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Il racconto su Drakula voevoda – L’inizio storico del Dracula

Da Loredana Gasparri
Il racconto su Drakula voevoda – L’inizio storico del Dracula Ogni tanto, mi sorge l’impulso di virare decisamente verso la direzione opposta a quella che sto percorrendo. Dracula non ha molta attinenza con Lady Susan e la questione femminile, o con Frodo che sta per capire in quale ginepraio si sta tuffando con quel bell’anello d’oro lasciatogli dal caro zio Bilbo. Ieri pomeriggio stavo guardando la mia vecchia libreria in casa dei miei genitori, che raccoglie la mia collezione libresca giovanile, riscoprendo vere e proprie perline. Una di queste è Il racconto su Drakula voevoda, di cui mi ero completamente dimenticata. E’ un gioiellino non solo per il contenuto, ma anche per l’aspetto. E’ uno dei libri di formato piccolino editi da Sellerio, con quella copertina di carta pesante ripiegata, di un informe colore grigio o blu, molto essenziale, su cui spicca, incollata, un’immagine solitamente di un quadro o di una stampa poco conosciuti, dei secoli passati. E’ uno di quei libri che a me piace immensamente tenere tra le mani come se fosse uno scrigno, e accarezzare come se fosse la lampada di Aladino custode del potentissimo genio. E’ un libro antico d’aspetto, per quanto non lo sembri affatto: stampato nel 1995, con un prezzo ancora in lire. Sulla copertina spicca un’immagine a tinte scure di un olio risalente al primo quarto del XVIII secolo, conservato al Museo Russo di Stato di San Pietroburgo. E’ un gentiluomo dal viso serio, con tratti marcati, e occhi profondi dall’espressione ferma e rapace. Le mani sono grandi, forti e suggeriscono una presa spietata, nient’affatto gentile. Un bel ritratto di Dracula, quello storico. Se non fosse per la foggia dell’abito che indossa, che a malapena s’indovina sullo sfondo scuro, e che è troppo moderna per l’epoca in cui visse davvero, non si avrebbero dubbi. E’ un piccolo gioiello, questo libro, perché parla di un frammento di storia umana, di un personaggio passato alla storia per la sua estrema crudeltà, raccontato da un monaco sconosciuto, di cui è rimasto solo un nome, Efrosin. Niente grandi scrittori, niente titoli altisonanti, per la maggioranza del catalogo Sellerio: i librettini raccolgono le opere giovanili, un po’ tremebonde, di autori come Lawrence, Hawthorne, Anatole France, o le loro lettere, o quegli scritti “laterali” che rimangono un po’ sullo sfondo della loro produzione letteraria più conosciuta, e che magari sono proprio serviti ad attivare grandi trame, a far nascere personaggi compiuti e complessi, a sostenere convinzioni, opinioni, pensieri.
Chi è il voevoda Drakula? Il libro riproduce la versione più antica (fine XV secolo) pervenutaci di alcuni episodi della vita di Vlad III Dracul, che regnò in Valacchia nel XV secolo. Il voevoda era il capo militare e il signore di una regione o di un distretto nei regni degli slavi. Il monaco russo che firma Efrosin è rimasto sconosciuto, per quante identificazioni siano state tentate. A causa di complesse vicende politiche, il giovanissimo Vlad III cresce come ostaggio alla corte del sultano turco, lontano da suo padre che nel frattempo è stato giustiziato dal suo infido alleato ungherese.  Quando riesce a impadronirsi della sua terra e a occupare il posto che gli spetta in quanto figlio del voevoda precedente, non cessa di entrare in guerra contro i suoi oppositori interni, e a tenere a bada i turchi che desideravano annettersi il suo territorio.  L’atteggiamento bellicoso, oltre all’azzeramento di qualunque sentimento umano di empatia, un gelido pragmatismo da Salomone brutale, e il sadismo con cui trattava gli oppositori politici, i suoi nemici, ma anche ladri, malviventi, e tutti coloro che non lo rispettavano a sufficienza, hanno contribuito a costruire la personalità di creatura crudele, assetata di sangue. Il libro è costruito di poche pagine, in cui emergono violente e gelide le scene di vita “quotidiana” in cui Vlad Dracul interroga e mette alla prova freddamente dignitari stranieri in visita, nobili della sua corte, semplici popolani. Attende le sue risposte senza muoversi, mentre i suoi interlocutori tremano fin nelle viscere. L’atmosfera che percorre quelle brevi scene, slegate l’una dall’altra, è fatta della spasmodica attesa della potenziale vittima di turno, consapevole che una sua parola può procurargli il supplizio preferito del voevoda, che lo fa passare alla storia come l’Impalatore, oppure la vita e la libertà. Per quanto il voevoda eserciti questo diritto assoluto sulle vite altrui, non è il capriccio a guidare i suoi giudizi. Ha emanato leggi, che devono essere rispettate, ha il compito di mantenere l’ordine in un paese che vive attorniato da nemici e che deve poter produrre e macinare la sua vita con una certa sicurezza. Chiarificatore è l’esempio di un pozzo di acqua, che Dracula fa dotare di una grande tazza d’oro, splendente di bellezza. Chiunque voglia abbeverarsi, deve servirsene e, naturalmente, rimetterla al proprio posto: “chi voleva bere l’acqua la beveva con quella tazza, la rimetteva a posto e, fintanto che esisté, nessuno osò prendere quella tazza.” (Il racconto su Drakula voevoda, pag.23, Sellerio editore Palermo) Sembra di vedere il sorriso di commento del compilatore del manoscritto. Forse è meglio pensare due volte prima di procedere a commettere crimini in un paese governato da un sovrano senza pietà o indulgenza alcuna. Un altro episodio rivelatore mette in relazione Dracula e un mercante giunto in città con un carico d’oro, che gli viene rubato durante la notte. Il mercante si reca da Dracula per avere giustizia, e il voevoda gliela promette senza preamboli. Fa cercare il ladro, e fa trovare al mercante un mucchio d’oro, preso dai suoi stessi forzieri, aggiungendovi una moneta. Il mercante, felice e grato, conta l’oro ma si rende conto dell’anomalia, che si affretta a riferire al voevoda. Sorridendo magnanimo, Dracula gli concede la vita, rivelandogli che se si fosse tenuto la moneta, lo avrebbe giustiziato insieme al ladro che, nel frattempo, era stato catturato. Emerge un ritratto di sovrano imparziale al limite della brutalità, gelido e senza sentimenti umani di compassione o di comprensione, pronto a far uccidere per rispettare le regole. Anche quando spiega al malcapitato di turno le ragioni per cui perderà la vita, non si sta giustificando: gli sta chiarendo che la sua colpa è grave, e non può che meritare una punizione grave, dolorosa. I tratti di crudeltà sanguinaria ed estrema freddezza, uniti alle circostanze della morte di Dracula (che abbandona la sua fede per convertirsi al “peccato cattolico”, come viene definito dall’anonimo autore), contribuiscono poi alla nascita della creatura non morta della notte, che non ha più niente di umano, se non l’aspetto, e ha un’anima corrotta e fatta rinascere direttamente dal grembo delle forze del Male. A questo si unisce una tradizione folkloristica che mormora di altre creature non morte che si nutrono del sangue dei viventi, e il terreno di coltura per il Dracula letterario di Stoker è pronto.

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