Lezioni condivise 60 – Laude e vituperio del Principe.
Quello che meraviglia nel Principe è l’eccesso di cinismo, a volte gratuito, fino a far sospettare che sia solo grottesco sarcasmo; probabilmente non è così e questa è solo una mera speranza, ma certamente lì emerge una figura molto differente da quello che è il Machiavelli delle lettere e della scrittura. Ma se anche fosse mera satira, ciò non ha esonerato, nei cinque secoli che ci separano dal segretario fiorentino, diversi dux ad ispirarsi al suo saggio.
Ci sono esempi svariati, alcuni ridicoli, benché distruttivi, come quello del Berluscon; altri forse ancora più pericolosi come quello dell’attuale premier, che si erge a Caesar e a “ora vi faccio vedere io come si fa”, ma in realtà ha solo fatto peggio di Padoa Schioppa e Tremonti e il fatto che riesca a farlo più signorilmente, gabbando la gente, è solo più inquietante.
Per fortuna in democrazia ci sono i rimedi, anche se spesso non colti, pressoché sconosciuti ai tempi del Nostro. Questi era fissato con gli armamenti, anche se ha certo più attenuanti degli amerikani contemporanei, di un nostalgico La Russa e di coloro che ancora oggi insistono a voler acquistare aerei militari dal nome preoccupante, Lockheed; mica si può fare a meno degli scandali anche se c’è un governo tecnico!
L’arte, ovvero, il mestiere della guerra, per Machiavelli, deve essere l’unico pensiero del Principe, perché coloro che hanno pensato più alle delicatezze che alle armi, hanno perso lo stato. Francesco Sforza divenne duca di Milano con le armi, i figli per sfuggire ad esse tornarono ad essere dei comuni privati.
Ciò naturalmente vale anche in tempo di pace, occorre tenersi pronti, sia con le esercitazioni, che con l’elaborazione di strategie, come faceva Filopemene, principe delli Achei,
che a ciò pensava in ogni situazione.
Il Principe deve conoscere anche la storia, onde poter fuggire gli esempi di disfatta e imitare, invece, gli uomini vittoriosi, in quanto Alessandro Magno imitava Achille; Cesare Alessandro; Scipione Ciro.
Per questo il Principe e il Cortigiano del Castiglione, benché ci si arrampichi sugli specchi per trovare analogie, sono come gli opposti estremismi, ma mentre di solito uno di essi è positivo e l’altro negativo, come buono/cattivo, qui la dicotomia è come quella tra fascisti e monarchici, per intenderci, con in mezzo Guicciardini, per il quale la realtà è compromesso.
Secondo il De Sanctis, il Castiglione cura la forma per esprimere un pensiero sterile, esteriore e poco reale, da mestierante, utilizzando una “forma letteraria” che allontana lo scrittore dall’uomo del suo tempo. Per altri le due opere sono solo due facce della stessa medaglia, il Rinascimento, realismo e idealismo, ma in sostanza anche il realismo è in fin dei conti “idea”.
Per Machiavelli, il Principe deve assolutamente mettere da parte il galateo, non deve essere buono, anzi imparare ad essere cattivo con i sudditi (considerato che lui era in esilio e se ne lamentava pure, secondo il suo cinismo forse, che so, avrebbero dovuto impiccarlo); non erano certo buoni auspici per se stesso visto che dedicava ai Medici, gli stessi con cui era caduto in disgrazia.
Nel cap. XV esamina le ragioni per cui i principi, sono laudati o vituperati. Attacca gli idealisti di forme di stato mai realizzate (Platone, lo stesso Savonarola; non so se conobbe Thomas Moore ed Erasmo, suoi contemporanei), che trascurano quello che si fa per quello che si doverrebbe fare, e vanno verso la ruina, piuttosto che verso il mantenimento dello stato. E’ necessario che si parli del vero, non dell’immaginazione (non sarebbe mai stato un sessantottino! E sappiamo quando dobbiamo al ’68… malgrado le varie cornacchie).
I principi sono notati per le loro qualità, alcuno è tenuto liberale, alcuno misero (usando uno termine toscano, perché avaro in nostra lingua è ancora colui che per rapina desidera di avere, misero chiamiamo noi quello che si astiene troppo di usare il suo); alcuno è tenuto donatore, alcuno rapace; alcuno crudele, alcuno pietoso; l’uno fedifrago, l’altro fedele; l’uno effeminato e pusillanime, l’altro feroce et animoso; l’uno umano, l’altro superbo; l’uno lascivo, l’altro casto; l’uno intero, l’altro astuto; l’uno duro, l’altro facile; l’uno grave l’altro leggieri; l’uno relligioso, l’altro incredulo…
Il principe deve sapersi destreggiare tra queste qualità, tenendo quelle che gli fanno mantenere lo stato e al contempo non si curi di incorrere nella infamia di quelli vizii sanza quali possa difficilmente salvare lo stato, giacché alcune virtù potrebbero rovinarlo e certi vizi salvarlo.
Vade retro!
(Letteratura italiana – 16.5.1996) MP