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Di buono c'è che una volta entrato in ballo e abbracciato il suo progetto folle, Garrone ha deciso di conviverci e di andare avanti, di "fare esperienza", rinunciando a molto di ciò che conosceva per confrontarsi con l'oscurità dello sconosciuto.
Star internazionali, green screen, effetti speciali degni dei migliori prodotti americani. Circostanze affatto comode per un regista che le affronta per la prima volta, impossibili da prevedere al dettaglio e materia scottante quando è il turno di andarle prendere per le corna. Portare al cinema tre delle cinquanta storie che compongono l'opera di Giambattista Basile, Lo Cunto De Li Cunti, è stata dunque una sfida sfiancante e tortuosa allo stesso tempo, a cui trovare un centro è diventato un dovere più di sopravvivenza che di logica, considerato che l'idea nativa era quella di arricchire maggiormente il parco delle trame e dei personaggi, espandendo ambizioni e significati.
Diventa invece una sceneggiatura che intreccia tre storie al femminile "Il Racconto Dei Racconti", con protagoniste distanziate l'una dall'altra per via della loro età anagrafica (adolescente, madre e anziana) e un lenzuolo in cui Garrone può tentare di non snaturare sé stesso attraverso l'inversione del suo processo di base che lo vede stavolta partire dalla fiaba per poi accorciare agiatamente le distanze ed avvicinarsi alla realtà. Si destreggia tra egoismi, chirurgie plastiche e madri ossessive e violente, morbosamente aggrappate ai loro figli, inserite in un'ambientazione seicentesca affascinante e visivamente elegante, che se non fosse per i suoi elementi architettonici, magici e colorati, con le sue tematiche potrebbe tranquillamente abitare e confondersi con il mondo che siamo abituati a vedere e a vivere ogni giorno, dose grottesca ed ironica compresa.
Per evitare di perdersi, torna perciò a fare i conti con le origini Garrone, affidandosi alla sua esperienza di pittore per l'estetica e alle ossessioni per i corpi e i desideri che non hanno mai smesso di orbitare attorno alla sua filmografia e vena autoriale. La sua paura di venir schiacciato di fronte a un macigno così imponente e pesante, tuttavia, pur non palesandosi ufficialmente, riesce comunque a minare quanto basta i suoi spazi, non permettendogli di effettuare scelte rischiose e, di conseguenza, di istituire vitalità al suo lavoro. Per quanto leccato e ineccepibile tecnicamente infatti, "Il Racconto Dei Racconti" finisce per mancare sia di epicità - a cominciare dalla scrittura - che di cuore, mantenendo salda una freddezza di pulsazioni e dei distacchi, che gli impediscono di catturare e di legarsi emotivamente allo spettatore, presentissimo nell'assistere allo slegarsi degli eventi, ma mai imprigionato e scosso come era stato abituato a fare in passato di fronte al cinismo di "Gomorra" o alle deviazioni mentali del povero Luciano protagonista di "Reality".
Gli stratosferici scogli da cui Garrone si è sentito travolto durante il suo travagliato progetto, insomma, restano tutt'altro che invisibili a quella che infine è la forma finale della sua impresa, sebbene dalla stessa riesca a risaltare anche la buona volontà e gli infiniti sforzi con cui ha cercato di mettercela tutta pur di portare a casa un film senza dubbio incompiuto, ma totalmente speciale, in cui poter trovare molti difetti come innumerevoli e altrettanti pregi (vedi la realizzazione del drago marino e del pipistrello gigante).
Appurato ciò, il pubblico amante del genere - ipnotizzato da "Il Trono Di Spade" - avrà ottime chance per appassionarsi e per divertirsi, mentre, al contrario, per la fetta che ha imparato a conoscere e ad amare Garrone per il suo sguardo ed il suo stile, sarà impossibile fare a meno di notare alcuni mutamenti e leggere afflizioni.
Ma fortunatamente fa tutto parte del conto da pagare - persino volentieri - quando si decide di osare e di praticare dei salti nel buio. Per cui più che preoccuparsi sarebbe meglio stare tranquilli e rilassarsi.
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