di David Incamicia |
I ragazzini, se vogliono, sanno essere molto crudeli. Sanno come farla pagare a chi considerano "diverso", rendendo la vita del malcapitato di turno un vero inferno. Anche una semplice giornata scolastica può trasformarsi in supplizio, specialmente nelle scuole del profondo Sud dove a prevalere è la legge del bullo. Giuseppe Martera, giovane tarantino di 13 anni e già con una vita profondamente segnata da una malformazione congenita, ha dovuto a lungo subire un simile destino nella sua classe. La sua colpa, là dove quasi tutti i bambini sognano di fare da grande il boss, è quella di voler diventare invece un giudice.
Le rappresaglie sono state continue ed odiose: "testa storta", "infame", fino a far seguire alle offese ben altra lezione. Una giornata come tante in classe, gli insegnanti in quel momento assenti e i bulli fanno uno scherzo di cui il ragazzino porterà le conseguenze per lungo tempo. Mentre stava per sedersi tolgono la sedia e lo fanno cadere. Solo che nel suo caso quella caduta significa atroce sofferenza fisica, perchè Giuseppe è costretto a convivere col dolore fin dalla nascita, quando subì un intervento chirurgico nel tentativo di correggere un difetto radico-cervicale. Nella sua giovane vita ha già collezionato quattro operazioni, di cui due al cuore. Ma il dolore fisico non ne ha piegato la forza morale, non gli ha rubato il sorriso convinto com'è che la sua disgrazia sia un dono del buon Dio per uno scopo ben preciso.
I suoi occhi brillano di un'intelligenza assai vivace, ma essere intelligenti è a volte una colpa ancor più grande di un "banale" difetto fisico e può rendere amarissimo il quotidiano. «Quando mi hanno fatto cadere - ricorda Giuseppe intervistato da un cronista locale - mi sono sentito male, poi un ragazzo mi ha detto: "Adesso ti mettiamo su You Tube!". Ma perché?, ho chiesto io, perché volete farmi questo?». E allora la sua decisione impegnativa l'ha presa una domenica, chiedendo con la sua vocina piena di speranza al giornalista al telefono: «Mi potete pubblicare una poesia? È sul mio quartiere, un quartiere da cui me ne voglio andare, che voglio lasciare perché non c’è speranza».
Parole pesanti da pronunciare a soli 13 anni, quando forse non si è più bambini ma di certo non si è ancora adulti. Ma come si fa a non comprenderle? A scuola ogni ragione è buona per perseguitarlo. Da quel giorno in cui nella sua classe rivolsero a tutti la fatidica domanda: «Cosa volete diventare da grandi?». Mentre la maggior parte non ha esitato a dire "Vallanzasca", lui ha invece risposto che vorrebbe fare il giudice, per portare giustizia nel suo quartiere. Un sogno diventato motivo di ritorsione, ma mai venuto meno. E anche se continuano a chiamarlo "infame”, e a prenderlo fisicamente di mira in modo vile sapendo che lui non può difendersi, Giuseppe risponde col coraggio dell'anima e affida il suo dolore a dei versi straordinari: «Qui dove chi spara è forte e chi è onesto è stupido, dove gli idoli dei ragazzi sono Riina e Provenzano. Dove i ragazzi sono già adulti a 12 anni».
Ragazzi la cui adolescenza è sistematicamente violata, con spose e mamme bambine e ragazzini reclutati per spaccio e furti. E' necessario imprimere una svolta, provare a cambiare le cose. E proprio la scuola, nei territori di frontiera non soltanto del Sud, sta provando a farsi roccaforte della legalità. Tuttavia non è semplice far germogliare il seme della civiltà nel deserto morale e culturale in cui sono costretti a vivere tante giovani vite, trascorrendo giornate sempre uguali e permettendo alla rabbia e alla frustrazione di prendere il sopravvento. Per questo Giuseppe "vuole andar via", vuole fuggire dove sarà rispettato per ciò che ha dentro e non deriso per come è fuori. Sì, meglio andarsene. Perché, come chiude nella sua poesia: «Un giorno Dio toglierà il supplizio e metterà le aureole».
E quel giorno lui forse sarà pubblico ministero. Futuro collega del Pm di Bari che, colpito dalla triste vicenda di Giuseppe, gli ha scritto una lettera invitandolo a trascorrere nella Procura del capoluogo pugliese una giornata particolare, bissando un'analoga esperienza vissuta appena un mese fa assieme ai Finanzieri del Comando provinciale di Taranto e che non potrà mai dimenticare. Il giudice di oggi e quello di domani hanno concluso il proprio incontro da protagonisti, ospiti di un convegno organizzato dal Centro di documentazione per la legalità dedicato alla memoria di Antonino Caponnetto e svoltosi proprio dentro una scuola, per affermare una volta di più che contro l'illegalità e il malaffare, contro i soprusi e la barbarie il silenzio non serve, e per stimolare tutti i cittadini a opporsi alle mafie.
Giuseppe era lì, "grande" fra i grandi, e ha ascoltato con interesse i vari interventi incentrati sulla necessità di diffusione dell'antimafia sociale rispondendo con sicurezza alle domande dei ragazzi che affollavano l'auditorium. «Perché vuoi fare il pm da grande?», gli hanno chiesto all'unisono. E lui, senza batter ciglio, ha risposto che il sogno nasce dal desiderio forse ingenuo di portare un giorno giustizia alla sua gente, e dalle immagini di un blitz contro Cosa Nostra viste in Tv qualche anno prima che lo hanno colpito ed entusiasmato. «Allora i cattivi non la fanno sempre franca», ha riflettuto in quella occasione nella sua mente curiosa di bambino. I genitori, una casalinga e un pescatore, portano dentro la stessa ingenuità del loro ragazzo, del quale sono evidentemente orgogliosi.
La visita di Giuseppe alle Fiamme Gialle di Taranto
L'antimafia sociale è un concetto bello e affascinante, ma che abbisogna di esempi autentici e spontanei come quello di Giuseppe per potersi affermare nella collettività. E dove si possono incontrare sentimenti autentici e spontanei se non appunto fra i giovanissimi? Per questo, anche di recente, si è tornato a parlare della proposta di inserire l'antimafia fra le materie di insegnamento delle scuole di secondo grado. Già del 2007 fu elaborato un testo di legge su iniziativa di Tania Passa, allora responsabile del Dipartimento informazione ed editoria della Direzione nazionale dei Democratici di Sinistra, e del componente della Commissione parlamentare antimafia On. Beppe Lumia (leggi il testo del ddl).
Nel 1992 Falcone fu ucciso e con lui fu duramente colpita la nostra speranza e il nostro sogno di ribellione contro la mafia . Due mesi dopo, come in una cronaca di una morte annunciata, venne assassinato Paolo Borsellino. La paura fu più forte del dolore e tutto tacque per molti anni. "La mia generazione e le altre - spiega Tania Passa - percepirono uno Stato debole che non seppe proteggere chi ne proteggeva i principi costituzionali". Ma l'uomo rimane sempre un soggetto pensante, capace di formulare un giudizio e di distinguere - secondo l'insegnamento kantiano - il bene dal male. Chi sceglie il male, pertanto, lo fa innanzitutto per uno stato di necessità e debolezza che può nascere dalla paura o dalla solitudine, e proprio lì dove vivono questi sentimenti cresce il terreno fertile di cui si alimenta la mafia. Da qui l'esigenza di estirpare l'"erba cattiva" che prospera nella società, iniziando a iniettare gli anticorpi della consapevolezza e dell'impegno civile fin dalla più tenera età. Nelle scuole, appunto.
Se vivi in Sicilia, in Calabria o in Campania le libertà e i diritti sanciti nella costituzione non sono garantiti. E mentre la politica si accapiglia fingendo di non comprendere il fenomeno - o fingendo di contrastarlo - la criminalità organizzata è sempre più prospera e al passo coi tempi, in grado perfino di utilizzare in proprio favore i veicoli comunicativi peculiari della nuova società della comunicazione. Sono molto le risposte, anche sul piano della comunicazione stessa, che possiamo dare. Se si digita su un motore di ricerca "Paolo Borsellino", la prima cosa che esce è il video di un discorso che lui fece a Palermo dopo la morte di Giovanni Falcone. In quel discorso Borsellino sostenne che l'antimafia non può essere soltanto affidata alla repressione dei giudici e delle forze dell'ordine ma deve essere un "movimento culturale" affidato a tutto il Paese.
Un'idea forte e quanto mai attuale, raccolta come testamento morale dai promotori della legge di iniziativa popolare per istituire l'insegnamento dell'antimafia nelle scuole secondarie e ripresa nel sito http://scuolantimafia.ilcannocchiale.it/, i cui autori si rivolgono alle istituzioni e ai cittadini affinchè contribuiscano a realizzare concretamente la funzione costituzionalmente assegnata all'educazione scolastica, che non è mero travaso di nozioni ma passaggio cosciente di un testimone: quello della memoria delle tante storie di legalità che hanno reso grande, nonostante tutto, il nostro Paese. Iniziativa "popolare", inoltre, perchè deve essere l'intera società nazionale a definire la portata etica del provvedimento da affidare al Parlamento. E perchè se si guarda al Parlamento attuale, non si può che concludere che solo un impegno diretto dei cittadini è in grado di progettare un futuro degno per i propri figli. Figli come il piccolo Giuseppe, che rappresentano la vera e forse unica speranza di redenzione che ancora abbiamo.
Chi condivide l'esigenza di introdurre l'insegnamento dell'antimafia nelle scuole può firmare l'appello su http://www.firmiamo.it/scuolantimafia.