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Il ragazzo Cianca che non fece il saluto al duce

Da Brunougolini
E’ il suo primo atto di ribellione. La scolaresca in piedi si esibisce nel cosiddetto “saluto al duce”. Lui si rifiuta. Sto parlando di Claudio Cianca per molti anni dirigente della Cgil. Racconta di sé in un libro “Il mio viaggio fortunoso”, a cura di Giuseppe Sircana (Ediesse) e in un Dvd. E’ un personaggio cresciuto alla scuola dell’antifascismo, accanto al padre e allo zio, Alberto Cianca, tra i promotori del partito d’Azione. Così Claudio, appena ventenne, il 25 giugno del 1933, fa esplodere una bomba, un ordigno inoffensivo nel pronao della basilica di San Pietro. Un’impresa che non provoca vittime, fatta per richiamare l’attenzione sul regime oppressivo. E che gli costa una condanna a 17 anni. Può però tornare libero il 9 settembre del 1943, per partecipare alla resistenza. Mentre a guerra finita comincia la sua lunga esperienza sindacale, soprattutto nel campo dell’edilizia.
Quel che colpisce leggendolo e ascoltandolo, oggi quasi centenario, è la serena capacità di ragionare e riflettere senza alcun spazio alla retorica. Come se fosse una vita qualunque, una vita normale. Un racconto che spiega bene quali forze, quali energie quali valori abbiano contribuito a formare il principale sindacato italiano. E come certi fenomeni che oggi il sindacato affronta, in dimensioni ben diverse, siano stati presenti anche nel passato.
E’ il caso dei lavori saltuari, atipici. Siamo nel dopoguerra e Claudio Cianca, amato leader degli edili romani, prima di diventare segretario generale della categoria, descrive un mondo del lavoro che, tra le macerie, cerca di venire alla luce. Sono così organizzati i cosiddetti “cantieri a regia”. Qui si abbattono colline, si aprono nuove strade. A lavorare sono anche studenti, ex impiegati, ex negozianti, assunti a giornata dalle imprese che poi ricevono un compenso dal genio civile. Lavori che possono durare un mese, due mesi. Una precarietà al servizio della ricostruzione.
Un'altra esperienza significativa è quella degli scioperi alla rovescio con i disoccupati che con badili, zappe e picconi vanno a sistemare le strade della borgate, E dopo il lavoro manifestano per chiedere al Comune il pagamento dei salari. Di questo e di altro si occupava un sindacato che cercava già allora di collegare le concrete questioni materiali all’interesse generale.
E anche in quell’epoca c’erano acutissime le polemiche tra le organizzazioni. Cianca rammenta la scissione del 1948 con un primo maggio in Piazza del Popolo, con lui che dileggia ironicamente i “crumiri” della Cisl riuniti in un teatro, l’Adriano. Subito dopo prende la parola Giuseppe Di Vittorio che invece saluta quel pezzo di popolo della Cisl: “dobbiamo augurarci che presto ci sia una riunificazione sindacale”. Una lezione che Claudio fa propria e trasmette a tutti noi in tempi difficili eppure non paragonabili al 1948.

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