Fino a non molto tempo fa si rimproverava al Pd di essere arroccato a difesa della rendita politica di pochi oligarchi. Oggi che ci si sta liberando di un personale gerontocratico e autoreferenziale si piange perché all’orizzonte non si intravede nient’altro che deserto. Eppure è illusorio pensare di condurre a termine a costo zero una rifondazione che elimini vecchie e resistenti incrostazioni. Soltanto dalle macerie è possibile ricostruire ex novo, se non si vuole continuare ad applicare palliative e litigiose toppe al buco. È un prezzo che occorre pagare, dopo che per venti anni a tutto si è pensato tranne che a preparare una fisiologica e necessaria successione politica. A meno che non si voglia considerare maturazione di un nuovo ceto politico la pura e semplice cooptazione al vertice imposta dai ras locali.
Con la fuoruscita dei vari Adamo, Bova e Loiero si può invece aprire una fase finalmente nuova, che segni una cesura netta con il più recente passato. E se, nell’immediato, inevitabilmente ci sarà da scontare qualcosa in termini di consenso elettorale, a lungo andare sarà benefica una rigenerazione che produca chiarezza facendo tabula rasa del passato. Una volta per tutte, si dovrebbe avere il coraggio di lasciare sull’uscio i signori delle tessere fasulle, il cui numero, in molti comuni, è stato superiore ai voti del partito nelle elezioni. Si dirà: è utopia, è sempre stato così. Ma ai tanti giovani che, nonostante i molteplici negativi esempi, coltivano una passione, non si può chiedere di avvicinarsi alla politica sbandierando abusati rituali da Prima Repubblica. Non ci si può nascondere che, tanto per fare un esempio, l’inciucio sulla legge 25 del 2001 che bandì il “concorsone” rappresenta, dopo dieci anni, una ferita ancora viva tra molti militanti e simpatizzanti. Così come le primarie taroccate dell’anno scorso non sono certo state un esempio di buona politica. Il disimpegno e l’astensionismo dilaganti hanno ragioni sulle quali per troppi anni si è evitato un dibattito serio.