Il mondo reale ci diceva che la Grecia era matematicamente nell’impossibilità di ripagare il suo debito e dunque non poteva esserci altra soluzione che un condono quasi completo dello stesso o un’uscita dall’euro. Ma entrambi i contendenti hanno fatto finta che così non fosse: l’Europa a direzione bancaria non poteva tollerare di fare sconti che avrebbero indotto anche altri a chiederli e di veder messa in forse la politica di regressione sociale che si accompagna alla moneta unica e che anzi ne costituisce l’unico senso riscontrabile; Tsipras dal canto suo, come tutti i socialdemocratici continentali, pensava che si sarebbe potuto tenere la moneta unica e rifiutare il dogma dell’austerità e, in questa contraddittoria prospettiva non aveva pensato a un piano alternativo: proprio per questo si è sempre trovato in condizione di inferiorità al tavolo delle trattative come un duellante con le pistole caricate a salve. Quasi tutti , me compreso pensavano che l’estate sarebbe passata attraverso schermaglie sempre meno credibili e che alla fine qualcuno dei contendenti avrebbe ceduto la maggior parte della posta, ritenendo che ancora l’Europa non fosse sulle soglie di una “mostruosa follia” come dice Krugman.
Adesso ci troviamo di fronte a un referendum che non solo costituisce l’unica via d’uscita per Tsipras e le sue promesse impossibili nell’ambito delle logiche europee, non solo rappresenta una riscossa della democrazia rispetto all’essenza oligarchica di Bruxelles (vedi qui), ma è anche la prima vera apertura di azione e di verità dall’inizio della crisi. Qualcosa che spazza via l’enorme cumulo di sciocchezze mediatiche che si sono accumulate in questi anni: uno scintillante castello di sabbia costruito per confondere l’orizzonte. Si tratta in ogni caso di una scelta drammatica che ha costretto Atene a chiudere la borsa e a restringere l’attività bancaria al minimo vitale, ma che fa anche esplodere la bolla onirica nella quale siamo vissuti ormai da troppo tempo, qualcosa che mette fine agli altrieuropeismi di fronte alla chiarissima volontà di Bruxelles di proporsi come il cravattaro universale, il rifiuto di ogni solidarietà in nome di una visione sociale allucinante e più banalmente la realtà di una moneta unica che ha enormemente aumentato le distanze fra i Paesi del continente invece di ridurla come vagheggiava la stravagante teoria posta a fondamento di questa costruzione.
Insomma è come un’esplosione di chiarezza che l’informazione mainstream, come sta già facendo tenta di nascondere dietro una supposta essenza di cicala dei greci che non vogliono rinunciare a presunti privilegi. La campagna, naturalmente disseminata da dati completamente falsi (i poveri Alesina e Giavazzi sono già con la calcolatrice in mano per vedere in che modo possono dimostrare che la pensione media greca di 660 euro sia un lusso indegno) sarà segnata dalla produzione industriale di paura. E nel caso di una vittoria del sì, che almeno sottrarrà il Paese fin da subito all’agonia continua, mensile e trimestrale, l’Europa cercherà di preparare uno strangolamento rapido che sia di esempio agli altri. E che soprattutto eviti, una volta finito il caos, di vedere una Grecia in crescita con una propria moneta e libera di usarla. Paradossalmente le cose non cambieranno molto anche nel caso di una vittoria del si perché comunque Atene sarà soffocata, ma la scelta inaspettata del referendum per dare un nome al dramma avrà comunque stabilito il precedente del ricorso a consultazioni popolari i merito ai diktat della troika. Cosa che renderà le cose più difficili per i “governatori” finti premier che impazzano nel sud del continente con i loro parlamenti di nominati.
Certo c’è poi tutta la questione geopolitica da considerare che potrebbe comportare variabili finora inedite, ma senza dubbio nulla potrà essere come prima e si dovrà per forza cambiate capitolo: gli illusi diventeranno complici, i complici si riveleranno capi banda, le teste pensanti degli utili idioti e certi ideologici tipo Kke, dei patetici reperti.