Lo vedo ogni mattina, ha gli occhi rossi e l’espressione dolce e spaventata. È un uomo corpulento sopra i cinquanta, veste sempre alla stessa maniera, con una camicia scura con i gomiti consumati. Entra nel bar verso le sette e mezza e si guarda intorno spaurito, poi si avvicina al bancone, si mette in disparte, appoggia un gomito e abbassa gli occhi. Sembra che osservi di nascosto le persone che fanno colazione, quella nube calda di chiacchiere e frenesia mattutina. Non ha bisogno di indicare nulla, il barista dietro al banco sa fare il suo mestiere, conosce i precetti della discrezione, si muove verso di lui, con un movimento disinvolto e riservato gli versa da bere il primo di giornata, quello che sembra un vino bianco da aperitivo o uno spumante con le bollicine. L’uomo fa un cenno di assenso con la testa, è un dialogo muto che si ripete sempre uguale ogni giorno, una specie di confessione senza penitenza né giudizio. L’uomo prende il bicchiere guardando da un’altra parte, tira giù tutto d’un sorso, si asciuga i lati della bocca, e senza dire una parola esce e se ne va.