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Il Regalo di nozze – di Sara Ferraglia

Creato il 13 dicembre 2010 da Viadellebelledonne


Il Regalo di nozze – di Sara Ferraglia

“Si sposa la Simona, la figlia della Bice che è andata per serva a Milano ; adesso ha trovato un milanese e si sposa” – disse la Luisa mentre stava impiastricciando i capelli  bianchi di un’anziana cliente con una crema bluastra tendente al viola, al fine di ottenere una “bella tinta naturale”.

La Luisa, parrucchiera del paese, gazzetta ufficiale e memoria storica della comunità, aveva appreso la lieta novella direttamente dalla Bice, sua cugina, che le aveva fatto una “telefonatina” delle sue, dalle nove alle undici di sera per spendere meno.

La signora dai capelli viola era la moglie del casaro, che abitava nella prima casa della piccola località.

“ Ah si? E chi è questo milanese? Che cosa fa di mestiere?”

“ La Bice dice che è un gran bel ragazzo e che ha una buona posizione. E’ fattorino in una banca molto importante.”

La notizia passò di bocca in bocca, di orecchio in orecchio, più velocemente che se l’avessero data in televisione; era come un soffio di venticello primaverile che turbinando per i borghi antichi entrava ed usciva dalle finestre e, insieme alla polvere e al polline, spandeva la lieta novella.

Poco più in là c’era la macelleria, che qualcuno, con una leggera vena ironica, chiamava anche “moscheria”; è facile immaginarne il motivo e capire perché il negozio era frequentato da pochi fedelissimi clienti di larghe vedute. Quando Osvaldo il macellaio era sobrio indossava un grembiulone a righe bianche e rosse e, armato di una palettina di plastica dal colore ormai indefinito, dava inizio ad una lunga e faticosa battaglia con le mosche.

Fu in quell’atteggiamento focoso che lo sorprese la signora dai capelli viola appena uscita dal negozio della parrucchiera.

“Osvaldo hai sentito? Si sposa la Simona della Bice, a Milano, con un funzionario della Banca d’Italia!”

Come fu, come non fu, quando la notizia del matrimonio imminente arrivò a casa mia, che era l’ultima casa del paese, la Simona stava per sposare un ricco banchiere, forse il figlio del presidente di Mediobanca o qualche suo parente.

L’Albina aveva bussato ripetutamente e quando le aprii la porta si precipitò in cucina come una furia, agitando mani e braccia e balbettando parole che non riuscivo a capire.

L’Albina era la mia anziana vicina di casa.Viveva in assoluta solitudine per undici mesi l’anno, occupando il suo tempo nell’orto e nel pollaio, dove intratteneva lunghe e impegnate conversazioni, rigorosamente in dialetto, con le sue dieci galline rosse, che, a suo dire, erano le uniche creature davvero “umane” .

In agosto arrivavamo noi dalla città a portare scompiglio nella casa e nella testa dell’Albina, che il giorno del nostro arrivo, ogni volta sprangava porta e finestre e ci osservava solo dalle fessure delle persiane, così, tanto per ambientarsi; il giorno seguente  le apriva di dieci centimetri e quello era il suo primo benvenuto; il terzo giorno ogni tanto si affacciava, allungava il collo nel nostro cortile e se vedeva qualcuno della nostra famiglia accennava un’improvvisa tosse nervosa, che era  come dire : “ Siete arrivati? Mi salutate o no?”

Quando bussò alla mia porta, dunque, era il quarto giorno e il ghiaccio era già stato rotto.

“A chi è mal nasù , a gh’piòva  in-t-al cul da star sedù.”-  tradotto alla lettera significava che al disgraziato gli piove nel sedere anche se è seduto!

“ Ah,è proprio vero! Ahiamè, ahi, povera me!”- e l’Albina continuò il rosario di lamentele nel suo italiano sgangherato.

L’Albina era solita vestirsi a più strati sovrapposti anche in estate e quando si sedette, rigorosamente sul bordo della sedia, come se dovesse andarsene da un momento all’altro, la sua gonna nera si sollevò, lasciando intravedere l’orlo della gonna a fiori che stava sotto.

Un giorno, anni prima, le chiesi il perché di questo abbigliamento e lei con uno sguardo torvo e cupo mi rispose che era per non sporcare “la roba più nuova”. Cercai di spiegarle l’uso di un eventuale grembiule da lavoro, o di una leggera vestaglietta ma , come sempre, mentre io parlavo lei era già in fondo al cortile.

Quel giorno, mentre la vedevo agitarsi più del solito con tutte le parti del corpo, compresi i capelli, sotto al golfino leggero di cotone rammendato in più punti, vedevo spuntare il colletto di pizzo di una camicetta un tempo bianca e sotto il colletto il bordo di una magliettina rosa: tre strati dunque, il dieci d’agosto, tutto in perfetta sintonia col personaggio in questione.

“ Ma come faccio? Non me ne intendo io di queste cose! Eppure devo fare bella figura!”

“Albina, adesso calmati, siediti più comodamente e dimmi cos’è successo.”

“Ma non lo sai? Ma dove vivi?”

“ Vivo a Parma, leggo i giornali e ascolto anche le notizie dei telegiornali, dunque se mi aiuti a capire cosa ti preoccupa, forse potremo parlarne insieme.”

“ Ma l’hanno detto anche nella televisione? Allora è proprio uno importante! Ma come faccio?”

Stavo perdendo la pazienza, anche perché era quasi mezzogiorno e il tavolo era ancora ingombro di  borse da svuotare. Rovistai in un sacchetto della spesa e trovai una scatola di biscotti al cioccolato, l’aprii e la misi sul tavolo, davanti all’Albina, che era una delle persone più golose che avessi mai conosciuto.

La sua sceneggiata terminò all’improvviso, si accomodò meglio sulla sedia, si lisciò i capelli con le mani ruvide e nodose, si sistemò gli orli delle gonne e il colletto della camicetta e intanto i suoi occhi vivaci non abbandonarono mai la scatola dei biscotti. Timidamente e lentamente allungò una mano e mi guardò.

“ Dai, Albina, mangiamo qualcosa, lo sai che a stomaco pieno si ragiona meglio !” la incoraggiai.

Mentre i biscotti sparivano velocemente dalla scatola, l’Albina riuscì a farfugliare :

“ La figlia della Bice si sposa a Milano con un ricco banchiere e mi ha mandato un biglietto con scritto che farà una gran cerimonia che ci sarà anche il Sindaco e io devo mandarle un regalo molto bello altrimenti faccio una brutta figura, capisci adesso?”

“ Dunque si sposa Simona! Un banchiere, sei sicura che sposi un banchiere? E il sindaco forse sarà presente perché si sposeranno in Municipio, non credi? E in ogni caso, dai, è una bella notizia!”

“ Bella? Ma non capisci proprio niente! Per me è una tragedia perché non so i suoi gusti!”

“Albina, la Bice ti conosce bene e non credo che pretenda un gran regalo da te. Siete cresciute insieme, siete sempre state amiche e tu sei la prima che vuole vedere ogni volta che torna qui al paese. Lei ti ha scritto il biglietto solo per farti sapere quanto è felice. Forse le basterebbe una tua telefonata, oppure un pensierino qualsiasi, un piccolo dono fatto col cuore. Non pensi che sia così?”

La poverina chinò la testa e, sempre masticando biscotti piagnucolò:

“Forse, ma io so come sono queste cose, non sono mica scema, cosa credi? Se non faccio un bel regalo, se le prendo qualcosa che non va bene, magari secondo il mio gusto, passerò per “quella matta dell’Albina!”

In effetti, se l’Albina avesse scelto personalmente un qualsiasi oggetto per qualsiasi persona, di certo il rischio sarebbe stato altissimo, per il destinatario, di ricevere qualcosa che lo avrebbe lasciato un po’ perplesso, nella migliore delle ipotesi.

Dovevo intervenire per forza:

“Ascolta, allora facciamo così: tu adesso ti calmi, vai a casa, pensi a cosa ti piacerebbe regalarle e poi domani ti prepari, ti vesti per benino e io ti accompagno in città e cerchiamo qualcosa che ti piaccia e che possa essere gradito a una ragazza giovane. Guarda che ci sono oggetti classici che vanno sempre bene e non vanno mai giù di moda! Vedrai che non sbaglierai.”

Albina sorrise, con una mano raccolse meticolosamente tutte le briciole che aveva sparso sul tavolo, le richiuse nel pugno, si alzò e lentamente si avviò alla porta.

“Grazie, sei sempre gentile con me ….Si,stanotte ci penso e poi domani ti dico cosa mi piacerebbe fare. Si, brava, cara la mia bambina.”

Per l’Albina tutte le donne che avevano almeno un anno meno di lei erano ragazze; io che rispetto a lei ero più giovane di trent’anni, ovviamente ero “una bambina”!

Quando la porta si chiuse provai un enorme senso di sollievo perché finalmente potevo sistemare la casa e, nello stesso tempo, mi prese una tristezza profonda pensando alla povera donna e a quanto poco bastasse per sconvolgere la sua quotidianità.

Scese la notte di San Lorenzo, una notte calda, profumata d’erba, musicale per il canto sfrenato dei grilli, avvolgente come una coperta di lana, splendente per tutte le stelle che brillavano nel suo cielo e magica perché a intervalli brevissimi qualcuna cadeva, lasciandosi dietro la sua scia luminosa di ricordi.

Ero sdraiata sull’erba del prato fra il dormiveglia e l’estasi contemplativa sotto quella meraviglia di volta celeste, quando udìì un cigolio alle mie spalle. Mi voltai di scatto e nel buio vidi le persiane della camera dell’Albina che si aprivano dei soliti dieci centimetri. La sua testa bianca e arruffata si sporse:

“ Vè Chiara, ho pensato molto al regalo. Ho deciso cosa fare e domattina te lo dico! Hai visto quante stelle cadenti?  Mi raccomando, esprimi tanti desideri te che sei giovane e goditela  finchè puoi…saltemma, balemma, incò a gh’semma e dman ne gh’sema !”- sua personalissima visione del carpe diem ! Chiuse le persiane senza darmi il tempo di proferire una sola parola, come faceva sempre ; da parte mia, feci tutti gli scongiuri  del caso e  tutt’intorno ritornò un meraviglioso silenzio, splendida e insolita cornice a quella tranquilla notte in campagna. Mio marito ed io andammo a dormire con l’intenzione di alzarci tardissimo e senza il suono della sveglia; finalmente eravamo in ferie.

In effetti la sveglia non suonò ma il risveglio fu il peggiore degli ultimi dieci anni: l’impressione che avevo, nel dormiveglia, era che qualcuno stesse sparando dei colpi di cannone contro la casa.

Mi precipitai giù dal letto e in quel preciso istante un tonfo sordo colpì gli scuri ancora chiusi.

Agitata e anche abbastanza spaventata svegliai mio marito, che, fortuna sua, non si era accorto di nulla e dormiva ancora di un sonno profondo.

“ Svegliati! Stanno tirando qualcosa contro la nostra finestra! Dai, alzati!”

Insieme ci avvicinammo alla finestra ed ecco un altro di quei colpi e poi una voce :

“ Ben ma allora vi svegliate o no? Chiara! Dai che è mezzogiorno e ti devo dire una cosa!” urlava l’Albina giù nel cortile.

Mio marito accese la luce, guardò prima la sveglia sul comodino, che segnava le nove in punto e non mezzogiorno e poi guardò me ed entrambi avevamo la stessa faccia sconvolta.

Aprii gli scuri e l’aria fresca del mattino mi aiutò a capire cosa stava accadendo.

Nel cortile l’Albina vestita di tutto punto stava gesticolando facendomi cenno di scendere :

“ Sscht! Silenzio, vieni giù senza brontolare che ti devo parlare!”

“ Albina! Ma ti rendi conto? Che modi sono? Mi hai spaventata!”

Mio marito, lievemente irritato, si ritirò in bagno e io scesi le scale e aprii a quella donna, che definire “strana” è molto riduttivo.

“Chiara, ascolta bene: sono già andata alla Posta e ho spedito il mio regalo a casa della Bice che lo darà a sua figlia. Non dobbiamo andare a Parma, ho già fatto tutto io, da me sola. E sono anche molto contenta perché è davvero un gran bel regalo e sono sicura ma proprio sicura che le piacerà tantissimo.”

Era tutta rossa e agitata e parlava così in fretta che stentavo a capire le parole, anche perché all’Albina mancavano quasi tutti i denti, tranne un molare nell’arcata inferiore e un incisivo in quella superiore.

“ A parte il fatto che per me e mio marito stamattina era il primo giorno di ferie e volevamo riposare tranquilli, a parte questo piccolo particolare e  che mi hai quasi distrutto gli scuri con tutti i sassi che hai tirato, a parte tutto, dimmi Albina cara, cos’hai spedito alla Bice?”

La donnina si calmò al mio tono un po’ arrabbiato e guardandosi la punta delle scarpe sussurrò:

“ Ce li hai ancora quei biscotti? Te lo racconto intanto che ne mangiamo un po’, va bene? “

Ci ritrovammo così ancora sedute a tavola come il giorno prima e con un altro pacchetto di biscotti nelle mani dell’Albina.

“ Mi piacciono perché sono teneri e vanno giù bene anche senza denti.”

“ Allora? Mi dici cosa hai spedito a Milano di gran fretta?”

“ Ti ricordi quella bella scatola tutta di velluto rosso damascato con dentro sei cucchiaini d’argento?”

Mi ricordavo bene; ogni estate, quelle poche volte che l’Albina mi invitata ad entrare in casa sua, apriva il cassetto più basso del comò, prendeva delicatamente quella scatola, quasi fosse di cristallo, soffiava via lo spesso strato di polvere e l’apriva per mostrarmi il prezioso contenuto: sei cucchiaini d’argento così anneriti che sembravano appena tolti dal carbone del caminetto.

“ Certo che mi ricordo! Si tratta dell’unico regalo di nozze che hai ricevuto quando ti sei sposata, vero? E allora?”

“ Allora ho preso i cucchiaini, uno per uno, li ho sfregati ben bene così che sono tornati come nuovi, poi li ho rimessi nella loro bella scatola, l’ho spolverata, l’ho piegata in una bella carta tutta d’oro che c’era dentro il tuo regalo di Natale, ci ho messo un bel ”biglietino” con scritto su “Auguri di tante buone cose dall’Albina”, sono andata alla posta, gli ho dato l’indirizzo e l’ho spedito dritto a Milano alla Bice.”

Rimasi allibita e senza parole per qualche istante.

“ Santo cielo…Albina… Ecco… Non so se hai fatto la cosa più giusta che potessi fare…”

Lei mi guardò disperata, il biscotto nella mano, a mezz’aria fra il tavolo e la bocca e allora io non ebbi il coraggio di dirle che non è molto corretto riciclare un regalo; innanzitutto avrei dovuto spiegarle il significato della parola “riciclare” e già questa avrebbe potuto rivelarsi una lunga e faticosa missione dall’esito incerto e poi, in ogni caso non avrebbe capito il concetto.

“ Me l’hai detto tu di farle un regalo col cuore e il mio cuore mi ha detto: Albina mandale la cosa più bella che hai e adesso mi dici che non ho mica fatto un bel lavoro?” e i suoi occhi , in quel momento, erano quelli di una bambina che sta per piangere per un’ingiustizia subita.

“ Albina se è questo che ti ha suggerito il tuo cuore, allora hai fatto bene. Se per te era la cosa migliore da farsi, se era l’oggetto più caro che avevi in casa , allora hai fatto davvero bene.”

Le diedi un sonoro bacio sulla guancia avvizzita e sul suo volto tornò il sorriso.

“ Senti, il regalo è molto bello ma come fai ad essere così sicura che le piacerà?”

“ Cara la mia bambina, sono sicura, anzi sicurissima e sai perché? Me lo ha regalato proprio la Bice, tanti anni fa, quando mi sono sposata e,ascolta bene, se le è piaciuto quando lo ha scelto per la sua migliore amica, perché  non dovrebbe essere contenta se adesso  l’Albina lo regala a sua figlia?”

Ricordo solo che il biscotto che stavo tranquillamente gustando mi andò di traverso e che continuai a tossire per almeno mezz’ora, mentre l’Albina tranquillizzata e serena , si alzò, come al solito si lisciò le  vesti e lentamente uscì, chiudendo la porta alle sue spalle.



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