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IL PRIMATE RECALCITRANTE | Evoluti e abbandonati – Il nuovo saggio di Telmo Pievani

Creato il 25 giugno 2014 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia

evoluti_abbandonati_pievani (5)Luce sarà fatta sull’origine dell’uomo e sulla sua storia.

Charles Darwin, L’origine delle specie, 1859

di Cecily P. Flinn

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Nel suo nuovo saggio Evoluti e abbandonati (Einaudi, 2014) il filosofo della biologia Telmo Pievani prende energicamente le distanze dalla psicologia evoluzionista in salsa pop. Sarà utile in questa sede partire da una definizione sintetica di psicologia evoluzionista (che d’ora in avanti abbrevieremo per comodità in p.e.): la p.e. è quella branca della psicologia che studia la selezione e lo sviluppo di specifici processi psicologici in relazione al rispettivo valore adattativo per l’individuo; la p.e. si riallaccia per molti versi alle teorie darwiniane (evoluzione e selezione naturale). Gli psicologi evoluzionisti sostengono che le funzioni mentali dell’individuo possono essere spiegate come adattamenti naturali sviluppati nella lunga fase evolutiva; obiettivo della p.e. è quello di costruire e applicare un’ottica adattativa e evoluzionistica allo studio della psicologia propriamente detta, cercando di individuare nella selezione naturale le origini di certi specifici comportamenti (la memoria, il linguaggio, la percezione…). Oggetto del contendere: lo studio della mente umana, non con strumenti psicanalitici spuntati ma applicando le conoscenze acquisite della scienza evoluzionistica. Un’impresa ardua quella di estendere i risultati ottenuti dalla teoria neodarwiniana all’ambito socioculturale umano. Secondo gli psicologi evoluzionisti (Donald Symons in primis) la mente umana sarebbe composta da un insieme di moduli computazionali indipendenti, ciascuno responsabile di uno specifico dominio cognitivo; questi moduli, specializzati per intervenire su problemi differenti come fanno i singoli organi all’interno di un corpo, sarebbero il risultato di un adattamento per selezione naturale. Figlia della sociobiologia la p.e. poggia su basi d’argilla, e c’è chi come John Duprè si spinge a bollarla senza mezzi termini “scienza pericolosa”. Pievani sottolinea significativamente il tutto con la seguente domanda: «Fin dove possiamo arrivare con Darwin? E, soprattutto, quale Darwin?»

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È forse corretto (sensato, scientifico) servirsi indiscriminatamente della teoria dell’evoluzione per spiegare qualsiasi fenomeno? Gli psicologi evoluzionisti più agguerriti sembrano non avere dubbi: la logica darwiniana spiega il sistema immunitario, il sistema nervoso, la cancerogenesi… e spesso l’elenco, osserva Pievani, «trascende la dimensione fisiologica e medica, includendo l’intera panoplia di problemi che tradizionalmente sono stati ritenuti di competenza esclusiva delle scienze umane: dall’origine del senso morale e delle credenze religiose all’evoluzione della cultura e delle idee.» Per la p.e. i nostri cervelli sarebbero fermi all’età della pietra, come se la selezione naturale ci avesse impostati una volta per tutte nel Pleistocene e poi abbandonati a noi stessi. I nostri antenati si sarebbero evoluti in un non ben identificabile ambiente ancestrale, e dotati di una miriade di moduli spezzettati e specializzati (moduli comportamentali tanto rigidi quanto innati). Basti menzionare il cosiddetto “modulo dello stupro”: i maschi del genere umano sono capaci di stuprare, quindi questa loro caratteristica deve considerarsi naturale e innata, frutto di un adattamento dell’età della pietra mirato ad aumentare la fitness riproduttiva nei soggetti maschi non dominanti. Su quale prova scientifica si basi quest’assunto non è dato di sapere, e nulla, d’altra parte – come pure ammettono psicologi evoluzionisti come Cosmides e Tooby – può provare l’esistenza dei fantomatici moduli. La p.e. pullula di moduli, potremmo riempirne interi elenchi, e quel che è peggio ogni giorno ne saltan fuori di nuovi; tra i più curiosi quello della calvizie: la calvizie maschile svolgerebbe la funzione di segnalare al sesso opposto la saggezza del maschio! Secondo la p.e. nella nostra mente pleistocenica si agiterebbe un miscuglio di atavismi, arrivati fin qui come per inerzia, in uno scenario ambientale completamente trasformato, alcuni ancora utili, altri no; quest’ossessione computazionale compone un’immagine adulterata dei nostri antenati, più simili a delle macchine robotiche che a degli esseri senzienti, veri e propri robot di sopravvivenza. «Ne deriva – sintetizza Pievani – che la selezione avrebbe avvitato nel nostro cranio una miriade di moduli ottimali, risolutori di problemi atavici, ciascuno con un suo dominio specifico e dipendente dal contenuto di attivazione (…): attenzione cibo velenoso / maschio minaccioso in avvicinamento / necessità impellente di partner sessuale / femmina con buon rapporto vita-fianchi / coopero o tradisco? / computazione costo-benefici in corso / allarme, paternità incerta, geni a rischio!» Una teoria ingenua e risibile che non tiene conto dell’individuo nel suo insieme e dell’intersoggettività che lo pone continuamente in relazione con l’altro da sé, con l’ambiente sempre mutevole e con un’infinità di altre variabili; l’ambiguità e la complessità della mente umana non sono riducibili e banalizzabili. Un individuo può essere compreso e descritto nel suo insieme per approssimazione, ma non con aridi «dispositivi computazionali disincarnati e cablati in reti neurali specializzate.» La selezione naturale, puntualizza Pievani, continua tuttora ad agire (e interagire) sulla fisiologia di Homo sapiens; non c’è nessuna ragione di credere quindi che la nostra mente sia ferma all’età della pietra, evoluta e abbandonata. Homo sapiens non è una versione aggiornata e perfezionata di Homo abilis o Homo erectus, e questo gli psicologi evoluzionisti talvolta sembrano ignorarlo. «Raramente – scrive Pievani – è possibile ricostruire in modo lineare una storia, adattativa o meno che sia, dagli antenati ai discendenti attuali, come in un carosello di cambiamenti. Bisogna guardare alle specie imparentate, fare confronti tra mix di caratteri. Ogni tratto evolutivo, quindi, va innanzitutto studiato sul piano filogenetico e la spiegazione adattativa non è l’unica possibile.» Pievani ci ricorda che la mente di Homo sapiens è una sorta di ambivalente bricoleur, che dalla notte dei tempi si piega e si adatta all’imprevedibilità e all’imperfezione della nostra storia naturale e culturale; la natura meravigliosamente e maledettamente complessa e contraddittoria dell’essere umano (passato, attuale e futuro) non è un asettico casellario di moduli né una cieca ed egoistica macchina di istinti.

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A più riprese, nelle diverse sezioni del saggio, Pievani invita a guardare con le dovute cautele anche le teorie genocentriche dawkinsoniane (attacchi diretti al padre del Gene egoista, ma misurati e ironici). Pievani non liquida tout court la p.e. ma ne critica profondamente il metodo, o meglio, l’assurdità scientifica del metodo. «La psicologia evoluzionistica del futuro dovrà essere realmente “evoluzionistica”, cogliendo tutte le opportunità della teoria evoluzionistica più aggiornata. Dovrà essere cioè una scienza capace di tenere insieme l’evoluzione biologica e quella culturale, le neuroscienze e la biologia molecolare, la paleontologia e l’antropologia molecolare, la genetica del comportamento e l’ecologia umana, per comprendere l’unità e al contempo la diversità dei comportamenti umani.» Altre sezioni interessanti del saggio Evoluti e abbandonati sono quelle dedicate alla morale e all’altruismo negli altri primati (e più in generale nei mammiferi) e alla questione spinosa dell’origine del linguaggio. «L’evoluzione – conclude Pievani – ha molto da dire non solo sulla psicologia, ma anche sul senso morale, estetico e religioso della nostra specie. (…) Il problema è che la psicologia evoluzionistica finora ha applicato una versione caricaturale della teoria evoluzionistica e ne ha tratto deduzioni spesso infondate.» Per comprendere esaustivamente luci e ombre (e mezzi toni) dei comportamenti umani è necessario un approccio corale, multidisciplinare e comparato, un approccio capace di accogliere l’inaspettato, il non previsto, il non progettato da nessun progettista. La
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psicologia evoluzionista pop è sostanzialmente cattiva scienza, mero gossip bizzarro e fantasioso (perfetto per certe riviste patinate) che non poggia su nessun dato concreto verificabile. Un conto è formulare delle ipotesi e ragionarci su, altro è considerarle fatti scientifici.

Telmo Pievani è docente di Filosofia delle Scienze Biologiche all’università di Padova (Dipartimento di Biologia). Il saggio qui sinteticamente analizzato Evoluti e abbandonati offre un ottimo contributo alla divulgazione scientifica, con un linguaggio chiaro, coinvolgente, per nulla specialistico. L’improbabile dialogo tra uno scienziato alieno e uno psicologo appassionato di evoluzione fa da apri pista su una lunga serie di considerazioni circa il sesso, la politica, la morale, l’altruismo, il linguaggio…, il tutto aggiornato sulle acquisizioni scientifiche più recenti. Non mancano i riferimenti al recente saggio di Frans de Waal Il bonobo e l’ateo, recensito in questo stesso numero di “Amedit” dalla collega e amica Elena De Santis.

Di Telmo Pievani consigliamo: Creazione senza Dio (Einaudi, 2006) e La vita inaspettata (Cortina, 2011).

Cecily P. Flinn

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Cover Amedit n° 19 – Giugno 2014, “Barbatrucco” by Iano

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