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Il racconto “L’odore del vento che spettina i vigneti” di Alessandra Pepino per WINE ON THE ROAD
Da SilviamaestrelliAlessandra Pepino, di Napoli, è laureata in Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale presso l’Università degli studi di Napoli Suor Orsola Benincasa. Coltiva la passione della scrittura fin da bambina, nella speranza di farne, un giorno non troppo lontano, la sua professione.
Con il racconto “L’odore del vento che spettina i vigneti” ha partecipato al quinto concorso letterario di Villa Petriolo “Wine on the road”.
Racconto “L’odore del vento che spettina i vigneti” di Alessandra Pepino.
Il riflesso del finestrino dell’auto arroventata mi restituisce un’immagine di me che non avrei più creduto pensabile. Certo, la parrucca rimane un accessorio che avrei preferito non dover indossare, ma il viso mi sembra un po’ meno stanco, gli occhi animati da una luce diversa. Forse l’incredibile è davvero diventato possibile: questo viaggio, folle ed imprevisto, sta rigenerando quel che resta del mio corpo, oltre che la mia anima.
Vestito del più smagliante dei suoi sorrisi e con una cartina spiegazzata tra le mani, Walter mi fa cenno di raggiungerlo all’altro capo del sentiero. Mentre percorro i pochi metri che ci dividono tengo lo sguardo fisso su di lui, il mio compagno di viaggio e di vita da sempre, nonostante tutto: mi sembra di scorgere i segni della nostra storia dipanarsi sul suo viso, gli anni del matrimonio, i giorni della separazione, l’amore che ha saputo non perdersi ma trasformarsi.
- Si entra di qua – afferma, felice di sbandierare un senso dell’orientamento che non ha mai avuto – principessa, sono lieto di accompagnarla nell’ultimo podere dell’azienda agricola più incantevole della Toscana.
Dopo aver visitato distese di ettari e meraviglia coltivati ad olivi e Sangiovese, mi riempio gli occhi dell’ultima tappa incastonata in questo percorso dai sapori inconsueti. I colori delle colline senesi, l’odore del vento che spettina i vigneti e lambisce gli olivi si agitano ancora dentro la mia testa, in una girandola di sensazioni sorprendenti.
Il mio ex marito mi tende una mano in un gesto cavalleresco che sconfina nel comico, io però sto al gioco e mi lascio condurre verso l’ultimo posto al mondo che mai avrei creduto di voler visitare: le cantine del podere.
Quando, qualche settimana fa, ho detto a Walter che avrei desiderato fare un viaggio il Val d’Orcia, eravamo a pranzo a casa sua; per poco non gli è andato il minestrone di traverso quando ho aggiunto che mi sarebbe piaciuto intraprendere un percorso enogastronomico. Ma se sei astemia! Che ci andiamo a fare in giro per cantine se non sai neanche che sapore ha il vino? Ricordo di aver sorriso, non tanto di fronte alla sorpresa sul suo viso, che avevo preventivato, quanto al sentire quel plurale usato spontaneamente, che implicava che anche quel pezzetto di tragitto lo avremmo percorso insieme.
Il proprietario dell’azienda si chiama Cesare, è un uomo gentile con una zazzera di capelli bianchissimi e una parlata deliziosamente toscana. Dopo averci dato il benvenuto, ci invita a scendere con lui nel suo regno buio e sotterraneo dove ad attenderci non troviamo fantasmi, ma botti di rovere e tini di legno dai fianchi larghi. All’improvviso mi sento un po’ stanca, ma mi basta chiudere gli occhi e respirare quest’aria fresca e silenziosa per immaginare di assistere alla fermentazione delle uve, al loro affinamento. In un attimo mi sento già meglio: un senso di pace si fa strada tra i miei pensieri che ogni tanto, senza che io possa far niente per evitarlo, diventano bui.
Quando riemergiamo in superficie, il sole settembrino ci avvolge tiepido. L’agriturismo è piccolo ma curato in ogni dettaglio. Gli olivi disegnano ombre bonarie sui tavolacci di legno, pronti ad ospitare banchetti e degustazioni. Ci lasciamo condurre da Cesare verso un tavolo imbandito da taglieri di prelibatezze tipiche toscane; prendiamo posto l’uno davanti all’altro, senza bisogno di parlare sappiamo già quello che ci sta passando per la mente. Prendo la mano di Walter e la stringo forte, come se volessi trasmettergli un po’ di me con la sola forza del pensiero: non voglio che la malinconia sciupi questo momento che profuma di felicità.
Lasciamo che il Brunello ci venga servito in due calici in cristallo dalla forma panciuta, lo osserviamo decantare per qualche istante, inebriandoci del suo odore intenso. Quando avviciniamo i bicchieri per il cin cin ci guardiamo negli occhi, godendo appieno di questo cenno inconsueto per la nostra gestualità.
- Se qualcuno mi avesse detto che un giorno avremmo finalmente bevuto insieme un bicchiere di buon vino, lo avrei preso per un mitomane – mi dice Walter con la sua voce da attore hollywoodiano.
- Sono tante le cose incredibili che hanno affastellato la nostra vita – ribatto, addentando un pezzo di pecorino stagionato – questa non è che l’ultima delle sorprese.
Prendo un piccolo sorso di Brunello, ancora intimidita dall’inesperienza. Sebbene sia ormai da due giorni che ho cominciato a prendere confidenza, il sapore del vino mi lascia in bocca un senso di meraviglia ed estraneità. Non sono capace di distinguere i sentori di frutta matura, il retrogusto appena accennato di vaniglia di cui ci ha parlato Cesare e non so nemmeno cosa diavolo si intenda per sapore tannico. Però so come mi sento in questo momento che sto assaporando un piacere che da sempre mi sono preclusa; finalmente capisco il perché, tanto tempo fa, questo liquido scuro fosse considerato il nettare degli dei e benedico con tutta me stessa il potere di questa esperienza deliziosa che sa darmi la percezione di poter lavare via, anche se solo per poco, tutte le mie paure e la bruttura del linfoma che mi sta rosicchiando il corpo e la vita.
Prima di partire per questa avventura avevo deciso di sospendere la chemioterapia. A Walter non l’ho detto, non volevo turbare l’atmosfera di fermento che il viaggio aveva creato tra di noi. Sapevo che avrebbe cercato in tutti i modi di farmi cambiare idea; io invece desideravo soltanto riposarmi, rifiatare. E’raro che il mio corpo mi conceda una tregua così lunga dai dolori: ho come l’impressione che ogni mia cellula stia gridandomi che non è tutto perduto, che se è possibile trascorrere ancora giornate come questa, forse vale la pena rischiare e giocare un’ultima mano di dadi con il destino.
- Come ti senti, tesoro? – la voce di Walter mi riscuote dai miei pensieri, suffragando di realtà una dimensione che, nella mia mente, non fa che ammiccare al sogno.
Poso i miei occhi nei suoi, serena come mai avrei creduto di poter più essere.
- Sto bene – sento le parole uscire dalla mia bocca senza controllo – sto così bene che vorrei poter fermare tutto, dimenticarmi del tempo che ci incalza.
- Abbiamo tutto il tempo che vogliamo, Elsa. Dalla nostra c’è il sole, il cibo, il silenzio e il buon vino. Nessuno potrebbe essere più fortunato di noi.
Walter mi sorride con gli occhi, prima ancora che con le labbra ed io mi sento d’improvviso una ragazzina. Passo al setaccio quel sorriso bellissimo per rinvenire le ragioni di un amore che, nel bene e nel male, mi ha cambiato la vita. Eppure non ci sono risposte ad attendermi al varco e nemmeno l’eco dei dolori passati. Di quel tempo rimane soltanto un residuo di cognizione e tenerezza che mi rende piena.
- Mi spieghi per quale dannata ragione ti sei sempre rifiutata di assaggiare il vino per più di trent’anni? – mi chiede, ad un tratto, a bruciapelo.
- Paura – rispondo sincera.
- Paura di cosa? – mi domanda Walter, sorpreso.
- Non so – mi stringo nelle spalle - Forse paura di provare qualcosa che potesse procurarmi dipendenza, di venire meno a quelli che consideravo dei principi. Paura di dartela vinta e dovere ammettere che, come al solito, avevi ragione tu. Paura di lasciarmi andare e permettere alle emozioni di prendere il controllo su di me. Mi sono preclusa tante cose per troppo tempo. Forse adesso sono vecchia e malandata per recuperare, ma credo di avere almeno il dovere di provarci, non credi?
Alzo il bicchiere alla nostra salute, ci perdiamo in un brindisi che ci inebria di commozione e consapevolezza. Walter mi tiene la mano e chiude gli occhi, come in attesa. Mentre uno stormo di rondini ci accerchia festante, volgo uno sguardo verso il cielo sgombro che ci protegge dal buio e, senza dir niente, mi riempio della sua grandezza. Un solo pensiero si aggira furtivo sul fondo della mia mente, infine si ferma, s’impone. Non voglio più avere paura.
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