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Alla fine degli anni ottanta leggendo il libro “Valgrande ultimo paradiso” di Teresio Valsesia la mia attenzione venne catturata da una piccola fotografia leggermente sfuocata dove si vedeva un prete tenere al cordino un’aquila. Cercai con attenzione una spiegazione, ma trovai solo la data in cui venne catturato il maestoso uccello (4 febbraio del 1955) ed il nome del parroco: Don Fiora; altro non diceva. Negli anni seguenti ho spostato la mia attenzione dall’aquila al prete e mi sono innamorato di quel personaggio. Vi racconto brevemente la sua storia per come la posso immaginare.
Divenni parroco a Cicogna nel 1944.
Erano anni difficili: la guerra, la resistenza, la fame e l’abbandono della fede.
La mia chiesa quasi non esisteva più, non parliamo della casa parrocchiale.
Soldi non ve ne erano, ma dovevo risistemare la casa del Signore per riportare la fede nel cuore degli uomini.
Avevo coraggio ed idee, dovevo farmele bastare.
Decisi di girare i paesi del varesotto, dove giravano più soldi. Il come sarebbe fuori luogo e forse non vi interessa neppure, ma riuscii in breve tempo a raccogliere i denari sufficienti a risistemare tutto, la chiesa e la casa.
Però la chiesa era vuota. L’osteria era piena di umanità.
Un uomo deve cercare di aprire tutte le porte, io aprii quella dell’osteria. Non avevano mai visto un prete bere vino ne tantomeno un uomo di Dio offrire da bere.
Con questo stratagemma risultai simpatico alla popolazione che cominciò a frequentare la messa: prima una decina, poi una ventina ed infine la domenica riempivano la chiesa.
I soldi scarseggiavano ed io dovevo mantenere quello che con fatica avevo ricostruito.
Avevo coraggio, idee e qualche gallina.
Iniziai a frequentare il mercato di Intra, quello del sabato, vendendo le uova delle mie galline; il malinteso nacque perché le indicai come uova di Cicogna.
L’idea ebbe un discreto successo: partivo la mattina del sabato con il portafoglio vuoto e tornavo la sera, stanco,ma carico di denari. Chi può mettere in discussione la parola di un prete?
Andò tutto bene sino a quando un sabato si ripresenta una signora urlando che dalle sue uova erano nati dei pulcini; le mie spiegazioni non bastarono e la signora mi denunciò. La legge mi diede ragione in quanto non vendevo uova della cicogna ma uova di galline di Cicogna. Lo so che la differenza è sottile, ma tanto bastò per far pagare tutte le spese giudiziarie a quella povera anima.
Tra i compiti di un buon parroco di montagna vi è anche quello di benedire gli alpeggi.
In Valgrande d’estate fa caldo, molto caldo ed i luoghi da raggiungere sono lontani. Decisi di adottare un abbigliamento comodo ma decisamente inconsueto per i tempi: mi presentavo con la maglietta, i pantaloni corti e la veste sottobraccio che indossavo al momento della benedizione. Potere immaginare gli sguardi di coloro che vivevano in quei luoghi, non avevano mai visto un prete con le “braghe corte”: a coloro che mi chiedevano spiegazioni sull’abbigliamento rispondevo che me lo aveva permesso il vescovo insieme alla possibilità di veder ballare le persone nei giorni di festa; era un mondo diverso da quello in cui vivete oggi.
A metà degli anni cinquanta un avvenimento scosse la nostra vita: era un giorno come gli altri ed io mi trovavo in chiesa a sistemare l’altare per la funzione della sera quando sentii un grande vociare ed urlare sul sagrato, mi precipitai fuori e con mio grande stupore vidi il Benzi con al polso un’aquila; era stata catturata, viva, in paese, dove non si erano mai visti quei maestosi uccelli.
Per noi poveri montanari le aquile rappresentano la libertà, il sogno di paesi lontani; ne avevamo sentito parlare, ma mai avremmo pensato di poterne vedere una in paese a pochi metri da noi.
Era ferita e la curammo con tutto l’amore che si presta ad un dono della natura, sino a quando non fu in grado di volare libera negli cieli..
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