Magazine Cucina

Il rapporto ambiguo tra luoghi e gusto.

Da Aldo @AldoLissi
Come tutti sanno, uno degli effetti più evidenti dell'industrializzazione e del conseguente sviluppo economico è stata l'omologazione dei gusti. Sono tanti i fattori che hanno concorso e concorrono ancora oggi nel consentire questo generale appiattimento a livello alimentare. Indubbiamente tra le principali conseguenze di tutto ciò vi è la standardizzazione dell'offerta dei prodotti, degli alimenti e, in un certo senso, della percezione gustativa. A seguito dell'ingente sviluppo industriale, anche nel settore food è venuta meno una variabile importante: la geografia. Nel fiume dei prodotti alimentari di matrice industriale infatti, origine, provenienza e rapporto con il territorio sono andate perdute, in favore del dominio di standard di sapori, colori e "profumi" precisi, che non lasciano spazio alle variabili naturali (e per naturale intendo anche quelle legate alla trasformazione umana di matrice artigianale).
Come conseguenza a questo imperante sistema sono nate in forme diverse ideologie che sostengono la necessità di tornare al passato, alle epoche precedenti la Rivoluzione Industriale, in cui il rapporto tra cibo, uomo e geografia era più saldo e vivo. Siamo sicuri che ciò sia vero? E' possibile che sia frutto di un "fraintendimento culturale" attualmente troppo radicato e che va (necessariamente) chiarito?
Le ideologie sopra esposte nacquero e si diffusero all'incirca due secoli fa, proprio in concomitanza con la nascita e sviluppo del fenomeno industriale perché concepiti come elementi estremamente positivi, capaci di affermare in modo forte ed inequivocabile il ruolo identitario che il cibo è capace di assumere. Il caso della pubblicazione nel 1891 e del successo dell'opera "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" di Pellegrino Artusi è un esempio significativo di quanto appena affermato (occorre però precisare che non tutte le ricette presenti nell'opera avevano una reale matrice territoriale, molte erano state reinterpretate o pesantemente modificate dall'autore).

Il rapporto ambiguo tra luoghi e gusto.

(Illustrazione tratta dall'opera dell'Artusi)


E' in questo contesto che, come ho affermato in precedenza, si inserisce troppo spesso il fraintendimento culturale di cui siamo vittime e che vuole come consolidati nella storia e nella società gli aspetti locali legati alla cucina.
Nella cucina precedente all'industrializzazione e, in particolare, in quella medievale e rinascimentale, il concetto di territorialità era una definizione che mal si associava ai ceti elevati. Cercare e utilizzare cibi e prodotti provenienti da lontano o comunque da altri territori era un forte elemento di distinzione sociale che i ceti bassi non potevano di certo permettersi (ma non vuol dire che desiderassero, anzi, le fonti affermano il contrario!).  Vari erano i fattori che entravano in gioco nel determinare queste differenze: in primo luogo le influenze delle culture antiche, specialmente quella romana, diversi sono gli autori di matrice gastronomica che descrivono non solo i prodotti del territorio, ma anche e soprattutto quelli provenienti da molto lontano; non bisogna mai dimenticare inoltre l'enorme importanza sociale attribuita al cibo, arma per esibire ricchezza, disponibilità economiche, sfarzo e buon gusto (potersi permettere prodotti fuori stagione o molto lontani geograficamente, che quindi comportavano alti costi di approvvigionamento e trasporto, era indubbiamente un fattore importante); infine la presenza di altre culture attraverso dominazioni, guerre e invasioni, e delle loro inevitabili influenze culinarie e di gusti alimentari.
In questo panorama fortemente poliedrico sono numerose le specificità e le differenziazioni che andrebbero analizzate. In sostanza, nel pensiero alimentare antico, medievale e rinascimentale, vi era il desiderio di unire concettualmente e idealmente in un unico banchetto, specialità geograficamente diverse, stabilendo così un'unione culturale e ideale.
Bisogna però fare un'opportuna precisazione: quello che spesso può confondere è la presenza nei ricettari del periodo appena citato, di diciture apparentemente regionali e territoriali. Il ricettario di Maestro Martino, cuoco e gastronomo italiano del XV secolo ne è un esempio, qui vi troviamo "torta bolognese", "cavoli alla romanesca", ed altre interessanti preparazioni. In questi casi l'intento non era quello di documentare e differenziare le varie tipicità, bensì di unirle concettualmente annullando le differenziazioni culturali e territoriali.
Nonostante quanto affermato sopra, il primo tentativo di raccogliere preparazioni e tradizioni regionali italiane non è dovuto all'Artusi ma a Francesco Leonardi (1790) attraverso il suo "Apicio moderno" (sebbene, di fatto, non sia una vera raccolta di tradizioni regionali).
Il rapporto ambiguo tra luoghi e gusto.

Le argomentazioni che ho voluto brevemente trattare in questo articolo hanno due implicazioni importanti: la prima, che ho già accennato, riguarda il fraintendimento culturale di cui spesso oggi siamo vittime/artefici, legato ad una non corretta conoscenza del passato; il secondo invece è associato alla costante mutazione nel corso della storia dei modelli culturali, sociali e quindi alimentari, che hanno condizionato, quasi inevitabilmente, la società e che, in misura e con finalità diverse, la influenzano tutt'oggi, determinando (soprattutto per motivi economici) gusti e scelte. Un'interdipendenza tra i due insomma, che si manifesta anche oggi e guida, consciamente o no, le nostre scelte quotidiane legate al cibo.

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog