22 agosto 2014 Lascia un commento
Capitolo 7
Arrivarono in auto nei pressi dell’università e parcheggiarono in una delle innumerevoli viuzze strette. Ormai era buio e branchi di studenti sciamavano nelle strade chiacchierando a voce alta. Rick era taciturno e così fu Sam a farsi carico della conversazione. «Una trattoria, per definizione, è un locale senza pretese a gestione familiare, con grandi piatti della cucina locale, ottimi vini e porzioni abbondanti, il tutto non troppo caro. Mi stai ascoltando?»
«Sì» rispose Rick. Stavano camminando a passo veloce sul marciapiede.
«Hai intenzione di nutrirmi o di uccidermi con le chiacchiere?»
«Sto solo cercando di introdurti alla cultura italiana.»
«È sufficiente che mi trovi una pizza.»
«Dov’ero rimasto?»
«Alla trattoria.»
«Sì, che è diversa da un ristorante, di solito più elegante e costoso. Poi c’è l’osteria, che tradizionalmente era la sala da pranzo di una locanda, ma che al giorno d’oggi può significare qualunque cosa. E il bar, di cui abbiamo già parlato. E l’enoteca, che di solito vende e serve vino con spuntini e piatti più piccoli. Mi pare che sia più o meno tutto.»
«Quindi nessuno ha mai fame in Italia.»
«Vuoi scherzare?»
Sopra la porta d’ingresso c’era una piccola scritta: Café Montana. Dalla strada, attraverso la vetrata, si vedeva una lunga sala piena di tavoli vuoti, tutti apparecchiati con tovaglie bianche stirate e inamidate, piatti e tovaglioli azzurri, grandi bicchieri da vino.
«È un po’ presto» disse Russo. «La gente comincia ad arrivare verso le otto. Nino comunque ci sta aspettando.»
«Montana?» domandò Rick.
«Sì, in omaggio a Joe Montana, il quarterback.»
«No!»
«Dico sul serio. Questi ragazzi amano il football. Anni fa giocava anche Carlo, ma si è rovinato un ginocchio e così adesso si occupa della cucina.
La leggenda dice che detiene ogni record possibile per quanto riguarda i falli personali.»
Entrarono nel locale e, qualunque cosa Carlo stesse preparando in cucina, li aggredì con forza. L’aroma di aglio, ragù e carne di maiale che friggeva aleggiava nell’aria come fumo. Rick era più che pronto a mangiare.
Nel caminetto quasi in fondo alla sala ardeva il fuoco.
Da una porta laterale entrò Nino, che cominciò a salutare Sam. Un possente abbraccio e un virile, rumoroso bacio da qualche parte nei pressi della guancia destra, stessa cosa per la guancia sinistra. Poi Nino afferrò la mano destra di Rick con entrambe le sue e disse: «Rick, mio quarterback, benvenuto a Parma». Rick ricambiò la stretta di mano, pronto però a scattare indietro nel caso fossero ripresi i baci. Non accadde.
L’accento di Nino era marcato, ma le parole erano chiare. Rick suonava più come Reek.
«Il piacere è mio.»
«Io sono il centro» annunciò orgoglioso Nino. «Ma tu stai attento con le mani: mia moglie è molto gelosa!» Al che Nino e Sam si piegarono in due dal ridere. Rick si unì goffamente alla risata.
Nino era alto meno di un metro e ottanta, grosso e in forma, probabilmente intorno ai cento chili. Mentre rideva alla sua stessa battuta, Rick lo studiò rapidamente e si rese conto che quella poteva essere una stagione davvero molto lunga. Un centro alto uno e settantotto?
E non era neppure tanto giovane. I capelli scuri e ondulati cominciavano a mostrare le prime sfumature di grigio sulle tempie. Doveva essere sui trentacinque anni. Però il mento era forte e in lui c’era una decisa vena selvaggia, di sicuro era un uomo che amava battersi.
"La pelle dovrò salvarmela da solo" pensò tra sé e sé.
Dalla cucina spuntò Carlo, in grembiule bianco inamidato e berretto da cuoco. Quello sì che era un centro. Un metro e ottantotto, almeno centodieci chili, spalle ampie. Ma una leggerissima zoppia. Salutò Rick con calore e un rapido abbraccio, niente baci. Parlava inglese molto peggio di Nino e, dopo poche frasi, lasciò perdere e passò all’italiano, lasciando Rick ad annaspare alla cieca.
Sam fu veloce a intervenire: «Carlo ti dà il benvenuto a Parma e nel suo ristorante. Non sono mai stati così felici: un vero eroe del Super Bowl americano che gioca con i Panthers. E spera che verrai a mangiare e a bere
spesso nel suo piccolo locale».
«Grazie» disse Rick a Carlo, che gli teneva ancora strette le mani tra le sue. Carlo riprese a parlare e Sam tradusse: «Dice che il proprietario della squadra è suo amico e viene spesso a mangiare qui. E che tutta Parma è entusiasta di avere il grande Rick Dockery in maglia nera e argento». Pausa.
Rick disse di nuovo grazie, sorrise con il maggior calore possibile e ripeté mentalmente a se stesso le parole "Super Bowl". Finalmente Carlo lo lasciò andare e cominciò a urlare in direzione della cucina.
Mentre Nino li accompagnava al tavolo, Rick sussurrò a Sam: «Super Bowl. Da dove salta fuori?».
«Non lo so. Forse ho tradotto male.»
«Splendido. Avevi detto che parli bene italiano.»
«Quasi sempre.»
«Tutta Parma? Il grande Rick Dockery? Ma cos’hai raccontato a questa gente?»
«Gli italiani esagerano sempre.»
Il tavolo era vicino al caminetto. Nino e Carlo scostarono le sedie per fare accomodare i due ospiti e, prima ancora che Rick potesse sedersi, tre giovani camerieri in perfetta tenuta bianca calarono su di loro. Il primo con un grande piatto da portata. Il secondo con un magnum di vino frizzante. Il terzo con un cestino di pane e due bottiglie: olio d’oliva e aceto. Nino fece schioccare le dita e indicò qualcosa, mentre Carlo abbaiò a uno dei camerieri, che rispose a tono altrettanto rapidamente. Poi tutti si diressero verso la cucina, continuando a discutere a ogni passo.
Rick studiò il grande piatto da portata. Al centro c’era un grosso pezzo di formaggio duro, color paglia, circondato da perfetti anelli di quelli che sembravano essere affettati. Salumi dall’aspetto appetitoso, diversi da qualsiasi cosa Rick avesse mai visto. Mentre Sam e Nino chiacchieravano in italiano, un cameriere stappò rapidamente la bottiglia di vino, riempì tre bicchieri e poi scattò sull’attenti, con il tovagliolo bianco inamidato sul braccio.
Nino passò i bicchieri e poi sollevò il proprio. «Un brindisi al grande Rick Dockery e alla vittoria dei Panthers nel Super Bowl.» Sam e Rick bevvero un sorso, Nino vuotò metà bicchiere. «Questo è un malvasia secco
di una cantina locale» annunciò. «Tutto stasera è originario dell’Emilia. L’olio d’oliva, l’aceto balsamico, il cibo, il vino… tutto di qui» dichiarò con orgoglio, dandosi un impressionante pugno sul petto. «La miglior cucina del mondo.»
Russo si avvicinò a Rick. «Qui siamo nella provincia di Parma, che fa parte dell’Emilia-Romagna, una delle regioni italiane.»
Rick annuì e bevve un altro sorso. Durante il volo aveva sfogliato una guida turistica perciò sapeva dove si trovava, più o meno. In Italia c’erano venti regioni e, in base al suo rapido esame, quasi tutte sostenevano di vantare la migliore cucina e i migliori vini del paese.
Nino bevve un altro sorso e poi si piegò in avanti, unendo la punta di tutte le dita, un professore sul punto di tenere una conferenza già data molte volte. Con un gesto casuale in direzione del formaggio, cominciò: «Naturalmente sapete che questo è il miglior formaggio al mondo. Il Parmigiano Reggiano. Quello che voi chiamate parmesan. È il re dei formaggi e viene prodotto proprio qui: il vero, autentico parmigiano si fa solo nella nostra
piccola città. Questo lo produce mio zio, che vive a quattro chilometri da dove siete seduti adesso. Il migliore».
Si baciò la punta delle dita e poi staccò con grazia qualche scheggia, che lasciò sul piatto mentre riprendeva la lezione. «Quello» e indicò il primo anello di affettato «è il prosciutto, famoso in tutto il mondo. Voi lo chiamate Parma ham. Si fa solo qui, con maiali particolari nutriti a orzo, avena e il latte residuo della produzione del parmigiano. Il nostro prosciutto non viene mai cotto» dichiarò in tono grave, agitando un dito in segno di disapprovazione. «Ma viene trattato con sale, aria fresca e molto amore. Diciotto mesi ed è pronto.»
Prese una fettina di pane marrone, su cui versò un poco d’olio d’oliva e poi posò una fetta di prosciutto e una scheggia di parmigiano. Quando ritenne il tutto perfetto, lo porse a Rick e disse: «Un assaggino». Rick mise
in bocca tutto in un unico boccone, poi chiuse gli occhi e assaporò il momento.
Per uno cui piaceva il McDonald’s, i sapori risultarono stupefacenti. Rivestirono ogni papilla gustativa e lo spinsero a masticare più lentamente possibile. Sam stava prendendo una fetta per sé e Nino versava altro vino.
«Buono?» domandò a Rick.
«Oh, sì.»
Nino porse un altro sandwich al suo quarterback e riprese la conferenza: «E poi abbiamo il culatello, che è fatto con la zampa del maiale, da cui viene tolto l’osso e di cui si tengono solo le parti migliori, che vengono
trattate con sale, vino bianco, aglio, un mucchio di aromi e poi lavorate a mano per ore e ore, prima di essere insaccate in una vescica di maiale e messe a stagionare per quattordici mesi. L’aria dell’estate lo asciuga e l’inverno umido lo mantiene tenero». Mentre parlava, le mani erano in costante movimento: indicando, bevendo, staccando altre scaglie di formaggio, miscelando con attenzione l’aceto balsamico nella ciotola dell’olio d’oliva.
«Per il culatello usiamo i maiali migliori, piccoli maialini neri con qualche chiazza rossa, selezionati con cura e nutriti solo con mangimi naturali. Mai rinchiusi: quei maiali se ne vanno in giro liberamente e mangiano ghiande
e noci.» Nino parlava di quelle creature con una tale deferenza che era difficile credere che stessero per mangiarne una.
Rick non vedeva l’ora di assaggiare il culatello, qualcosa con cui non era mai entrato in contatto prima. Finalmente, in una pausa nella sua esposizione, Nino gli porse un’altra fetta di pane con una spessa rondella di culatello e, sopra, una scheggia di parmigiano.
«È buono?» domandò, mentre Rick masticava e tendeva la mano per averne ancora.
I bicchieri di vino vennero riempiti di nuovo.
«L’olio d’oliva viene prodotto poco lontano» stava dicendo Nino. «E l’aceto balsamico viene da Modena, cinquanta chilometri più a est. Era la città di Pavarotti, sai. Il miglior aceto balsamico viene da Modena, però a Parma si mangia meglio.»
L’ultimo anello sul bordo del piatto era salame Felino, fatto praticamente sul posto, stagionato per dodici mesi, indubbiamente il miglior salame d’Italia. Dopo averlo servito a Sam e a Rick, Nino improvvisamente sfrecciò verso la porta d’ingresso, da cui stavano entrando altre persone.
Finalmente solo, Rick afferrò un coltello e cominciò a staccare enormi pezzi di parmigiano. Si riempì il piatto di affettati, formaggio e pane e mangiò come un disperato.
«Faresti meglio a lasciare un po’ di posto» gli consigliò Sam. «Questo è solo l’antipasto, il preriscaldamento.»
«Alla faccia del preriscaldamento.»
«Sei in forma?»
«Più o meno. Sono centodue chili, circa cinque di troppo. Li perderò.»
«Di sicuro non stasera.»
Due ragazzi grandi e grossi, Paolo e Giorgio, si unirono a loro. Nino li presentò al nuovo quarterback, insultandoli scherzosamente in italiano. Esauriti abbracci e saluti, i due si misero a sedere e guardarono gli antipasti.
Sam spiegò che erano lineman, in grado di giocare su entrambi i lati, se necessario. Rick si sentì incoraggiato perché tutti e due erano sui venticinque anni, alti più di un metro e ottanta, con toraci possenti e, all’apparenza,
in grado di sbattere a terra chiunque.
I bicchieri vennero riempiti, il formaggio spezzettato e il prosciutto aggredito.
«Quando sei arrivato?» domandò Paolo. C’era solo una traccia di accento nel suo inglese.
«Oggi pomeriggio» rispose Rick.
«Entusiasta?»
Rick riuscì a rispondere "molto" con una certa convinzione. Era entusiasta all’idea della prossima portata, entusiasta all’idea di incontrare le cheerleader italiane.
Sam spiegò che Paolo si era laureato alla Texas A&M e lavorava nell’azienda di famiglia, che produceva piccoli trattori e attrezzi per l’agricoltura.
«E così sei un Aggie» osservò Rick.
«Sì» confermò Paolo con orgoglio. «Amo il Texas, è là che ho scoperto il football.»
Giorgio mangiava, ascoltava la conversazione e si limitava a sorridere.
Sam disse che stava studiando inglese, poi sussurrò a Rick che l’aspetto del ragazzo traeva in inganno, dato che Giorgio non riusciva a bloccare nemmeno una porta. Stupendo.
Carlo tornò, impartendo ordini ai camerieri e risistemando la tavola. Nino si presentò con un’altra bottiglia che, sorpresa, arrivava proprio da dietro l’angolo. Era un lambrusco, un rosso frizzante, e Nino conosceva personalmente il produttore. Spiegò che in tutta l’Emilia-Romagna si produce dell’ottimo lambrusco, ma quello era il migliore. E si abbinava perfettamente con i tortellini in brodo che suo fratello stava servendo in quel momento. Fece un passo indietro e Carlo attaccò una rapida spiegazione in italiano.
Sam Russo tradusse sottovoce: «Questi sono tortellini, un famoso piatto regionale. Dentro le palline di pasta c’è un ripieno di carne di manzo, prosciutto e parmigiano; il ripieno varia da una città all’altra, ma naturalmente la ricetta migliore è quella di Parma. La pasta è stata fatta a mano oggi pomeriggio da Carlo in persona. La leggenda dice che l’uomo che creò i tortellini li modellò ispirandosi all’ombelico di una bella donna. Qui abbiamo un mucchio di leggende che riguardano il cibo, il vino e il sesso. Il brodo naturalmente è di carne, con qualche altro ingrediente». Il naso di Rick era a pochi centimetri dal piatto e inalava i profumi intensi.
Carlo fece una specie di inchino e poi aggiunse qualcosa. Sam spiegò: «Dice che queste sono porzioni piccole perché poi ci saranno altri primi».
Alla prima cucchiaiata di tortellini della sua vita, Rick per poco non pianse. I tortellini che nuotavano nel brodo gli risvegliarono tutti i sensi e gli provocarono un ruttino. «È la cosa migliore che io abbia mai assaggiato.» Carlo sorrise e si ritirò in cucina.
Rick mandò giù i primi tortellini con un po’ di lambrusco, poi attaccò gli altri che galleggiavano nel piatto fondo. Porzioni piccole? Paolo e Giorgio si erano fatti silenziosi, concentratissimi sui loro piatti. Solo Sam dava prova di un certo controllo.
Nino fece accomodare una giovane coppia a un tavolo vicino, poi si precipitò di nuovo da loro con un’altra bottiglia, un favoloso sangiovese rosso e secco proveniente da un vigneto vicino a Bologna, che Nino andava a visitare una volta al mese per monitorare i progressi dell’uva. «Il prossimo piatto è un po’ più pesante» spiegò, «Perciò il vino deve essere un po’ più forte.» Stappò la bottiglia con un gesto elegante, annusò, alzò gli occhi al cielo in segno di approvazione e poi cominciò a versare. «Questa è roba buona» dichiarò, mentre riempiva cinque bicchieri e si serviva una dose un po’ più generosa delle altre. Un altro brindisi, in pratica una maledizione diretta ai Lions di Bergamo, e poi tutti assaggiarono il vino.
Rick era sempre stato un uomo da birra. Quel tuffo nei vini italiani era sconcertante, ma anche molto piacevole.
Un cameriere stava raccogliendo i piatti dei tortellini, mentre un altro li sostituiva con quelli puliti. Carlo marciò verso il tavolo dalla cucina, seguito da due camerieri.
«Questo è il mio piatto preferito» cominciò in inglese, per poi passare subito alla lingua più familiare. «È un rotolo di pasta ripieno» spiegò Sam, mentre tutti guardavano ammirati la prelibatezza davanti a loro. «Il ripieno è fatto con carne di vitello, maiale, fegatini di pollo, salsiccia, ricotta e spi-naci, la pasta è fresca.»
Tutti, tranne Rick, dissero "Grazie" mentre Carlo faceva un altro inchino e scompariva. Il ristorante ormai era quasi pieno e stava diventando rumoroso. Continuando a mangiare senza perdere un colpo, Rick si sentì incuriosito alla gente intorno a lui. Gli avventori sembravano essere del posto, gente che si godeva una cena tipica nel ristorante del quartiere. Negli Stati Uniti piatti come quelli avrebbero scatenato assalti di clienti entusiasti. Qui tutti li davano per scontati.
«Vengono molti turisti a Parma?» domandò.
«Non molti» rispose Sam. «Gli americani vanno a Firenze, Venezia e Roma. In estate ne arriva qualcuno in più, soprattutto europei.»
«Cosa c’è da vedere a Parma?» chiese Rick. La sua guida turistica era stata piuttosto avara di informazioni sulla città.
«I Panthers!» esclamò Paolo, ridendo.
Rise anche Sam, che bevve un sorso di vino e rifletté per un momento.
«Questa è una bellissima, piccola città di centomila abitanti. Ottima cucina e ottimi vini, splendida gente che lavora sodo e vive bene. Ma Parma non richiama molta attenzione. Ed è un bene. Sei d’accordo, Paolo?»
«Sì. Non vogliamo che Parma cambi.»
Rick ne prese un altro boccone e cercò di isolare il sapore della carne di vitello, ma era impossibile. I diversi tipi di carne, il formaggio e gli spinaci si fondevano in un unico sapore delizioso. Rick di sicuro non aveva più fame, ma neppure si sentiva pieno. Erano seduti già da un’ora e mezza, una cena lunghissima in base ai suoi vecchi standard, ma solo un riscaldamento a Parma. Imitando gli altri tre, cominciò a mangiare lentamente, molto lentamente. Gli italiani intorno a lui chiacchieravano più di quanto mangiassero e la trattoria era immersa in un basso ronzio. Cenare aveva certamente a che fare con ottimo cibo, ma era anche un evento sociale.
Ogni pochi minuti Nino passava al tavolo con un veloce «Buono?» rivolto a Rick. Grande, meraviglioso, delizioso, incredibile.
Arrivarono i secondi. I piatti erano completamente coperti – sempre porzioni piccole – dalle cotolette alla parmigiana, un altro famoso piatto locale e uno dei preferiti dello chef. «Cotolette nello stile di Parma» spiegò Russo. «Le cotolette vengono battute, immerse nell’uovo, fritte in padella e poi passate al forno con un mix di parmigiano e brodo finché il formaggio non si scioglie. Il manzo è stato allevato dallo zio della moglie di Carlo, che ha
consegnato la carne nel pomeriggio.» Mentre Carlo spiegava e Sam traduceva, Nino era indaffarato con il vino successivo, un rosso secco del parmigiano. Vennero portati bicchieri puliti ancora più grandi e Nino fece ruotare il bicchiere, annusò e bevve un sorso. Un altro movimento orgasmico degli occhi e il vino venne dichiarato sensazionale. Veniva prodotto da un caro amico ed era forse il vino preferito di Nino.
Sam sussurrò: «Parma è famosa per la sua cucina, ma non per i vini».
Rick bevve un sorso, sorrise alla sua cotoletta e giurò che, almeno per il resto della cena, avrebbe mangiato più lentamente degli italiani. Sam lo osservava attento, sicuro che lo shock culturale stesse svanendo in quell’inondazione di cibo e vino.
«Mangiate spesso così?» domandò Rick.
«Non tutti i giorni, ma non è nemmeno così insolito» rispose Russo.
«Questi sono tutti piatti tipici di Parma.»
Paolo e Giorgio stavano tagliando le loro cotolette e Rick attaccò lentamente la sua. Le cotolette durarono una mezz’ora, al termine della quale i camerieri portarono via i piatti vuoti con gesti teatrali. Seguì una lunga
pausa, mentre Nino e i camerieri si occupavano degli altri tavoli.
Il dessert era d’obbligo, perché Carlo aveva preparato il suo dolce speciale, la torta nera, e perché Nino aveva messo da parte un vino molto particolare per l’occasione, un bianco secco frizzante della provincia. Stava dicendo che la torta nera, creazione di Parma, era a base di cioccolato, mandorle e caffè e, dato che era appena uscita dal forno, Carlo aveva aggiunto un tocco di gelato alla vaniglia. Nino aveva un minuto a disposizione, così prese una sedia e si unì ai compagni di squadra e all’allenatore per quell’ultima portata, sempre che dopo gli ospiti non avessero gradito un po’ di formaggio e un digestivo.
Non gradivano. Il ristorante era ancora mezzo pieno, quando Sam e Rick cominciarono a ringraziare e a cercare di salutare. Abbracci, pacche sulla schiena, poderose strette di mano, promesse di tornare, altri benvenuto a
Parma, molti ringraziamenti per l’indimenticabile cena… il rituale durò un’eternità.
Paolo e Giorgio decisero di trattenersi per farsi un altro po’ di parmigiano e finire il vino.
«Non mi sento di guidare» disse Sam. «Andiamo a piedi. Casa tua non è lontana e da lì posso prendere un taxi.»
«Sono ingrassato di cinque chili» disse Rick, gonfiando lo stomaco e seguendo il suo coach a un passo di distanza.
«Benvenuto a Parma.»