di Matteo Boldrini
5 STELLE, QUANTE STRADE? OPPORTUNITÀ E PROSPETTIVE PER IL MOVIMENTO DI GRILLO
Le elezioni dello scorso febbraio costituiscono senza alcun dubbio delle votazioni storiche, in quanto hanno sanzionato la fine di numerose forze e personalità politiche, e la nascita di altre. Ci hanno poi consegnato uno dei parlamenti più ingovernabili della storia, in un momento molto critico per l’economia italiana risulta molto difficile fare previsioni su ciò che accadrà nei prossimi mesi.
La grande responsabilità di fare da timoniere in questo momento di crisi è toccata a Pierluigi Bersani in quanto leader della coalizione vincente, ma molto di quanto accadrà nel futuro ormai prossimo, dipenderà dal comportamento di una forza politica neofita dell’arena parlamentare, il Movimento 5 Stelle, che ha come portavoce, o “megafono” come gli piace definirsi, Beppe Grillo.
foto tempi.it
Il M5S ha raggiunto un risultato incredibile per essere una nuova formazione: mai nella storia delle elezioni repubblicane una nuova formazione aveva raggiunto il 25% alla prima contesa elettorale a cui ha partecipato (escluse ovviamente le prime elezioni democratiche). Ora però con le urne ormai aperte e l’incarico di governo affidato a Bersani, anche per i grillini è arrivato il momento di volgere lo sguardo al futuro e pensare a cosa voler fare da grandi. Indipendentemente dalle dichiarazioni di Grillo, che insiste nel dire di voler portare il movimento fino al 100%, uno dei principali pensieri di ogni buon grillino è (o dovrebbe essere) prima di tutto la preoccupazione di mantenere il partito intorno alla percentuale acquisita e di farlo diventare una figura stabile all’interno del panorama politico. La storia ci insegna infatti come una forza poco strutturata corra il rischio di fondare il proprio successo sopra il voto di protesta, raggiungendo percentuali ragguardevoli ad una tornata ma diventando marginale a quella successiva se gli umori popolari cambiano. La sfida dell’istituzionalizzazione è pressante per ogni nuovo partito e lo è ancora di più se quel partito diventa necessario per la formazione di un futuro governo. Si perché fintanto che un partito di protesta ottiene percentuali minoritarie e tutto sommato irrilevanti al fine di formare un governo per i membri di quel partito, le cose filano tutte lisce: si accontentano di fare la proprio gita all’interno della Camera che li ha eletti, abbaiando contro le forze politiche tradizionali, e criticando di volta in volta i provvedimenti che vengono proposti, ignorandone altri. Ma quando c’è la possibilità di entrare in un governo le cose si complicano notevolmente, specie se la partecipazione diventa fondamentale per la formazione dello stesso e si è costretti ad associarsi con i partiti dell’establishment che si sono attaccati fino alla mattina. Grillo non è stupido e questa cosa l’ha capita benissimo, ma non vi è una soluzione che gli permetta di scansare il problema, che eviti ai grillini la responsabilità e gli permetta di godersi la propria gita all’interno del Parlamento Italiano. Le strade che si prospettano per il M5S e il programma di Grillo sono essenzialmente tre e meritano di essere esaminate in dettaglio. (queste opzioni prendono in considerazione solo le opzioni che prevedono un comportamento unitario del M5S, eventuali defezioni non sono prese in considerazione)
La PRIMA di esse è anche quella che viene portata avanti ufficialmente da Beppe Grillo ed è quella del nessun accordo con le forze politiche tradizionali. Contro di loro non sono certo state spese parole gentili e avendo costruito una campagna elettorale (ed anche i risultati che essa ha prodotto) con l’antitesi verso queste forze politiche, questapuò sembrare la strada che paga di più in termini di consenso per il partito a cinque stelle. Inoltre c’è anche la possibilità che dichiarandosi indisponibili, gli altri partiti decidano di coalizzarsi e di formare un governissimo. Questo sarebbe un sogno per Grillo che potrebbe continuare a sparare contro il consociativismo dei partiti tradizionali e potrebbe tranquillamente aumentare il proprio bacino di consensi senza intervenire direttamente nelle riforme. Questa situazione però si potrebbe rivelare una lama a doppio taglio per svariati motivi. Partiamo dal meno probabile. Se un governo di larghe intese si dovesse formare, cosa ad oggi improbabile, e nel caso esso duri a lungo e sia produttivo, cosa ancora più improbabile, esso potrebbe colpire direttamente il bacino di consensi da cui attinge il M5S prosciugandolo o quantomeno riducendolo. Se un governo Pd-Pdl dovesse funzionare e facesse una buona legge sui partiti, riducesse il finanziamento pubblico, rilanciasse lavoro ed economia e facesse quelle due o tre riforme istituzionali indispensabili potremmo andare a votare tra due o tre anni, complice anche una migliore congiuntura internazionale con un quadro fortemente mutato. Resta però una possibilità molto remota e molto accademica. Più probabile è che, in seguito all’indisponibilità per i grillini di dare la fiducia ad un governo, si vada di nuovo ad elezioni anticipate. Ma in questo caso si assumerebbero la responsabilità di un nuovo voto che in una situazione economica non proprio rosea potrebbe avere ripercussioni pesanti sui consensi acquisiti. E anche se nuove elezioni dovessero portare altri voti al partito di Grillo non vi è sbocco possibile a questa situazione. Grillo potrebbe ottenere tranquillamente il premio alla Camera ottenendo un voto in più degli altri, ma è molto difficile che riesca ad ottenere una maggioranza anche al Senato cambiando i numeri ma lasciando comunque inalterato lo stallo attuale.
La SECONDA possibilità è che Grillo si svegli una mattina animato da un sincero spirito riformista e decida di appoggiare direttamente il governo che Bersani gli proporrà, al limite accettando che vengano inseriti alcuni ministri a lui graditi. Anche questa resta un’ipotesi accademica e mi sembra improbabile che ci si ritrovi con Casaleggio o chi per lui al Ministero dello Sviluppo Economico o simili. Questa ipotesi però è interessante perché ci permette di osservare come anche in questo caso per Grillo sarebbe un problema istituzionalizzarsi perché dovrebbe scendere a compromessi con quella stessa classe politica che ha duramente attaccato, rischiando di perdere numerosi consensi.
La TERZA opzione consiste in una forma di appoggio esterno o di non sfiducia o in qualsiasi modo la si voglia chiamare. Essa consiste in un’astensione o non partecipazione al voto al momento in cui Bersani richiede la fiducia e poi un voto diverso a seconda delle diverse proposte. A mio avviso rappresenta la situazione più favorevole per il Movimento 5 Stelle in quanto permette di avvicinarsi alla situazione ideale descritta prima in cui sono gli altri ad assumersi la responsabilità delle scelte politiche e permette al partito di esprimere la propria opinione su i vari contenuti e di portare avanti le proprie battaglie. Essa è paradossalmente la situazione più favorevole anche per il Paese perché permetterebbe di correggere alcune imperfezioni del nostro sistema (prima di tutto la legge elettorale) dando tempo al sistema partitico di stabilizzarsi in attesa di tempi migliori.
In realtà non avremo mai questa situazione. Se Grillo appoggiasse i tentativi di cambiamento provenienti dalle altre forze politiche perderebbe i propri bersagli e la propria funzione all’interno del sistema. Quindi cercherà di restare ai margini della contrattazione governativa, sperando che un governo si formi e che duri il meno possibile, nel frattempo continuando a lanciare invettive aumentando i propri consensi. È la storia dei partiti di protesta, ogniqualvolta si sono associati ad un governo non sono stati in grado di trasformare la protesta in proposta, entrando così in crisi. Grillo questo lo sa benissimo ed è per questo che non si schiererà a favore di nessun governo, confidando nel senso di responsabilità delle altre forze politiche. In barba alla crisi e agli italiani, anche a quelli che lo hanno votato.
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