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il ragazzo con la bicicletta

Creato il 06 giugno 2011 da Albertogallo

LE GAMIN AU VÉLO (Belgio/Francia/Italia 2011)

locandina il ragazzo con la bicicletta

Se c’è un regista che negli ultimi vent’anni ha saputo fare propria, in grande stile, una tragica poetica di realismo decadente contemporaneo, poetica fatta di povertà, disagio sociale, solitudine e ansie, spesso tradite, di riscatto, ecco, questo regista non è un regista ma sono due, e rispondono al nome di Jean-Pierre e Luc Dardenne. Vengono dal Belgio questi fratelli cineasti che forse più di ogni altro, insieme al pur diversissimo Lars von Trier, incarnano, oggi, la figura dell’Autore europeo. E a ben vedere c’è un altro punto in comune tra i Dardenne e il discusso (cfr. esternazioni nazistofile all’ultimo Festival di Cannes) regista danese: la spiccata tendenza a maltrattare i personaggi dei propri film fino a limiti quasi insopportabili. Tendenza che si ritrova in tutta la sua compassata drammaticità anche in quest’ultima opera dei fratelli belgi, Il ragazzo con la bicicletta.

Come di consueto la vicenda è molto semplice, quasi un pretesto per illustrare incolmabili abissi di infelicità umana: un ragazzo orfano di madre, Cyril, viene abbandonato dal padre in un istituto per bambini poveri. Lì Cyril è infelice, e passa le giornate tentando di scappare per raggiungere il padre, il quale però cerca in ogni modo di far perdere le proprie tracce. Un giorno, durante l’ennesima fuga, il ragazzo conosce Samantha, parrucchiera dal cuore d’oro che accetta di prendersi cura di lui durante i weekend. Inizia per Cyril una nuova vita, in cui il vuoto creato della figura paterna sempre più distante viene colmato dalla presenza di Samantha e da quella, decisamente più nefasta, del giovane spacciatore Wes.

C’è un qualcosa di truffautiano nel modo in cui i fratelli Dardenne descrivono la vita di questo bambino triste (cfr. I quattrocento colpi, Gli anni in tasca), ma il punto di partenza della pellicola, ovvero l’oggetto bicicletta come metafora di una felicità perduta e forse non più raggiungibile, sembra trascinato di peso dal grande classico del neorealismo italiano Ladri di biciclette: la scena (un piano sequenza quasi inavvertibile) in cui Cyril entra in casa di Samantha a posare la spesa e, una volta tornato in strada, non trova più la sua bici non può che ricordare la scena analoga in cui Antonio, protagonista del film di De Sica, si vede rubare la sua durante il primo giorno di lavoro. E anche la reazione emotiva del ragazzo, che cede per disperazione alle lusinghe dell’illegalità, ricorda quella dell’attacchino romano, che rimasto per l’ennesima volta senza lavoro tenta a sua volta di rubare una bicicletta. Per il resto i due film sono ovviamente molto diversi, e Il ragazzo con la bicicletta si fa apprezzare soprattutto per l’ottima interpretazione dei protagonisti (il giovanissimo Thomas Doret è strepitoso, mentre Cécile De France, già in Hereafter di Clint Eastwood e belga pure lei, si conferma interprete di alto livello) e per l’equilibrio perfetto con cui si alternano desolazione e speranza. Come nel finale, metafora toccante di morte e resurrezione.

Alberto Gallo



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