la bambola ritratta è una creazione di Michael Zajkov
Da settembre 2015 (e questo è un dato che risale a dicembre dello stesso anno) cioè da quando è uscito The Story of the Lost Child negli Stati Uniti, il libro ha venduto oltre 750mila copie, mentre nel Regno Unito si avvicina alle 250mila. Tuttavia in Italia Storia della bambina perduta (Edizioni E/O 2014) è meglio noto come quarto e ultimo capitolo della saga de L’amica geniale di cui l’anno scorso si è molto parlato in relazione alla fattibilità di attribuire il Premio Strega a un’autrice invisibile. Già, perché come anche i muri sanno ormai, Elena Ferrante, ammesso che non sia Domenico Starnone o Anita Raja, non l’ha mai vista nessuno salvo i suoi editori, i soli cui l’autrice concede interviste vis-à-vis.
In Italia all’uscita dell’ultimo capitolo della quadrilogia, placate le dovute recensioni, le oltre mille e seicento pagine dei quattro libri del ciclo de L’amica geniale hanno avuto un’accoglienza tiepida da una parte della critica. Nessuno è profeta in patria e questo è valido sempre. Tuttavia parrebbe esistere una spiegazione di questa curiosa forbice interpretativa che rende il ciclo de L’amica geniale, se proprio se ne deve parlare qui in Italia, un “prodotto” così così. Sicuramente diverso dai Neapolitan Novels, pur trattandosi della stessa storia e delle stesse protagoniste.
Il motivo potrebbe essere scritto su Quartz e lo ipotizza una giornalista italiana che vive a New York, Annalisa Merelli: la traduzione. Tutti i libri di Ferrante a partire da L’amore molesto edito in Italia nel 1992, sono stati tradotti dalla giornalista del New Yorker Ann Goldstein, che è anche la traduttrice di moltissimi e importanti libri dall’italiano all’inglese: tra questi, lo Zibaldone di Giacomo Leopardi, l’opera omnia di Primo Levi e Petrolio di Pier Paolo Pasolini, oltre a romanzi più recenti di Alessandro Baricco e Alessandro Piperno.
Mentre qui l’attenzione su Ferrante pareva scemata fino a qualche giorno fa, all’estero, continuano a scrivere che The Story of the Lost Child offre una clamorosa e per nulla rassicurante esplorazione dell’amicizia femminile, in un contesto di ambizione sociale in cui anche gli esiti pratici di un certo modo di intendere il femminismo, possono essere messi in discussione semplicemente da inaspettate svolte della trama. Inoltre alcune recensioni non italiane indicano nei romanzi napoletani una profonda e interessante continuità con i libri di Ferrante precedenti alla saga. Continuità che si insinua e mette radice entro il terreno scabroso del matrimonio, della maternità, della famiglia e della società italiana. Ma non c’è da dare troppo retta, noi qua aspettiamo di vedere la fiction per riparlarne.
Infatti martedì 9 febbraio su La Repubblica.it esce la notizia che non dall’italiana quadrilogia de L’amica geniale verrà tratta una fiction ma dai Neapolitan Novels e da quelli prenderà il titolo. A produrla saranno Fandango e Wildside con partner stranieri non ancora noti e l’autrice coinvolta nelle sceneggiature tratte dai quattro romanzi. Francesco Piccolo non sarà più lo sceneggiatore della fiction annunciata, per la prima volta, ormai più di un anno fa? Lo sarà direttamente Elena Ferrante? Qui da noi a breve potrebbe essere questo uno degli argomenti che andrà per la maggiore insieme al ritorno dello sfinente carosello relativo alle ipotesi sull’identità di Elena Ferrante.
Uno degli argomenti di ambiente ferrantiano tra i più attuali, invece, su cui sarebbe importante si soffermassero le donne che scrivono oggi, ma anche le lettrici e i lettori de L’amica geniale, lo asserisce la stessa autrice in un’intervista rilasciata recentemente a FT Magazine del Financial Times: potrebbe essere ciò che diciamo a noi stessi e a agli altri sulla maternità e l’educazione dei figli. Se le donne continuano a parlarne in maniera idilliaca, come accade in molti manuali di maternità, continueranno a sentirsi sole e in colpa quando l’aspetto frustrante di essere una madre si imporrà con prepotenza entro l’ordine della realtà. O provare magari a parlare liberamente del fatto che come donne si viva sempre di limiti fissati da altri o autoimposti più o meno consciamente, nel timore di non essere all’altezza di aspettative e ideali che non somigliano a niente che ci appartenga davvero “lo sconfinamento da parte delle donne soprattutto quando non viene effettuato sotto la guida o supervisione degli uomini, è disorientante: coincide con una perdita di femminilità, è eccesso, perversione, malattia”
Quindi diamo una scorsa secondo l’ottica suggerita dall’autrice alle casistiche sollevate dalle vicende di Lila e Lenuccia e poi mettiamoci comode e guardiamo la fiction …!