Il disvalore dell'ignoranza
- "Critica del valore" tronca come ideologia di legittimazione di una nuova piccola borghesia digitale -
di Robert Kurz
*Nota precedente all'edizione stampata* 1. Dalla critica del valore all'ideologia del circolo digitale* 2. La sorella della merce e Internet come "macchina di emancipazione* 3. Forma del valore, sostanza del valore e riduzionismo della circolazione* 4. "Scambio giusto" e relazioni d'uso capitalistiche* 5. L'anima della merce in azione: dal "ben pagare il non serio" all'antisemitismo strutturale* 6. Produzione di contenuti, costi capitalistici e "riproduttività senza lavoro"* 7. Lavoro produttivo ed improduttivo nel contesto di riproduzione capitalistica* 8. Verso un'ontologia del lavoro secondaria* 9. Il carattere sociale totale della sostanza del valore e l'ideologia del capitale "produttivo" e "predatore"* 10. Svalorizzazione universale e teoria degli stadi di un'emancipazione simulatrice* 11. Falso universalismo ed esclusione sociale. L'ideologia dell'alternativa digitale come eldorado degli uomini della classe media trasformati in casalinghe* 12. Il punto di vista degli idioti del consumo virtuale* 13. Autoamministrazione della miseria culturale* 14. L'esproprio dei produttori e delle produttrici dei contenuti come abnegazione sociale e risentimento* 15. Termiti e formiche blu. La biopolitica della "intelligenza del formicaio" digitale* 16. Realpolitik di pauperizzazione dei candidati a capo dell'amministrazione di crisi nella cultura*
15. Termiti e formiche blu. La biopolitica della "intelligenza del formicaio" digitale
L'ideologia della "produzione" dei consumatori si riferisce quasi esclusivamente ai prodotti di contenuto culturale nello "spazio virtuale". E' in tal senso che Meretz afferma a proposito del "movimento per la cultura libera", con un atteggiamento con cui quasi fa "incipientemente" leva nei confronti della produzione di merci: "Esso non ha come fine una lotta nella sfera della circolazione delle merci, ma costruisce la sua propria base produttiva". Il che è falso sotto diversi punti di vista. In primo luogo, tutta la pseudo "nell'economia politica" punta chiaramente, fin dall'inizio, a liberare i presunti "beni universali" dal sistema valore-prezzo della riproduzione capitalista, per il resto presupposto, e renderli senza prezzo, ossia, gratis per gli "utenti". Si tratta qui in modo prioritario proprio di una "lotta nella sfera della circolazione", dal punto di vista dei consumatori, a scapito dei produttori immediati. In secondo luogo, il "movimento per la cultura libera" punta, come è ovvio (e come risulta dallo stesso testo di Meretz), non al superamento della produzione di merci in generale ma, al contrario, a mantenere la produzione precarizzata dei contenuti nella forma di merce in qualche modo ancora capace di sopravvivere, nelle condizioni della concorrenza agguerrita, per mezzo dei "redditi monetari secondari". E' precisamente quello che appare come il punto di vista dominante nello spazio anglosassone, mentre la pseudo-reinterpretazione della "critica del valore" alla maniera di Meretz, con le sue orripilanti contraddizioni, non sembra essere stata abbracciata dalla maggioranza delle persone in un tale contesto.
In terzo luogo, tuttavia, si nega perfino la "base produttiva" suppostamente "propria", dal momento che viene fatto riferimento solo alla "produzione" secondaria dei consumatori, che lascia in ombra i suoi reali presupposti di produzione. Cosa che vale anche per la stessa produzione di contenuti culturali. Secondo Meretz, nelle grandi "libertà" è inclusa, non in ultimo, "la possibilità di remixare e diffondere i pezzi derivati". L'espressione "remix" indica già lo statuto non autonomo della presunta "base produttiva propria". Appare chiaro da dove provenga quello che può essere "remixato" e "diffuso come pezzi derivati". In un tale contesto, finalmente, ed in quarto luogo, arriva lucidamente l'indicazione per cui la "sfera proprietaria" dev'essere "eliminata dalla cooperazione". Se si tratta soprattutto di "superare" la "proprietà" (copyright), allora questo significa anche che tutto questo scenario si sviluppa in modo prioritario nella circolazione e che ha poco a che vedere con una "base produttiva propria".Resta aperta la questione riguardo quale tipo di "proprietà" si debba superare in questo caso.
Nella misura in cui si tratta qui di semplici accordi interni dentro il "movimento per la cultura libera", si riflette solo una precarietà che in parte risulta dalle restrizioni del capitalismo di crisi nei confronti dell'impresa culturale, ma in parte risulta anche dalla stessa povertà di contenuti dei "produttori"-consumatori digitali. Se le persone abdicano "tra le altre cose" ai diritti d'autore, per ottenere comunque "redditi monetari secondari", nella gran parte dei casi questo si deve più alla miseria del contenuto piuttosto che a virtù emancipatrici. Qui bisogna tornare a riferirsi alla mentalità da prole della classe media precarizzata. Nelle condizioni di prosperità fordista, come nella storia del dopoguerra, la maggioranza di loro sarebbero stati probabilmente, ed in modo assai banale, professori, impiegati superiori, funzionari, ecc., così come i loro genitori, e avrebbero celebrato la loro pretesa di essere borghesia colta (in ogni caso già allora pericolante) soprattutto sul piano del tempo libero e dell'hobby. Però, una volta che adesso sono degradati a "freelancer" precarizzati, i quali simultaneamente sono stati socializzati nell'ideologia del consumo, devono evidenziare con maggior veemenza la pretesa di borghesia colta, da tempo abbandonata, armandosi come super-"creativi", "in profondità" tutti grandi artisti, teorici ecc. e già candidati al premio Nobel in virtù della loro stessa vita, semplicemente come loro diritto.
Questa mentalità, naturalmente, è in contrasto con l'ideologia del consumo, così come con l'insufficienza, associata a tale ideologia, della "conoscenza", essa stessa già precarizzata. Persone che, per esempio, acquisiscono solo una conoscenza parziale e frammentaria delle teorie e della storia, solo per "partecipare alla discussione", difficilmente sono in grado di fare qualcosa degno di menzione in quanto autodesignatisi "produttori"-consumatori. Non si applica a tutti, ma (anche secondo le affermazioni di un ideologo del digitale come Norbert Bolz) è un fenomeno ampiamente diffuso fra studenti "freelancer" e nella "generazione stagista". Nell'ideologia "remix" la debolezza dei contenuti diventa ora la forza allucinatoria di un "collettivismo" virtuale di "produzione dei contenuti" digitali per i consumatori. Per questo è stato creato il concetto di "intelligenza del formicaio" (Swarm Intelligence), una metafora biologistica sintomaticamente tratta dallo studio entomologico; le termiti tropicali, fra le altre, dovrebbero servire da esempio.
Nella misura in cui si entra qui nel problema di un'organizzazione della riproduzione materiale e sociale posteriore alla forma di merce, che già non funziona secondo un piano centrale "dall'alto", abbiamo a che fare con un involucro ingannevole. Una volta che si spalanca un abisso fra l'idea dell'ideologia dell'alternativa digitale nello "spazio virtuale" e le esigenze di un "processo di metabolismo con la natura" (e anche di riproduzione sociale) posteriore alla forma merce, il concetto di "intelligenza del formicaio" non può dare alcuna indicazione per il superamento della riproduzione nella forma merce. E' una presa in giro, illustrare per mezzo della "intelligenza" collettiva delle termiti la coscienza sociale desiderata ai fini dell'impiego delle risorse comuni, al posto della cieca costituzione di feticcio. Non a caso il concetto è stato tratto dallo studio entomologico innanzitutto a proposito del dominio della cosiddetta "intelligenza artificiale" (com'è noto, un'espressione fallace, dal momento che i computer non hanno coscienza, così come non ce l'hanno né le pietre né i bulloni) e delle procedure assistite dai computer. Se questa connessione viene ora trasferita ad un presunto nuovo "concetto di socialismo", allora si tratta solo di un'indicazione di carattere tecnocratico di tale idee, le quali pretendono che la coscienza sociale si diluisca nell'apparato computerizzato (nel caso di Hardt/Negri, del resto, è accompagnata da un'orripilante positivizzazione della "biopolitica emancipatrice" per mezzo di macchine-esseri umani). Bisogna ricordare le "formiche azzurre" della Cina maoista. Non c'è nessun progresso nel sostituire la centralizzazione della burocrazia statale con una mera decentralizzazione dello Stato delle termiti, sulla base della "intelligenza artificiale", nel quale gli individui umani dovrebbero integrarsi "biopoliticamente". E' una vera e propria beffa che gli ideologhi dell'alternativa digitale pretendano ora di reclamare la "intelligenza del formicaio" per la produzione "remix" dei contenuti culturali e teorici. La negazione dell'individualità, e l'auto-riconoscimento come "formiche azzurre" di una "produzione" di contenuti per i consumatori, costituiscono solo il rovescio di un'ingiustificata iper-pretesa di "creatività", che è solo un assegno scoperto. I contenuti che qui possono effettivamente emergere nella norma non sono altro che quelli che uno qualsiasi dei miglior termitai può realizzare (o anche qualsiasi rete di computer nella quale siano state introdotte cose povere di contenuto). Perciò, dietro lo spirito del formicaio digitale sta in agguato, in realtà, il punto di vista di non limitare il processo del "remix" della libera associazione di "produttori"-consumatori, ma di allargarlo coattivamente a qualsiasi e ad ogni produzione pre-esistente di contenuti. I veri produttori immediati di contenuto culturali, teorici ecc. devono venire espropriati, non solo attraverso la trasformazione dei loro prodotti in "liberi" (senza costo) sul piano del consumo, ma anche attraverso lo svincolamento dei loro contenuti per la cannibalizzazione del "remix", sul piano della produzione.
Si tratta di proseguire nella nota procedura del "copia & incolla". Come le persone - che di per sé non sarebbero in grado di scrivere un saggio liceale di medio livello - che arrivano a presentare lavori di laurea e di dottorato, incollando testi ottenuti per mezzo del download da Internet, e travestendoli attraverso una cattiva riformulazione; ora, nel contesto dell'ideologia dell'alternativa digitale, il semplice "copiare" viene propagandato come atto emancipatore. E' così che gli alunni della scuola secondaria, vuoti ma pretenziosi, immaginano la "liberazione". Il colmo della spudoratezza è quando un tale procedimento viene messo alla pari con la lotta contro lo sfruttamento, ad esempio con le conoscenze di botanica delle popolazioni contadine ed indigene della periferia che vengono usate dalle industrie farmaceutiche occidentali, che brevettano per sé queste conoscenze rubate. Nella realtà, gli ideologhi del "remix" qui assumono essi stessi il punto di vista dello sfruttatore, dal momento che risparmiano ampiamente lo sforzo del concetto, dell'investigazione e della famosa "creatività", per assorbire prodotti individuali di altri, ornandosi con le piume altrui, e facendo ancora passare tutto questo per un genere particolare di "creatività". Il semplice furto di idee, il plagio, l'omissione di riferimenti e di citazioni e la sistematica disonestà intellettuale in generale, vengono promosse a "lotta" emancipatrice contro la "proprietà intellettuale". Per loro già tutte le "conoscenze dell'umanità" sono libere, quasi come la Legge di Ohm ed il Teorema di Pitagora.
Non è per caso che Meretz simpatizzi ad un certo punto con la "pirateria dei prodotti", poiché gli piacerebbe allargare il procedimento alla pirateria dei contenuti culturali ed intellettuali. Qualsiasi "utente" semianalfabeta, ma pretenzioso fino alla punta dei capelli, può sentirsi un piccolo "corsaro rosso", quando a casa, di fronte al monitor del computer, sperimenta le "avventure dell'appropriazione" ed esplora sfrenatamente contenuti alieni per aggiungervi una pennellata propria. E' anche in questo senso che va inteso quello che si dice sul retro della copertina di Krisis 31 - che dovrebbe "essere posta di nuovo" la questione di "una nuova appropriazione emancipatrice di conoscenza" - o quando Meretz parla circa tale assunto nel senso per cui si aprirebbe "qui anche un accesso alla questione delle forme alternative di attuazione". Quello che qui viene fatto passare per "emancipazione" nell'appropriazione della conoscenza, nelle condizioni del capitalismo di crisi, finisce per essere un'economia del saccheggio culturale ed intellettuale.
Questi "produttori"-consumatori non si trovano oltre la concorrenza, né oltre la riproduzione capitalista, anche se fingono che sia così e pretendono di denunciare senza vergogna la critica come "punto di vista del proprietario intellettuale". Già il problema dei "redditi monetari secondari" dimostra che quello che è in causa rimane il denaro e la reputazione. E difficilmente si può supporre che la produzione-"remix" composta di elementi rubati rimanga debitamente all'interno di strutture che si trovino "oltre". In realtà, si svolge fra i "freelancer" precarizzati una spietata battaglia concorrenziale, in cui il plagio si converte in arma di combattimento. Se è così, se per mezzo dello sfruttamento dei produttori di contenuti si può già partecipare, con un prodotto "remix", alla circolazione merce-denaro, allora vuol dire che la si accetta: dopo tutto, non si può sempre andare con la teoria dei "beni universali" sotto il braccio.
16 – segue -
Robert Kurz
fonte: EXIT!