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Il quindicesimo episodio del racconto di gruppo “Dark Agony”

Creato il 26 settembre 2012 da Evelynstorm

http://www.passionelettura.it/2012/09/19/dark-agony-quindicesimo-episodio/

Quindicesimo episodio del racconto “Dark agony”. L’autrice è  Alessandra Elisabeth Gravestone Paoloni.

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Bret a quella domanda non sollevò nemmeno la testa. Non parve accorgersi neppure dell’arrivo dei due uomini nella stanza. Restò con gli occhi fissi sul volto tumefatto e sanguinante della vampira, sussurrando debolmente il suo nome. Vincent lanciò un’occhiata veloce alla carcassa del mostro che giaceva nell’angolo, in una pozza di sangue e bile. Arricciò le labbra in un gesto di disgusto e disprezzo. «Maledetti demoni Beliar. Pensavo si fossero estinti.» Scambiò un’occhiata nervosa con Ammohad, confuso e stordito quanto lui. L’uomo credeva che le difese innalzate per scongiurare un attacco nemico sarebbero state sufficienti a tenere lontani quegli esseri mostruosi. Invece si era soltanto illuso e aveva commesso lo stupido errore di sottovalutare i suoi avversari che si facevano via via sempre più numerosi e pericolosi. Poi fissò lo sguardo sulla scena straziante e grottesca che avveniva davanti ai suoi occhi. Il mezzo vampiro, la cui vita era stata radicalmente stravolta, cullava Aislin tra le braccia come fosse una bambina. «Resto io qui» disse Vincent in tono perentorio. «Tu assicurati che quel demone sia solo.» Ammohad annuì con la testa e lasciò in tutta fretta la stanza. Se avessero subito un nuovo attacco, in un momento simile, non ne sarebbero usciti vivi. Vincent s’avvicinò con passi lenti e calibrati verso suo figlio. Vederlo in quello stato di pena e agitazione gli straziava l’anima. Si chinò su di lui per controllare lo stato e le condizioni di Aislin. Merda, pensò. Era conciata piuttosto male. Questa volta per guarire le sarebbe occorso più tempo e, come ben sapeva, di tempo ce n’era davvero poco. Quell’attacco poteva essere solo un’ulteriore avvisaglia. «Bret…» lo chiamò posandogli una mano sulla spalla. Il ragazzo voltò la testa verso suo padre e la sofferenza che gli lesse negli occhi lo fece vacillare per qualche secondo. Poi Vincent tornò in sé e si risollevò in piedi. Doveva salvare quella vampira e non perché lei fosse un soldato necessario per quella battaglia, ma perché era importante per suo figlio. E glielo doveva, non poteva procuragli altra sofferenza dopo tutti quegli anni di lontananza silenzi e menzogne. «Stendila sul letto!» comandò Vincent. Bret lo guardò come se non avesse capito le sue intenzioni e suo padre fu costretto a ripetere quel comando. Bret allora fece un profondo respiro e si alzò con Aislin tra le braccia, deponendola con cura sul letto. La vampira emise un debole lamento e serrò gli occhi, restando immobile. «Mostrami il tuo braccio!» ordinò ancora Vincent. «Ma cosa…» Vincent e Bret si scambiarono una profonda e veloce occhiata. Poi Bret, senza attendere altre spiegazioni, piegò la manica della camicia fin sopra il gomito e tese il braccio sinistro verso suo padre. Vincent non tergiversò; ogni esitazione poteva rivelarsi fatale. Con l’unghia della mano destra procurò un taglio più o meno profondo sul braccio di suo figlio. Il sangue sgorgò subito copioso. Bret digrignò i denti per il dolore ma non emise un suono. Non attese che fosse suo padre a dirgli ciò che doveva fare, in cuor suo ne era cosciente. Avvicinò il braccio ferito alla bocca di Aislin e guardò il sangue stillarle sulle labbra in piccole gocce. La vampira fremette a quel contatto e sbarrò gli occhi. Bret le passò una mano dietro la nuca e la invitò a sollevare un poco la testa. «Bevi…» le sussurrò in tono gentile, che stonava con quella scena altrimenti macabra e disgustosa. «Il tuo sangue, il sangue di un mezzo vampiro, è più potente di quanto si possa immaginare» spiegò Vincent levandosi da una parte per permettere a suo figlio di compiere quel prodigio. «Anche per questo ti danno la caccia. Il sangue è la vita. Il tuo sangue è la chiave della nostra esistenza.» Aislin si dissetò della linfa vitale di Bret. Il ragazzo ascoltò a malapena le parole di suo padre, così assorto e attento a quello che avveniva in lui ancora una volta. Molte cose erano accadute in quelle ultime ore, ma quella sorta di rituale sancì definitivamente la fine della sua esistenza da essere umano. Bret abbracciò in quel preciso istante il suo destino, la sua vera natura. E giurò a se stesso che in quella lotta avrebbe fatto del suo meglio per proteggere chi amava. Aislin si staccò dal suo braccio completamente sazia e Bret notò che le ferite del suo volto si stavano già rimarginando. Sorrise e allontanò il braccio per chinarsi su di lei e lambirle la fronte con le labbra. Ce l’aveva fatta: l’aveva salvata. Vincent senza aggiungere una parola indietreggiò fino alla porta per uscire dalla stanza; lì il suo compito era giunto a termine e la sua presenza era divenuta di troppo. Portò con sé la carcassa del Beliar caricandoselo sulle spalle e, nauseato dal tanfo che emanava quel corpo, si affrettò a trovargli un posto dove poterlo gettare come un ammasso inutile di rifiuti. Nella stanza piombò un silenzio quasi surreale, che venne spezzato presto. «Mi hai salvata…» parlò Aislin con voce stanca. «Ti ho reso solo il favore. Adesso siamo pari» le rispose Bret senza staccarsi da lei. Si fissarono per un lungo istante; fuori l’alba sorgeva lesta e il sole rifletteva i suoi raggi sulla sabbia del deserto, trasmutandola in oro. La tenda con le rispettive camere erano però immuni dal calore; Ammohad aveva recintato l’accampamento con uno dei suoi incantesimi. Bret lasciò che Aislin riposasse per qualche ora. Lo scontro l’aveva provata e doveva riacquistare le forze. Tuttavia non lasciò la stanza: restò a fissarla per tutto il tempo senza muovere un muscolo, senza permettere a nessuno di disturbare il suo riposo. Non lo raggiungeva da fuori alcun rumore e si domandò se lì, nell’accampamento, non fossero rimasti da soli. E si era deciso finalmente a uscire per controllare, quando la vampira riaprì gli occhi. Aislin si lanciò delle occhiate veloci attorno per poi posare lo sguardo su Bret, seduto immobile al suo fianco. Aislin si tirò su a sedere a sua volta sistemandosi con la schiena contro i cuscini della spalliera. «Come ti senti?» le domandò Bret. Aislin non rispose. Chinò lo sguardo sul braccio sinistro del ragazzo, là dove del taglio inferto da Vincent era rimasto solo un debole segno rossastro. La vampira poi, senza aprire bocca, si avvicinò a lui fissandolo con espressione inequivocabile. Bret fece per aprire bocca e rinnovarle la sua domanda, ma lei lo zittì posando le labbra sulle sue. Le loro lingue iniziarono a giocare, intrecciandosi, in un moto sempre più veloce e impaziente. Bret, con un agile movimento, la inchiodò sulle lenzuola col suo corpo, che null’altro bramava se non fondersi con quello della vampira. La desiderava più di qualsiasi altra cosa, più della sua stessa vita. Senza chiedersi se fosse più o meno opportuno lasciarsi andare in quel momento, fecero volare via gli abiti in un sussurro e sebbene fossero stati già fisicamente vicini quel giorno nella vasca dell’appartamento di Bret, quel contatto andava ben oltre. Bret accarezzò quel corpo nudo con mani sempre più desiderose. La stanza si riempì di gemiti soffocati e respiri affannosi. Le labbra si univano e si staccavano, le dita andavano a cercare gli angoli più nascosti dei loro corpi. Poi, quando Bret affondò in lei, entrambi fremettero gemendo e iniziò una danza comune a tutti gli esseri della terra, umani e non. Si amarono per un tempo che parve arrestarsi, a volte con dolcezza altre quasi con violenza, sancendo la reciproca appartenenza. Erano una cosa sola, contro tutto e contro tutti. Un legame forse già scritto nel destino che nessuno sarebbe mai stato in grado di spezzare. I gemiti divennero grida di piacere, e quando Bret s’accasciò esausto sul corpo di Aislin lei lo cullò stringendosi al suo corpo e restarono avvinghiati ancora, incapaci di staccarsi. Nel frattempo, in una delle stanze poco lontane, Vincent e Ammohad discutevano in maniera esagitata. «Dobbiamo attraversare di nuovo lo specchio e parlare con Timyn» andava dicendo Vincent. «Solo lei può aiutarci a capire con chi abbiamo veramente a che fare. Sembra che tutti i demoni della terra ci stiano inseguendo ed eludano le nostre barriere protettive. Se non riusciamo a tenerci al sicuro qui in questa terra deserta, come potremmo farlo in luoghi più affollati e pericolosi? Non possiamo restare nascosti a lungo….» Ammohad assentì con la testa, il volto contratto in un’espressione assorta e pensosa. «Ma lo specchio non concede a una persona sola di attraversarlo?» domandò incrociando le braccia al petto. Vincent si mosse per raggiungere un angolo della stanza. Recuperò una sacca di velluto scuro, ben nascosta tra altre varie cianfrusaglie. Tornò dal suo amico ed estrasse dalla sacca uno specchio rotondo poco più grande del palmo della mano di un uomo. Era incredibile e impossibile da credere che quello fosse il passaggio per un’altra dimensione. «Bret dovrà andare da solo» sentenziò. Ammohad non rispose. Sapeva che quella era la cosa giusta da fare. Troppe erano le domande alle quali nemmeno lui aveva saputo dare una risposta. E non c’era tempo per chiedersi se Bret fosse in grado o no di compiere una simile missione. Era necessario capire chi c’era dietro quegli attacchi, la mente che guidava le braccia di quei demoni. Per il bene di tutti.



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