non smascherare ora la pratica riaffermazione di sovranità monetaria operata dall’Irlandaora il meccanismo delle obbligazioni Step che permette alle banche  francesi di ottenere soldi dalla Bce in cambio di titoli di dubbio valore, nascondendosi sotto l’ombrello della Banca di Francia che è a sua volta partecipata dagli stessi istituti di credito che si avvalgono di questi meccanismi. Secondo la Deutsche Wirtschaft si tratta di un giro di 445 miliardi che praticamente vengono creati dal nulla.

I tempi stanno maturando in fretta, nonostante i nostri padroni dell’informazione lo neghino, pronti ovviamente a mutare bandiera nello spazio di un mattino e l’Italia dovrà attrezzarsi per governare questo passaggio del mar Rosso con la scelta degli uomini. Infatti non si tratta solo di gestire bene la fase “tecnica” della disarticolazione della moneta unica, sperabilmente in accordo con gli altri, ma anche di affrontarne il versante politico. E qui, al contrario di quanto proclamano gli ideologi del nulla, destra e sinistra esistono eccome. Si può affrontare la questione da destra vendendo ciò che rimane dell’industria nazionale,  favorendo le fughe di capitali e le acquisizioni estere del sistema bancario e naturalmente lasciando salari, stipendi e pensioni senza strumenti per affrontare l’inflazione, che non corrisponderà certo alla svalutazione della nuova Lira o euro B, ma che comunque interverrà su retribuzioni già tra le più basse del mondo industrializzato e su un welfare ridotto al lumicino. Insomma favorendo i ricchi. Oppure si può fare in modo di evitare le fughe di capitali, di operare alcune nazionalizzazioni bancarie e infine creando strumenti per indicizzare all’inflazione – quanto meno per i primi anni, salari e stipendi. Favorendo cioè non gli azionisti, ma per quanto possibile i ceti popolari.

Per questo è importante la scelta del Quirinale, anche perché dubito che il centrosinistra italiano sia davvero in grado – come suppone del resto anche Brancaccio – di svegliarsi dal sogno dogmatico del mercato e dalla subalternità. E ci vuole anche una persona non solo orientata alla democrazia, ma decisa e lucida. Altrimenti ogni  eventualità sarà il disastro.

 


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