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Il provincialismo dell’esterofilia. Breve analisi di un equivoco.

Creato il 07 novembre 2013 da Catreporter79
Tra le più smaccate peculiarità intrinseche alla cultura italiana, trova spazio una forma molto rumorosa di esterofilia, spesso collocata e collocabile ai limiti di una vera e propria pulsione italofoba. Il motivo di questa inclinazione distorsiva viene spesso fatto ricondurre alla brevità del nostro percorso unitario, ma è una tesi, a mio modo di vedere, rispondente soltanto parzialmente al vero. I Paesi latinoamericani, infatti, benché quasi completamente sprovvisti di una storia particolare di rilevante consistenza (mi riferisco alle esperienze comunitarie post-coloniali), privi di una lingua comune ed enormemente e disordinatamente composti, sotto il profilo etnico e culturale, mostrano e vantano una fortissima consapevolezza collettiva, identitaria e di appartenenza. L’ἀρχή di questa vocazione xenofila italiana va cercata invece nel trauma sociale ed antropologico causato dall’esperienza fascista che, insieme al portato dottrinale internazionalista della sinistra di ispirazione marxista-marxiana ed a quello universalista del cristianesimo democristiano, ha confezionato e consegnato il clichè secondo cui l’esaltazione di tutto ciò che è patrio sia elemento ed attestazione di provincialismo, grettezza intellettuale ed obsolescenza sciovinistica, mentre la condivisione di tutto ciò che trova paternità altrove è o sarebbe sinonimo di elasticità mentale, lungimiranza e libertà di vedute. Di saper andare oltre, insomma. Accade, però, che proprio nel tentativo di mostrarsi privo di pregiudizi, colui il quale abbraccia questo genere di posizioni finisca con il rivelarne e coltivarne, in questo caso in senso italofobo e, in seconda battuta, provinciale.

Sotto un link dedicato alla memoria ed all’opera di Alcide De Gasperi ho letto, da parte di un giornalista (stiamo quindi parlando di una categoria intellettuale), affermazioni tese a negare l’italianità e la vocazione irredentista del Trentino (falso), l’appartenenza dell’Alto Adige alla storia ed alla cultura austriache (falso) e il postulato secondo cui a voler l’annessione all’ Italia fosse stata solo e soltanto “una sparuta minoranza di intellettuali. Che si erano fatti un’idea dell’Italia del tutto sbagliata. Pensavano chissà che e invece” (parzialmente vero. Il Nostro, però, ignorava che a quel tempo i livelli, bassissimi, di scolarizzazione e di diffusione mediatica facevano sì che soltanto le ristrette cerchie di élites intellettuali potessero avere una cognizione sufficientemente fondata in merito a ciò che le circondava). Ma si spingeva oltre, arrivando addirittura ad asserire che De Gasperi avrebbe imparato il significato di “democrazia” e onestà sotto Francesco Giuseppe!!!! Il che è tutto dire…… “. Accediamo così ad un livello superiore dell’indagine speculativa, in cui è l’elemento biologico a porsi come discriminante (gli italiani non sarebbero in grado di sviluppare ed elaborare una coscienza democratica, a differenza degli Austriaci). Ecco che la ricerca dell’affrancamento dal pregiudizio si fa essa stessa pregiudizio. Per un attimo sono stato pervaso dalla tentazione di replicare, illustrandogli la storia, antica, medievale, moderna e contemporanea, del Trentino come dell’Alto Adige, ma ho desistito; il suo Ego ne sarebbe stato ferito e si sarebbe chiuso a riccio, ripiegando sulla difensiva. Tempo perso.

Non era sua intenzione offendere e sminuire la comunità di cui fa parte; semplicemente voleva, in quanto condizionato dalle eredità culturali precedentemente illustrate ed analizzate, porsi e sentirsi come uomo libero dagli schemi convenzionalmente accettati, intellettualmente evoluto ed equipaggiato, e per farlo ha scelto come cuneo e punto d’entrata un elemento a fortissima carica identitaria e sciovinista.

Stessa cosa si può dire di una certa porzione dell’ opera revisionistica antirisorgimentale ( in questo caso non di ispirazione neoborbonica) o dei contributi storiografici, giornalistici e cinematografici sull’esercito italiano, dipinto secondo i contorni della macchietta in un esercizio che non ha soltanto dell’iniquo da un punto di vista morale ma che disvela un inaccettabile primitivismo di analisi ed elaborazione del portato documentale (la “Grande Guerra” del socialista Monicelli ne è un esempio paradigmatico ed efficace).



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