Quanto già illustrato sulla vera e propria alternativa/contrapposizione tra ‘metodo’ e ‘rigore’ non è tuttavia sufficiente a delineare in modo univoco l’estrema differenza tra la concezione ‘classica’ e quella ‘moderna’ di scientificità; occorre infatti esplicitare –per quanto in modo estremamente succinto– ulteriori alternative/contrapposizioni costitutive di tale irriducibilità: [a] fondatezza vs. evidenza, [b] procedimento vs. ragionamento, [c] risultati vs. conclusioni, [d] complessità vs. semplicità, [e] funzione euristica vs. funzione ermeneutica.
- Innazitutto la Scienza moderna non si accontenta delle ‘evidenze’ neppure condivise, visto che era stato ‘evidente’ per millenni che fosse il sole a girare intorno alla terra, e così anche le stelle. Di fatto il c.d. canone di Vincenzo di Lerin: «quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est» se vale certamente per la Tradizione di fede della Chiesa, non vale altrettanto quale criterio di certezza gnoseologica (=episteme) per il ‘resto’ della realtà. Non di meno, contro l’evidenza quale fattore ‘esterno’ (=oggettivo ed indiscutibile) e pertanto elevabile a ‘criterio’ di giudizio extra-individuale, si era già scagliato decisamente Cartesio, facendone, al contrario, una caratteristica del –solo– pensiero personale. Non si trascuri neppure come, dalla Scolastica, l’evidenza fosse una caratteristica delle affermazioni come tali: una questione puramente proposizionale. È infatti l’affermazione nel proprio significato/contenuto –e non la realtà– ad essere “evidente”, riducendosi in tal modo a mera operazione intellettuale individuale (anche non condivisa).
- La Scienza moderna, invece, indirizza i propri sforzi verso la “fondatezza”; verso, cioè, il “supporto esterno” delle affermazioni/proposizioni: un ‘supporto’ concreto, immanente, sperimentale o esperienziale (la radice semantica è la stessa!), che comunque comporti un ‘accesso’ a cose o fenomeni, non a sole affermazioni. La fondatezza non deriva da teoriche e solo immaginarie/ipotetiche “tavole di verità” ma da concrete “tavole” di presenza-assenza-graduazione (cfr. F. Bacone) che “supportino” (=portino/reggano su di sé) le affermazioni/proposizioni che si ritengono ‘scientifiche’. L’evidenza nasce dal ragionamento, la fondatezza dall’esperienza.
- L’introduzione del metodo al posto del rigore pone in luce anche la preminenza assoluta nella Scienza moderna del “procedimento” rispetto al “ragionamento”. Si tratta dello ‘strumento’ o, se si preferisce, dell’‘itinerario’ attraverso cui si transita dall’introduzione di una ‘questione’ alla sua ‘soluzione’: il ‘flusso’ attraverso cui si passa dall’input all’output, dalla domanda alla risposta (direbbe Lonergan). Nella Scienza moderna –orientata alla res extensa (=ob jectum)– il primato gnoseologico è ‘operativo’: si comprende ed apprende ‘sul campo’ attraverso le “sensate esperienze” di galileiana memoria. “Esperienze” e non “pensieri”; “sensate” in quanto intenzionali, organiche, strutturate, pertinenti, coerenti… Un procedimento che è concreto, fattuale, operativo, che “fa cose”, “compie operazioni”; un procedimento che in sé e per sé (in quanto struttura operativa) è l’anima stessa della Scienza moderna, indipendentemente dall’oggetto preso in considerazione.
- Per contro, il ragionamento era –e rimane– qualcosa di completamente intellettuale, interno alla res cogitans stessa, certamente ‘capace’ di rapporto con la realtà ma non ad esso necessitato… capace anche di operare con concetti e fattispecie puramente fittizi o irreali (come l’araba fenice o l’ippogrifo), senza potenziali limiti –né tanto meno controlli– poiché tutto l’immaginabile può esserne/diventarne ‘oggetto’.
- La sostituzione del procedimento al ragionamento porta con sé anche la sostituzione delle “conclusioni” da parte dei “risultati”: un altro passo avanti che costituisce una cesura tranciante tra scienza ‘classica’ e Scienza moderna. Ciò che i diversi procedimenti mettono a disposizione del ricercatore/studioso sono dei risultati: nuove ‘predicazioni funzionali’ che –per quanto anche assolutamente parziali– ampliano la caratterizzazione dei diversi oggetti di studio/ricerca. Predicazioni il cui contenuto è supportato/fondato da elementi ‘esterni’ a ciascun singolo soggetto; elementi ‘esterni’ ed in qualche modo “pubblici”: accessibili (potenzialmente) a chiunque e da chiunque ‘verificabili’ nella loro fondatezza e tenuta.
- La ‘natura’ della “conclusione”, soprattutto sillogistica, era ben differente: date determinate “premesse”, assiomatiche o derivate, dalla loro concatenazione secondo predeterminati ‘modelli inferenziali’ (analogia, allegoria, similitudine, deduzione, abduzione, ecc.) si giungeva alla ‘chiusura’ (=conclusione) del ragionamento attraverso una proposizione con pretesa di veritatività che estingueva in qualche modo l’istanza problematica originaria. Una conclusione, però, che poiché nella maggior parte dei casi risultava “evidente” –e quindi non ulteriormente problematica– per chi la poneva risultava spesso, invece, incomprensibile o inaccettabile a chi disponesse di altro genere di ‘evidenze’.
- Conseguenza quasi immediata, ed inevitabile, della sostituzione del procedimento al ragionamento è il subentro della “complessità” alla “semplicità”. Di fatto il ‘mondo’ della conoscenza classica era ‘popolato’ da una ridottissima quantità di elementi. Per quanto, infatti, ogni pensabile potesse esistere (ed esistesse pure!) o per quanto ogni ‘razionale’ fosse ‘reale’, il ‘numero’ di res che potevano concretamente popolare la mente umana (in balia delle deduzione) prima della Rivoluzione fisico-nucleare era comunque estremamente limitato rispetto a quanto popola oggi la conoscenza scientifica. Il mondo ‘classico’, in fondo, ed il modo di ragionare-conoscere al suo interno era un mondo ‘chiuso’, un vero e proprio “sistema” più o meno perfettamente costruito “su” (o “a partire da”) assiomi e principi, perfettamente delineati (e ‘conosciuti’): vere e proprie Geometrie, più o meno estese. E proprio in quanto/come Geometrie era caratterizzato da veri ‘trascendentali’ (=condizioni di possibilità a priori) quali –in primis– il principio di non contraddizione ed il terzo escluso: veri escamotages intellettuali (in realtà “restrizioni mentali”) che permettevano di muoversi con tranquillità all’interno di un mondo che doveva essere il più ‘sicuro’ possibile. Sicuro, non certo! Sicuro poiché definibile, definito e privo di ‘incognite’, di ‘dubbi’ o di ‘salti’.
- La Rivoluzione fisico-nucleare, da parte sua, ha infranto queste presupposizioni, dovendosi rendere conto che “in realtà” (quella vera, concreta, fattuale… non quella idealistica!) il mondo “là fuori” (=la res extensa) non funziona affatto secondo tali ‘principii’. “Relatività”, “indeterminazione”, “incompletezza”, “quantistica”, contraddicono in tutto l’approccio ‘classico’ (meglio: intellettualistico, a-empirico). La relatività, infatti, supera d’impeto la non-contraddizione poiché massa ed energia sono reciprocamente ‘convertibili’ e la stessa “luce” è contemporaneamente sia onda che corpuscolo. L’indeterminazione vanifica il terzo escluso poiché non esiste necessità (‘ontica’ = un dover essere) che costringa una particella ad essere/stare in un determinato/bile ‘luogo’. L’incompletezza spezza qualunque sistema/ordo poiché non tutte le proposizioni valide all’interno di un ‘sistema’ sono completamente giustificabili all’interno del sistema stesso… La strutura quantica della materia smentisce in natura ipsa l’assenza di “salti”.
- Quinta alternativa/contrapposizione complementare rispetto a “metodo vs. rigore” è quella tra “funzione euristica” propria della Scienza moderna e “funzione ermeneutica” propria di quella ‘classica’; funzioni che potrebbero anche essere indicate come ‘proiettiva-predittiva’ (=utilitaristica) e ‘causale-esplicativa’ (=ontologica). L’evidente intenzione galileiana di non “tentare le essenze” ma di descrivere il funzionamento della realtà ha capovolto il ‘verso’ dell’itinerario gnoseologico-scientifico moderno indirizzandolo dal presente al futuro così da poter in qualche modo interagire con la realtà servendosi delle sue stesse potenzialità (=le c.d. leggi di natura) per conseguirne benefici al momento indisponibili (si veda, in merito, la Tecnologia). Chiave di volta di questo procedere è l’individuazione delle ‘regole’ di funzionamento delle diverse res extensæ via via oggetto d’indagine, ricerca e conoscenza. “Regole” che sono ben diverse dalle “cause”; “regole” che indicano il “come” conseguire un determinato obiettivo in base alle condizioni funzionali necessarie e sufficienti affinché ad “A” segua –quasi– certamente “B”. Le “regole”, fondate sui risultati del procedimento, permettono così di ‘costruire’ res future sino ad allora inimmaginabili.
- Al contrario lo “scire per causas” non permetteva che di scendere dal presente al passato della realtà (=funzione esplicativa/ermeneutica) in quelle che, ad ogni effetto, non potevano che presentarsi come autentiche ‘genealogie’ retrospettive da ciascun ens alla sua archè, da ciascun singulum al suo universale, senza tuttavia esser mai in grado di nulla ‘dire’ –di realmente significativo– non solo sul futuro di tale ens/singulum ma neppure sul suo presente, poiché la maggior parte delle infinite eventuali ‘potenzialità’ intrinseche alla sua ‘essenza’ –non essendo necessitate– non avrebbero alcuna garanzia di realizzarsi.