Alle quattro e quarantatrè, sull’autobus da Islington a Oxford Circus, ci sono solo i morti. Morti che cominciano a lavorare quando la notte è ancora sanguigna e tossica, e il freddo trapassa il corpo: sono giamaicani, indiani, magrebini, cubani, italiani, polacchi, somali, facce che si trascinano per inerzia, a fronteggiare un’altra alba londinese di lavoro. Self-made men and women cui la grande fabbrica di sogni inglese ha riservato un’entrata di servizio, ma con una pacca sulle spalle e un sussurro d’incoraggiamento, Ecco, benvenuti, eccovi un posto in questa grande società, una collocazione, un insurance number, lavorerete come spazzini, lavavetri, magazzinieri, baristi, donne delle pulizie, distributori di giornali alle entrate delle metropolitane. Alle quattro e quarantatrè, quando mi aggiungo al popolo dell’autobus Islington-Oxford Circus, i morti ondeggiano a ogni curva, occhi pesti di sonno e cappucci calati sul viso, gonne a fiori e strozzi di tosse, mani callose intorno a borse di Primark: le età variano, ma è tutta gente umile, gente che a Londra è di servizio ai Londinesi, quella che nei film non si vede mai, perchè vive nelle case popolari in zona quattro/cinque e Notting Hill l’ha vista solo sulle calamite per turisti. Vanno a ramazzare e a scaricare scatoloni, si portano la stanchezza aggrappata alle ossa: si alzano alle tre del mattino per seicento sterline al mese e il loro futuro è il pavimento di una Tesco Express, ma il lavoro nobilita l’uomo, hanno detto. Io salgo e il loro silenzio sfinito è il sipario di questa notte che si accinge a finire: l’autobus sobbalza e scivola e le loro spalle si urtano, gli zaini cocciano. Una ragazza di colore ha la fronte piena di brufoli e un paio di cuffie sulle orecchie: tiene tra le mani quello che sembra un cellulare, o forse uno smartphone, o forse no. forse è un Iphone. Osservo meglio e sì, è un’Iphone. Lei sta guardando un film: le immagini sono ombre granulose, ma io sono lontana, lei invece le vede bene e tiene lo sguardo fisso sullo schermo. Mi chiedo che lavoro fa. Tra le gambe stringe un borsone viola. Ha occhi piccoli e attenti, e la smorfia prosciugata di chi fa un lavoro troppo duro a orari troppo duri. Però tiene tra le mani un’Iphone dai seicento sterline. Che equivarrà più o meno al suo stipendio mensile, visto che sono le quattro e quarantatrè del mattino e lei è sull’autobus Islington-Oxoford Circus. Odore tossico di notte; è la Londra degli spazzini e dei lavavetri con l’Iphone, perchè è questo, l’affare più lucroso del sistema in cui vivono: far credere loro che lavare pavimenti per comprare un cellulare che vale lo stipendio di un mese sia una realizzazione, un’integrazione, una partecipazione civile. L’affare più grosso del sistema: dare un prezzo di mercato alle loro vite.
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