Ma un qualsiasi studio in cui la stampa in Turchia viene presentata come meno libera che in Iraq e in Russia, che credibilità può mai avere? E invece, i miei colleghi – soprattutto quelli a cui l’attuale governo non piace a prescindere, perché “islamico” – hanno preso il rapporto 2013 di Reporters sans frontières in modo assolutamente acritico: la Turchia è in 154esima posizione su 179, a loro basta questo. Eppure, basterebbe leggere la paginetta che alla Turchia è dedicata per farsi venire qualche dubbio: perché si sostiene che ha un “paysage médiatique pluraliste et vivace”! Ora, a rigor di logica: ma un paese che dispone di un sistema mediatico “pluralista e vivace”, come fa a essere uno dei peggiori paesi al mondo – mondo in cui abbondano dittature feroci e stati autoritari – in termini di libertà di stampa? Basta per leggere l’allegato sulla metodologia per accorgersene: tutto si basa su questionari spediti principalmente ad attivisti e corrispondenti in loco, tra i parametri in base ai quali si stila la classifica sono preponderanti omicidi e arresti di giornalisti (al di là dei motivi, al di là della loro colpevolezza).
Per fare chiarezza: Rsf non è un centro di ricerche ma un’associazione dalla evidente impostazione politica (di sinistra), basa la sua classifica su quanto riportano attivisti e corrispondenti (solo in parte si affidano a studiosi indipendenti) il cui orientamento sempre politico può fare la differenza, adottano una metodologia che a me sembra alquanto rozza – e la contraddizione nei risultati ne è la più evidente prova! Ovviamente, non penso che la Turchia debba stare nella top ten: assolutamente no, i problemi sono gravi e numerosi; ma da qui a relegarla nelle ultime posizioni mondiali ce ne corre!
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