12 maggio 2014 di Dino Licci
Alcune religioni orientali dimostrano un tale rispetto per gli animali che i suoi adepti sono forniti di fazzoletti con cui si coprono la bocca ad impedire l’involontaria ingestione di qualche piccolo essere. Così il GIAINISMO che conta alcuni milioni di fedeli i quali vedono in Mahavira (il grande eroe), il loro fondatore, mentre disconoscono i Veda ed il Brahmanesimo. La loro dottrina si basa essenzialmente sul rispetto totale per qualsiasi essere vivente, persino del più piccolo insetto. Sono perciò vegetariani e filtrano persino l’acqua per non rischiare di ammazzare microrganismi in essa presenti. L’idea che gli animali siano anch’essi soggetti di diritti, sembra non aver neppure sfiorato la mente degli occidentali, della loro filosofia e delle loro religioni. Eppure noi abbiamo un cervello che, sino all’ipotalamo, è abbastanza simile a quello degli altri mammiferi, tanto è vero che si chiama mammaliano. Insomma gli animali superiori mancano della corteccia, cioè della capacità d’astrazione e dell’uso della parola e del pollice opponibile ma, per il resto, sono abbastanza simili a noi. Significa che condividono con noi i sentimenti come l’amore, l’odio, la gelosia, il piacere,la paura. Ma anche gli animali cosiddetti inferiori soffrono e temono la morte. Anzi un grande filosofo come Nietzsche considera la vita come una lotta per l’esistenza che riguarda tutti gli esseri viventi interpretando in modo globale la teoria ormai accettata da tutti i biologi del mondo di Charles Darwin. Dalle amebe ai lombrichi, dai pesci agli anfibi, dagli uccelli ai mammiferi, c’è nell’Universo intero, un ordine straordinario che predilige non il più forte ma il più adattabile all’ambiente in cui vive. Avrebbero dovuto spiegarlo a ler, Montaigne, Hitler che interpretò a suo modo la teoria nietzschiana del superuomo!
Ancora oggi le sofferenze che vengono inflitte agli animali dagli esseri umani, sembrano cosa ovvia e perfettamente naturale, e trovano consenzienti anche molti filosofi quali, con l’eccezione, forse, di Montaigne, esclusero gli animali e i loro diritti dalla sfera dell’etica.
Io non sono contrario alla vivisezione per scopi scientifici quando la si attui correttamente e cioè anestetizzando totalmente l’animale, ma solo oggi sembriamo accorgerci dei diritti dei nostri fratelli “minori” Un esempio d’insensibilità nei loro confronti lo trovo sfogliando internet e incappando nella “favola dei suoni” di Galilei che, ne “Il Saggiatore”,descrive la vivisezione di una cicala compiuta certo a scopo scientifico, ma senza che le sofferenze inflitte all’animale vengano prese minimamente in considerazione .
Ed anche in tempi recentissimi sia la religione che la Scienza sembrano infischiarsene dei dolori perfino dei loro simili se è vero, com’è vero, che lo psichiatra Cerletti, nella prima metà del Novecento, sperimentò la pratica dell’elettroshock dapprima sugli animali condotti al macello, poi sui detenuti delle patrie galere.
Tornando agli animali, ci accorgiamo che la filosofia moderna, pur ignorando, nella maggior parte dei casi, un’esclusione di essi dalla sfera dell’etica, pure pone le basi, con Leibniz per esempio, per un rispetto totale verso tutti gli esseri viventi.
Egli, nel secolo diciassettesimo contrastava in pieno con le teorie di Cartesio e Spinoza che ritenevano gli animali privi di anima con tutte le limitazioni che io personalmente assegno alla parola “anima”. Ma, al tempo, era una discriminante essenziale.
In verità Montaigne aveva osteggiato esaurientemente e caparbiamente il maltrattamento degli animali ma Cartesio, che pure conosceva le obiezioni di Montaigne, liquidò superficialmente la questione. Molto più attento ai problemi etici, Spinoza ne trattò più diffusamente ma
“rinvenendo dei ragni, amava farli combattere tra loro, oppure, rinvenendo delle mosche, le gettava nella ragnatela e osservava la battaglia con immenso piacere, a volte ridendo».
Egli considerava un male la compassione in quanto essa è un sentimento non idoneo a guidare le azioni umane, mentre solo la ragione può essere deputata a tale scopo; in secondo luogo la compassione comporta dolore, mentre è compito di ciascuno di noi ricercare il proprio piacere. Insomma come le nozioni razionalistiche di Cartesio (il suo “cogito ergo sum”) sono la consapevolezza di identità personale, così la valutazione dell’empatia, e più in generale del sentimento, è, per Spinoza, prerogativa unica degli umani. La posizione di Leibniz era invece diversa. Egli criticava la dicotomia espressa nelle dottrine di Cartesio e Spinoza, tra mente e materia, tra “res cogitans e res extensa” tra razionalismo ed empirismo. Egli sottolineava invece la continuità tra l’intelletto e l’esperienza empirica dei nostri sensi, tra la vita cosciente e quella inconscia, individuando negli animali una forma di vita diversa solo nel grado da quella dell’uomo. E tenne sempre fede ai propri principi:
“ Leibniz non uccideva le mosche, per quanto moleste potessero essergli, perché gli sembrava un delitto distruggere un meccanismo tanto ingegnoso».
Come riferisce Kant, che con la “critica della ragion pura”, avrebbe sanato le tesi discordanti dei razionalisti e degli empiristi,
“Leibniz, servendosi di un foglio, riportava sull’albero un piccolo verme, su cui aveva compiuto le sue osservazioni, affinché per sua colpa non gliene venisse alcun danno. Distruggere questa piccola creatura senza ragione, non avrebbe potuto non turbare un uomo”.
Oggi la moderna etologia classifica in modo chiaro la differenza tra animali generalisti, dotati cioè di una mente pensante (gatto, cane, polpo) e animali specializzati a reagire a uno stimolo sempre nello stesso modo (la cozza che chiude le valve senza dover ragionare). Ma, al di fuori di ogni considerazione anatomica, il rispetto verso ogni forma di vita dovrebbe essere presente in ognuno di noi, tale è la perfezione che esiste in ogni essere , animale o pianta, che popoli il nostro bel pianeta.
A coronamento di questo mio breve scritto buttato giù in fretta, voglio riproporvi una mia vecchia poesia che immagina un ragno pensante,un progetto gettato proprio come l’uomo, nell’immensità dell’Universo:
IL RAGNO
T’aspetto, dolce aurora, alla finestra,
scruto tra i rami un segno, quel bagliore
che mi ridesti dalla notte mesta,
che fughi la tristezza dal mio cuore.
Finora m’ha tenuto compagnia
un ragno ballerino che tesseva
lesto leggiera tela e levitava
e al suono dei miei ansiti danzava.
Un soffio un po’ più forte, un movimento
e lui si ferma immobile a scrutare.
Sembra si chieda che cos’abbia in testa,
dove lo porti questo lento andare.
Che vuoi pensare ragno ballerino
con quel cervello tanto limitato?
Lo stesso errore l’ho già fatto io,
Sommerso come te nel gran Creato.
Torna a danzare sulla lieve tela
ch’è trappola di mosche e di zanzare
ma che l’incanto della notte mesta
ha trasformato in pista per ballare!