Il Problem Solving è un insieme di processi essenziali da eseguire con ordine. La Psicologia può essere di grande aiuto con alcuni consigli pratici che portano non solo a risolvere il problema, ma anche a gestire il nostro mondo emozionale, a migliorare le relazioni e imparare a comunicare con più efficacia. Sul Web e sui Social Media così come nella vita reale.
Che la Psicologia possa aiutare solo nella teoria è uno stereotipo ormai superato.
E se così non fosse, ecco alcuni consigli pratici per la Soluzione dei Problemi, sul Web, sui Social Media e nella vita reale.
“Non si possono risolvere i problemi di oggi con lo stesso modo di pensare che li ha generati ieri”, sosteneva lo scienziato e filosofo Ervin Laszlo.
Da qui si può iniziare a riflettere. Facendo, anzi, un ulteriore passo indietro.
Perché si parli di Problem Solving – da Wikipedia: “l’insieme dei processi atti ad analizzare, affrontare e risolvere positivamente situazioni problematiche” – è necessario prima di tutto Definire il Problema.
Primo consiglio: Circoscriverne i limiti per comprenderne la gravità.
Questo è il primo passaggio che aiuta concretamente a capire quali risorse siano necessarie per la soluzione, ad esempio se si può essere aiutati da altre persone o se si tratta di un problema personale più o meno inconscio.
Una distinzione in sé già difficile da fare, poiché la maggior parte dei problemi con gli altri nasce o, per lo meno è influenzata, da cause interiori.
Secondo consiglio: imparare ad Ascoltarsi.
Dandosi tutto il tempo necessario perché la Risposta emerga da sé.
Facendo Silenzio.
Saranno in molti in questo momento a voler dare opinioni più o meno rigide o accomodanti.
Ecco, rifiutiamo qualsiasi giudizio altrui.
Mettiamo a tacere tutti: è solo del Silenzio che abbiamo bisogno ora.
Stress, insicurezza, paura di parlare in pubblico, incapacità di cambiare, eccessivo rigore verso se stessi, bassa autostima e difficoltà di comunicazione.
Queste sono alcune delle cause più frequenti che, se non ascoltate, portano a problemi concreti e ad errori, in misura maggiore sui Social Media dove si è esposti pubblicamente in tempo reale e la “voce” risuona amplificata.
La marcata tendenza delle persone a esprimere – sempre e comunque – la propria opinione, inoltre, non aiuta a capire quando la risposta ai nostri problemi è solamente dentro di noi.
L’incomunicabilità e la non comprensione sono il risultato assicurato di un’interazione che non è un vero dialogo e non è un confronto, bensì l’incontro di due monologhi paralleli.
Circoscritto il problema e comprese le cause dentro di noi, si avrà davanti un nemico che non può più scappare.
Ecco il terzo consiglio: dare un Nome agli stati d’animo.
Aiuterà immediatamente a togliere forza al problema.
Non ne saremo più in balia. Potremo anzi prenderlo in giro, dargli le definizioni e le etichette più impensate.
Riderne.
E Ridere è come avere già vinto.
Ora non è più il momento di chiedersi “perché”, né di ricordarci il passato e lamentarsi.
Ormai si è diventati forti abbastanza da prendere le redini del problema e renderlo qualcosa di molto più semplice.
L’Umorismo è la forma più creativa dell’Intelligenza.
Secondo soltanto all’Autoironia.
Proviamoci: prendiamo in giro i nostri stessi problemi.
Non permettiamo agli altri di farlo, ma facciamolo noi.
Sconfiggeremo quel giudizio interiore che zittisce la nostra spontaneità, nasconde l’autenticità della nostra autostima e aumenta il livello eccessivo di stress.
Ridere, allora, è come respirare di nuovo dopo una lunga, lunghissima apnea.
Ancora oggi, nella nostra società, siamo portati a pensare che ridere nelle situazioni critiche o complesse sia sintomo di immaturità e superficialità. La realtà è che ci sono delle forti distinzioni e, soprattutto, che ridere è una vera forma di Terapia.
Al contrario del continuo rimuginare, l’umorismo spezza le fissazioni mentali che portano ansia e stress, oltre a produrre nel nostro organismo un numero maggiore di ormoni benefici per il sistema immunitario e cardiaco.
Ci sono, poi, delle Parole che fanno male. A chi le pronuncia (scrive) e a chi le ascolta (legge).
Questo potrebbe innescare un processo esplosivo, soprattutto nella Comunicazione sul Web e sui Social Media.
I problemi nella Comunicazione portano sempre a Interazioni infelici.
Si crea una rottura là dove la Relazione potrebbe essere, invece, un nutrimento per le persone coinvolte.
E poi non è per nulla facile porvi rimedio.
La Coerenza della nostra Immagine sul Web ne viene intaccata, più o meno fortemente. Perché dietro a queste “parole errate” c’è sempre un Atteggiamento sbagliato della persona che comunica.
Ecco, quindi, il quarto consiglio. La comunicazione risente delle Emozioni. Impariamo a Parlarne.
C’è una differenza abissale, sul Web come nella vita reale, fra dire “sei scemo” piuttosto che “stai facendo lo scemo”, perché Essere e Fare sono due condizioni totalmente opposte.
Dire “non mi ascolti” piuttosto che “non mi sento ascoltato” mette in gioco emozioni come l’Empatia, caratteristica fondamentale di una comunicazione efficace e di una relazione soddisfacente.
Non è affatto solo una questione di educazione.
“Essere scemi” comporta una valutazione di disistima.
“Non essere ascoltato” rafforza l’insicurezza personale.
Se al contrario il “Voglio” sostituisce il “Devo” il livello di stress diminuirà all’istante.
Esiste un altro modo – il quinto consiglio di Problem Solving – che funziona sempre per Gestire le Emozioni: prenderne Coscienza.
Velocità, poco tempo, troppe cose da dire e da fare in privato e in pubblico.
Lo stress rende inefficace il lavoro.
La comunicazione perde il suo spirito brillante e la sua potenza, non raggiunge più il cuore dell’ascoltatore.
Il quinto consiglio viene direttamente dalla mia storia personale.
Ve lo racconto così come l’ho vissuto.
Nell’infanzia credo di essere stata una delle bambine più disordinate che si possano immaginare.
Quel “rimetti a posto la stanza” era una specie di incubo, ogni sera: non sapevo da dove incominciare.
Era fare peggio ogni volta, non trovare mai le cose che servivano, non sapere come placare mia madre e non finire con le sue urla.
Finché mia madre non s’inventò il Gioco del Primo Cassetto.
Io avevo quattro cassetti vicino al mio armadio.
Il gioco era quello di buttare nel primo cassetto tutto quello che non sapevo che posto avesse in realtà.
Usare il primo cassetto come “il cassetto del disordine puro”: un misto di bambole, cartoncini, disegni, matite e pezzi di pongo. Tutto dentro, lì, nel primo cassetto.
Era l’unica regola del gioco. Usare solo e soltanto il primo cassetto come contenitore della “spazzatura”.
Passarono poche settimane. Il primo cassetto restò un disastro, ma il secondo, il terzo e il quarto diventarono perfettamente ordinati. Meticolosamente, direi.
Avevo imparato una lezione essenziale: lo stress, la confusione mentale, l’indecisione e l’insicurezza sono sentimenti da accettare.
L’importante è imparare a Gestirli perché non diventino un danno talmente profondo da rivoltarsi contro noi stessi e diventare un Problema irrisolvibile.