La scultura realizzata negli eccessi della realtà. La Fondazione Cartier di Parigi espone fino al 29 settembre l’opera di Ron Mueck.
Mask
L’arte dell’ignoto, l’arte dell’evidente e Ron Mueck, di origini australiane, conosciuto per l’iperrealismo delle sue opere e ancor più per la timidezza quasi irreale, torna al centro dell’attenzione. Acclamato e contestato in tutto il mondo per una scultura che nasce da singolari cambiamenti di scala, dove nulla viene rappresentato nelle dimensioni del reale.
Nei soggetti apparentemente ordinari, nelle riproduzioni in scale ridotte e monumentali, scorrono scene di vita quotidiane insieme con quelle estrapolate dai ricordi, dai sogni, dagli incubi. Tutto evoca un realismo radicale, fotografico, impetuoso e dallo stile aggressivo, negli emisferi di un’arte che turba, inelegante e volitiva, che amplifica ogni emozione.
Oltre alle più recenti opere, è possibile visionare il documentario realizzato dal fotografo Gautier Deblond che, filmando lo scultore all’opera nello studio londinese, svela al pubblico parte del processo creativo di qualcuno che vive e lavora nella riservatezza più celata: è un televisore acceso, la voce guida del video unita al silenzio e al rumore secco e meccanico che accompagna ogni gesto creativo. La lettura dell’opera di Ron Muek gravita intorno a Duane Hanson, l’artista statunitense scomparso nel 1996 che dagli anni sessanta inaugurò il genere; la rilettura in una visione atavica per gli aspetti più remoti e artigianali sino alla pop art, senza sarcasmo e ironia, ma nella realizzazione materiale, affidata a un’équipe di collaboratori.
Woman with Sticks
Dedizione profonda per le emozioni mimiche in un lavoro di cesellatura dai tempi lunghissimi. Sono solo nove le opere esposte per svelare tutto quello che si nasconde in un virtuosismo tecnico esasperato, che predomina, nella cattura di un istante. Resta nascosta nel mistero parte dell’evoluzione del processo creativo che dovrebbe essere seguito con cautela, tenendo presente la mole d’interviste e dichiarazioni mai concesse. La Fondazione Cartier per l’arte contemporanea accoglie per la seconda volta un artigiano fedele alla natura umana con i suoi estratti di vita nati dopo un’osservazione lenta e indiretta.
Coppie di adulti e adolescenti, uomini e donne, fermi nell’importanza di uno sguardo o nella glorificazione di un disagio: una barca ospita una figura maschile, nuda, le braccia incrociate, l’espressione che interroga il nulla; elogio allo squallore umano e all’umana miseria. Un ragazzo che riflette, è ferito al costato, dallo stupore al terrore classico.
Still Life
La schiena e la pelle bianca di una signora dal corpo che abbonda, distorto in uno sforzo; la faccia imperscrutabile e indomita dell’ansia, e un’altra ancora, alienata, sofferta e consapevole, nel cappotto grigio protegge un neonato, le mani stringono due buste rosse gremite di spesa, gli occhi persi nell’indifferenza di un addio sedimentato nel silenzio delle emozioni. Fine del giro e opera di resistenza, panegirico scolpito del regno animale: il cadavere di un pollo gigante, appeso e senza penne. L’arte rappresentata fuori dai vortici delle smanie produttive e ancor più dell’apparenza.
L’iperrealismo che vibra magico e brutale, si potrebbe osare, e nasce l’incantesimo che la realtà rappresentata sia uguale a quella vissuta, tradita da ogni opera e ogni particolare solo nelle dimensioni. L’arte che non è l’immaginario, l’arte attraverso l’ostentazione della verità o forse l’arte come enigma di ogni vita…