La Terra è costantemente bombardata da particelle ad alta energia: protoni, elettroni e nuclei di atomi di origine cosmica. Vengono chiamati “raggi cosmici” e sono particelle elettricamente cariche, accelerate ad alte energie, che impattano contro la nostra atmosfera dopo aver compiuto lunghi viaggi interstellari. Dal momento che queste particelle possiedono carica elettrica, il loro tragitto è continuamente deviato dalla presenza di campi magnetici, rendendo estremamente complesso identificare la sorgente astrofisica da cui provengono. Per questa ragione la loro origine è rimasta per oltre un secolo uno dei misteri più difficili da risolvere.
Fortunatamente i raggi cosmici interagiscono con la luce e il gas presenti in prossimità delle loro sorgenti, emettendo raggi gamma. Questi raggi gamma sono in grado di viaggiare in linea retta, senza subire alcuna deflessione magnetica, e quindi possiamo risalire alla loro origine. Quando i raggi gamma raggiungono la nostra atmosfera interagiscono con gli atomi che compongono gli strati più alti e producono sciami di particelle secondarie. Tali particelle viaggiano a velocità superiori alla velocità della luce nel mezzo attraversato, e producono quindi brevi impulsi di luce Čherenkov. Raccogliendo la luce emessa da questi brevi lampi con sistemi stereoscopici a più telescopi è stato possibile rilevare più di 100 sorgenti di raggi gamma negli ultimi trent’anni. L’osservatorio H.E.S.S. (High Energy Stereoscopic System) è uno di questi sistemi di telescopi di ultima generazione. H.E.S.S. è attivo da oltre dieci anni e viene gestito da un team di scienziati provenienti da 42 istituzioni dislocate in 12 paesi.
Illustrazione del processo di formazione dei raggi gamma a partire da protoni ad alta energia che interagiscono con le nubi di gas interstellare. Crediti: Dr Mark A. Garlick/H.E.S.S. Collaboration
Oggi sappiamo che i raggi cosmici con energie fino a 100 TeV (dove 1 tera elettronVolt, o TeV = 1012 eV, ovvero un’energia migliaia di miliardi di volte più intensa di quella della luce visibile), sono emessi nella nostra galassia da oggetti come resti di supernova o nebulose alimentate dai venti di una pulsar. Tuttavia, una serie di calcoli teorici e alcune misure dirette di raggi cosmici in arrivo sulla Terra indicano che le sorgenti di raggi cosmici galattiche dovrebbero essere in grado di produrre particelle con energie fino a un PeV, ovvero 1.000 TeV. Nonostante questo, la ricerca di sorgenti galattiche che raggiungessero energie simili non aveva dato, fino ad ora, alcun esito.
Grazie alle osservazioni dettagliate del centro galattico realizzate da H.E.S.S. negli ultimi dieci anni è stato possibile raccogliere una misura diretta di raggi cosmici ad energie del PeV. I risultati di questo studio sono stati pubblicati sull’ultimo numero della rivista Nature. Durante i primi tre anni di raccolta dati, H.E.S.S. aveva già scoperto una sorgente molto intensa di raggi gamma nella direzione del centro della galassia, nonché un’emissione gamma diffusa dalle nubi molecolari che circondano la regione entro circa 500 anni luce. Tali nubi vengono colpite da raggi cosmici che si muovono a velocità prossime a quelle della luce e l’interazione di queste particelle con la materia che compone le nubi provoca emissione di raggi gamma. La coincidenza spaziale tra la regione di provenienza dei raggi gamma e la distribuzione di materiale delle nubi indicava la presenza di una o più sorgenti di raggi cosmici. Tuttavia, la natura di queste sorgenti era rimasta un mistero.
Una serie di osservazioni profonde, ottenute da H.E.S.S. tra il 2004 e il 2013, hanno gettato nuova luce sui processi che alimentano i raggi cosmici in questa regione. Secondo Aion Viana del Max-Planck-Institut für Kernphysik (MPIK, Istituto Max Planck per la fisica nucleare) di Heidelberg in Germania «la quantità di dati senza precedenti e i progressi compiuti nelle metodologie di analisi ci ha permesso di misurare simultaneamente la distribuzione spaziale e l’energia dei raggi cosmici». Grazie a queste misure, gli scienziati della collaborazione H.E.S.S. sono stati in grado di individuare la sorgente di queste particelle: «Da qualche parte al centro della nostra galassia, entro una regione delle dimensioni di 33 anni luce, c’è una sorgente in grado di accelerare protoni a energie del PeV ininterrottamente per almeno mille anni», dice Emmanuel Moulin del Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives (CEA, Commissariato per l’energia atomica e le energie alternative) in Francia. In analogia con il Tevatron, il primo acceleratore costruito dall’uomo che abbia mai raggiunto le energie del TeV, questa nuova classe di acceleratori cosmici è stata denominata “Pevatron”.
Il centro della nostra galassia ospita molti oggetti in grado di produrre raggi cosmici ad altissime energie, tuttavia «il buco nero supermassiccio situato al centro della nostra galassia, chiamato anche Sgr A*, è la fonte più plausibile per dei protoni al PeV», afferma Felix Aharonian del MPIK e del Dublin Institute for Advanced Studies di Dublino. «Possiamo anche considerare diverse regioni di accelerazione nei pressi ddi Sgr A*, con parte del materiale che ricade nel buco nero per poi essere espulso nuovamente nell’ambiente innescando l’accelerazione delle particelle», aggiunge Aharonian.
«Nel nostro lavoro abbiamo considerato tutte le possibili alternative (perlomeno quelle note) ad un’emissione del centro galattico, come resti di supernova, ammassi stellari e filamenti radio», spiega a Media INAF Stefano Gabici del Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS, Centro nazionale per la ricerca scientifica) in Francia. «Per fare un esempio: la sorgente alternativa più naturale sono i resti di supernova, che sono considerati i migliori candidati per accelerare i raggi cosmici fino al PeV, sebbene non abbiamo ancora nessuna prova a sostegno di questa ipotesi. Il problema, in questo caso, è che per spiegare le osservazioni di H.E.S.S. serve che la sorgente sia collocata al centro della galassia e che produca questi raggi cosmici al PeV continuamente per diverse migliaia di anni, altrimenti i conti non tornano. Sappiamo che i resti di supernova non possono essere sorgenti al PeV per periodi così lunghi, quindi questo esclude che la sorgente sia un singolo resto di supernova. Si potrebbe quindi ipotizzare che quello che vediamo sia il contributo sovrapposto di tanti resti di supernova attivi nel centro galattico, ma abbiamo fatto un calcolo di quanti resti servirebbero per spiegare i dati e abbiamo ottenuto valori irragionevoli.
«L’aspetto più interessante», prosegue Gabici, «è che stando a quanto afferma il modello più accreditato dovrebbero essere i resti di supernova ad accelerare i raggi cosmici galattici fino alle energie del PeV, mentre il primo oggetto capace di accelerare particelle al PeV che scopriamo è un buco nero. Questo apre nuove e intriganti possibilità. Chiaramente non significa che i resti di supernova non siano più valide sorgenti di raggi cosmici, ma che ci sono altre sorgenti possibili. Le osservazioni che abbiamo ottenuto non ci permettono di dire se il centro galattico possa essere una vera alternativa ai resti di supernova. Ai tassi di accelerazione estrapolati dai dati H.E.S.S. la risposta sembrerebbe essere negativa, ma sappiamo che il Sgr A* ha attraversato fasi di attività più intensa. Pertanto, è possibile speculare e dire che, se il buco nero al centro della nostra galassia è stato (sufficientemente) più attivo in passato, allora potrebbe essere responsabile di tutti i raggi cosmici al PeV che osserviamo».
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo su Nature “Acceleration of petaelectronvolt protons in the Galactic Centre” della collaborazione H.E.S.S.
Fonte: Media INAF | Scritto da Elisa Nichelli